La giornata del 26 ottobre si è conclusa con una cena a base di pesce San Pietro arrosto, tipico del lago di Tiberiade ed una visita agli scavi della città di Cafarnao, sulle rive del lago. Luogo che vide una parte importante della vita di Gesù di Nazareth e dove gli archeologi sono abbastanza sicuri di avere individuato la casa di Pietro. La città, o meglio il villaggio se ne consideriamo le dimensioni secondo i parametri moderni, è ricca di reperti dell’epoca romana e delle successive. Oggi le rovine sono custodite da monaci francescani, sotto la cui sorveglianza continua l’attività degli studiosi. Sopra la casa che probabilmente fu dell’apostolo e che Gesù frequentava abitualmente, è stata costruita una chiesa moderna, al cui centro un grande vetro lascia intravedere le rovine dell’edificio antico. Molto suggestivo, anche se lo stile abbastanza moderno della chiesa stride un po’ con i resti circostanti. Tuttavia il tramonto sulla riva del lago, con i bagliori rossastri delle alture circostanti è veramente stupendo, penso che duemila anni fa non doveva esser diverso. Gli occhi dei pescatori stanchi devono aver visto gli stessi colori che vedevo in quel momento, sentito gli stessi odori della campagna che scendono dalle colline.
Verso Beit She’ an, Qumran e il Mar Morto.
27 ottobre 2010: è il terzo giorno del nostro viaggio attraverso Israele e nonostante la fatica si faccia sentire, siamo sempre più desiderosi di immergerci in questa realtà. Lasciamo il kibbutz Lavi che ci ha ospitato per due notti e prima che siano le 7.30 del mattino siamo già in viaggio. Il nostro autobus