Durante la prima “Assise Nazionale contro la Corruzione e per la Cultura della Legalità: La Politica va a Canossa”, svoltasi nel teatro Matilde di Canossa a Ciano d’Enza il 3 Marzo 2012, la nostra rivista ha realizzato questa breve videointervista, al costituzionalista Stefano Rodotà.
http://www.youtube.com/watch?v=N9SzUUMV9ko
Testo integrale dell’intervista a Stefano Rodotà in occasione dell’Assise di Canossa – 3 marzo 2011.
“Unici al mondo, non valutiamo tranquillo un individuo, in quanto si astiene dagli incarici pubblici, ma superfluo. (Pericle)”
Adriana Paolini – Lei ha detto, durante la sua introduzione magistrale all’evento del 3 marzo 2012 “La politica va a Canossa”, sull’Assise Nazionale contro la corruzione e per la cultura della legalità, già da lei proposta a suo tempo nel lontano maggio del 1992, e finora trascurata dalla politica, che la stessa politica è corrotta e probabilmente connivente con i corruttori. Ma la politica coltiva il vivaio delle sue rappresentanze nelle sedi di partito, che ne certificano e propongono l’eleggibilità per gli incarichi della pubblica amministrazione. E al contempo manca un’attiva partecipazione politica da parte dei cittadini, che disertano le sedi dei partiti o, per i pochi temerari che ci provano, vengono a volte scoraggiati dal frequentarle, proprio da quelli che le abitano da tanto tempo e le difendono quasi quali avanposti di un potere autoreferenziale. Come si torna ad aprire le sedi dei partiti e a riformulare la partecipazione politica delle persone, come possibile strumento di prevenzione alla corruzione?
Stefano Rodotà – Non c’è dubbio che in questi anni la politica è divenuta di per sé oligarchica. Per una serie di ragioni si è concentrato il potere dei partiti in mani sempre più ristrette. Le ragioni sono legate a molti fattori, anche la legge elettorale. Nel momento in cui la legge elettorale ha sostanzialmente modificato il criterio di selezione del personale politico e l’elezione è determinata mediante una lista bloccata, chi stabilisce l’ordine in lista e individua il numero dei possibili eletti in una determinata circoscrizione, ha il potere di selezionare tutto il personale politico. Nelle ultime due elezioni, con la legge Calderoli, credo che non più di 20/25 persone abbiano scelto 945 parlamentari.
Il primo punto quindi è legato alla rottura di questo schema, al mutamento della legge elettorale e quindi in questo modo a una riduzione del potere delle oligarchie dei partiti. Perché segliere i parlamentari significa poi anche individuare filiere clientelari e indivuando filiere clientelari si dà anche un incentivo diretto o indiretto alla corruzione.
La legge elettorale però secondo me non basta. Resta aperto il problema della corruzione dei partiti, legato al principio e alla regola del metodo democratico. L’Art. 49 della Costituzione è frutto di varie mani, e anche di diversi compromessi. Lo stesso Elio Basso che lo avevo scritto e presentato, scrisse poi il libro “Il principe senza scettro” nel quale suo malgrado dovette registrare il tradimento della sua idea di fare dei partiti il motore della democrazia, proprio per questa ragione. Quindi il metodo democratico è indispensabile, e non è un’interferenza all’interno dei partiti, ma è dare agli iscritti il potere di governo e di controllo, e ai dirigenti non dei mandati in bianco e autoreferenzialità, ma responsabilità; perché se i partiti, come dice l’Art.49, contribuiscono, con metodo democratico, alla politica nazionale, devono essere responsabili verso il loro interno e in questo modo, e senza interferenze, nei confronti di tutta l’opinione pubblica. Poi c’è, evidentemente, la questione del finanziamento dei partiti, che è stato anche un motore, per il modo in cui è stato realizzato, di rafforzamento del potere delle oligarchie interne ai partiti, che avevano non solo potere di selezione, ma anche potere del maneggio del denaro. E infine delle regole che nascano dal bisogno di Etica Pubblica. Non si può rimanere in politica quando si è appena sfiorati da un sospetto che queste cariche sono rivestite per interessi personali o interessi di gruppo e non per interesse generale. Se si realizzano queste condizioni allora il ritorno alla partecipazione politica diventa possibile, altrimenti non bastano gli appelli, non basta la tecnologia, non basta l’apertura di siti e di blog, perché laddove ha funzionato, come negli Stati Uniti, ad esempio, a questa utilizzazione della tecnologia corrispondeva poi un potere effettivo dei cittadini. Se questo non si fa non si va molto lontano.
Adriana Paolini– Cosa ne pensa di chi fa politica a tempo indeterminato nell’amministrazione pubblica, per proprio carrierismo personale, impedendo così quel giusto ricambio, che potrebbe già da solo garantire la democrazia e prevenire la corruzione. E a quale età si dovrebbe iniziare a essere eleggibili, senza rischiare la tentazione di voler proseguire a vita e soprattutto a qualsiasi costo. Non si dovrebbe almeno aver già dimostrato di aver sviluppato una propria professione, a cui tornare alla fine del proprio mandato pubblico, che potrebbe durare un massimo di 5/10 anni?
Stefano Rodotà – Io capisco che c’è un rischio nel professionismo politico, ma tutti i vincoli all’accesso alla politica io li ho sempre visti con molta diffidenza, perché rischiamo poi di escludere intere fasce della popolazione. Se per esempio, un diciottenne, che non può dimostrare di avere già sviluppato una sua professionalità, si innamora della politica, nel modo più alto e disinteressato, lo dobbiamo escludere? O forse non può venire da questa persona un contributo alla politica maggiore di quello di un professionista? Ne ho visti tanti nella mia vita parlamentare, e le cronache ce ne parlano anche in questo periodo, che entrano in parlamento, con una grossa esperienza professionale e fanno del parlamento un luogo per rafforzare più la propria fortuna professionale che altro. Devo dire la verità, i punti fondamentali da rispettare sono due, l’accesso deve essere possibile attraverso la ripulitura del sistema dei partiti. Oggi entra molta gente, effettivamente anche persone giovani, pensando che lì si possa fare carriera. Perché si entra in un mondo chiuso, oligarchico, con pochi controlli e nessuna trasparenza. Cambiando queste condizioni si entrerà in un’altra maniera e si sarà più controllabili e in questo senso il ricambio dovrebbe essere possibile. Io vedo con grande favore l’imposizione di tetti e anche di vincoli per quanto riguarda tutta una serie di attività di amministrazione alta o piccola legata alla politica. Io ho fatto il presidente dell’autorità garante per la privacy, con un vincolo di due mandati, che non si possono superare e trovo che questo sia assolutamente sacrosanto. Anche, e non solo, per evitare le incrostazioni, ma anche per un’altra ragione, perché altrimenti, non voglio dire che ci si burocratizza, ma il ricambio di un solo mandato è poco, perché si accumula esperienza che non si può mettere a frutto, ma troppo può anche essere un’ostacolo all’innovazione, al cambiamento, nuove idee possono funzionare meglio. E c’è anche il problema di stabilire poi delle incompatibilità successive. Troppo volte abbiamo visto che si è lavorato, anche all’interno delle autorità, spesso cosidette indipendenti, avendo l’occhio a che cosa mi capita una volta che il mandato sia stato esaurito. E a questo dire no. C’è un periodo nel quale una serie di attività, direttamente o indirettamente connesse alla funzione pubblica che tu hai svolto dovrebbero essere precluse. Lo dico anche per chi ha svolto altissime funzioni come i giudici costituzionali. Per quanto riguarda il limite alla politica, io penso che questo sia bene affidarlo, da una parte alla ripresa di meccanismi di controllo spontanei e dall’altra alle regole che i vari partiti si danno. In questo senso, secondo me, lo Statuto Pubblico dei partiti avrebbe una sua funzione. Stabilire che una persona che ha acquisito in politica, non dico benemerenze, ma grandi competenze, penso per esempio a figure come Sandro Pertini, che nella storia di questo paese ha avuto una grande importanza, ricoprendo la carica di Presidente della Repubblica in un momento molto difficile, riconciliando molto cittadini e politica, se avesse avuto un limite temporale sarebbe stato rottamato e non sarebbe stata certo una bella cosa.
Adriana Paolini – Come pensa dovrebbe comportarsi, in chiave garantista, un eletto o un amministratore pubblico che si trovasse indagato per qualsiasi reato e la cui accusa risultasse alla fine infondata?
Stefano Rodotà – A questo riguardo ho un’idea molto precisa. Può essere anche sgradevole, ma chi si trova in questa condizione deve farsi da parte. Capisco che a questo punto si potrebbe dire: ma affidiamo la politica a magistrati che possano poi introdurre e stabilire loro le carriere politiche. E poi allora non per qualsiasi reato, ma per determinate imputazioni. Non credo che questo sia materia di legge, per cui io credo che questo debba essere oggetto di una grande riflessione. Per qualsiasi reato, farsi subito da parte certamente no. Però la fascia per cui le dimissioni non siano assolutamente necessarie deve essere estremamente ridotta. Certamente poi, una dichiarazione pubblica, accompagnata da un ritrasi dalla scena, e alla fine la dichiarazione di assoluzione di infondatezza delle accuse, non credo che diminuirebbe la statura, anche morale, di una persona di questo genere, che ritornerebbe sulla scena pubblica come chi non ha fatto nessuna resistenza a che anche l’accertamento giudizziario venisse svolto.
Adriana Paolini – Secondo Lei, perchè i comitati di garanzia, che ogni partito ha, e in cui siedono molti giuristi, non hanno mai segnalato la deriva politica, in chiave protezionistica?
Stefano Rodotà – Proprio perché c’è stata, come dire, troppa contiguità. Non voglio dire che venivano scelti compiacenti è che, magari, pur avendo un nome molto onorato, si sapeva che non avrebbero dato grande disturbo. Voglio ricordare che in Parlamento, in anni lontani, quando io ero membro del gruppo della sinistra indipendente, c’era un deputato, Gustavo Minervini, un giurista di grande qualità, che tutte le volte in cui si discuteva dei bilanci dei partiti, metteva il dito proprio su ciò che oggi è stato ricordato, e cioè il controllo, primo su come venivano scelti i controllori e in secondo luogo sulle modalità assolutamente formali del controllo: i controllati non possono scegliersi i controllori.
Scheda Biografica di Stefano Rodotà (fonte Wikipedia)
Stefano Rodotà è nato Cosenza nel 1933.
Si laurea in giurisprudenza nel 1955 all’Università La Sapienza di Roma.
Incarichi parlamentari
VIII legislatura:
– Componente della I commissione affari costituzionali
– Componente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassino di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia
IX legislatura:
– Componente della I commissione affari costituzionali
– Componente della commissione parlamentare per le riforme istituzionali
– Membro dell’assemblea parlamentare del consiglio d’Europa
X legislatura:
– Componente della I commissione affari costituzionali
– Componente della delegazione parlamentare italiana presso le assemblee del consiglio d’europa e della ueo
XI legislatura:
– Vicepresidente della Camera dei Deputati
– Componente della I commissione affari costituzionali
– Componente della commissione parlamentare per le riforme istituzionali
– Componente della delegazione parlamentare italiana presso le assemblee del consiglio d’europa e della ueo
Attività politica
Iscritto al Partito radicale di Mario Pannunzio, rifiutò nel 1976 e nel 1979 la candidatura nel Partito Radicale di Marco Pannella.
Eletto deputato nel 1979 come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, diviene membro della Commissione Affari Costituzionali e rieletto nel 1983 viene eletto presidente del Gruppo Parlamentare della Sinistra Indipendente.
Deputato per la terza volta nel 1987, è confermato nella commissione Affari Costituzionali e fa parte della prima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.
Nel 1989 è nominato Ministro della Giustizia nel governo ombra creato dal PCI di Occhetto, e successivamente aderisce al Partito Democratico della Sinistra, del quale sarà il primo presidente.
Nell’aprile del 1992 torna alla Camera dei deputati per il PDS, viene eletto Vice Presidente della Camera dei deputati e fa parte della nuova Commissione Bicamerale. Al termine della legislatura, durata solo due anni, decide però di non ricandidarsi, preferendo tornare all’insegnamento universitario.
Dal 1983 al 1994 è stato membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Nel 1989 è stato eletto al Parlamento europeo.
Dal 1997 al 2005 è stato Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, mentre dal 1998 al 2002 ha presieduto il Gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione Europea. È stato componente del Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie. È tra gli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. È stato Presidente della Fondazione Lisli e Lelio Basso. È presidente della Commissione scientifica dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea. Dirige dal 2008 il Festival del diritto di Piacenza.
Nel 2009 l’Electronic Privacy Information Center di Washington gli ha conferito l’International Privacy Champion Award.
Il 29 novembre 2010 ha presentato all’Internet Governance Forum una proposta per portare in commissione Affari Costituzionali l’adozione dell’articolo 21bis. L’articolo in questione è il seguente: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”. Una legge simile è stata approvata in Finlandia il 1 luglio 2010. In Finlandia oggi la banda larga è un diritto.
Attività universitaria
È Professore Emerito di Diritto civile della Facoltà di Giurisprudenza, Università “La Sapienza”, Roma.
Ha insegnato in diverse università europee, negli Stati Uniti, in America latina, Canada, Australia.
È stato visiting fellow presso All Souls College, Oxford.
È stato visiting professor, Stanford School of Law.
Ha insegnato alla Faculté de Droit, Paris Panthéon-Sorbonne e al Collège de France. Ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Université Michel de Montaigne di Bordeaux e dall’Università di Macerata.
È Presidente del Consiglio d’amministrazione dell’International University College di Torino.
Fa parte del comitato dei garanti di Biennale Democrazia e del Centro NEXA su Internet & Società del Politecnico di Torino.
Pubblicazioni
– Il problema della responsabilità civile (1964);
– Le fonti di integrazione del contratto (1969);
– Il diritto privato nella società moderna (1971);
– Elaboratori elettronici e controllo sociale (1973);
– Alla ricerca delle libertà (1978);
– Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata (1990, 2 ed.);
– Tecnologie e diritti (1995);
– Libertà e diritti in Italia dall’Unità ai giorni nostri (1997);
– Repertorio di fine secolo (1999, 2 ed.);
– Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie dell’informazione (2004, 2. ed.);
– Intervista su privacy e libertà (2005);
– La vita e le regole. Tra diritto e non diritto (2006, nuova ed. ampliata 2009);
– Dal soggetto alla persona (2007);
– Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile (2007);
– Perché laico (2009, nuova ed. ampliata 2010).
– Che cos’è il corpo (2010).
– Il nuovo habeas corpus e Il corpo giuridificato, in Trattato di biodiritto (2010).
– Diritti e libertà nella storia d’Italia. Conquiste e conflitti 1861-2011, Roma, Donzelli, 2011
Ha diretto ‘Il diritto dell’agricoltura’ e dirige le riviste ‘Politica del diritto’ e ‘Rivista critica del diritto privato’. Ha collaborato a diversi giornali e riviste, tra i quali ‘Il Mondo’, ‘Nord e Sud’, ‘Il Giorno’,’Panorama’, ‘il Manifesto’, ‘L’Unità’. Collabora a La Repubblica.
di Adriana Paolini
aprile 17th, 2013 at 18:27
questo sì ch’è un tipo serio! magari diventasse Presidente della Repubblica!
aprile 20th, 2013 at 08:35
E c’è ancora qualcuno che pensa che i soliti vecchi politici possano essere meglio di Rodotà… Oh, povera Italia!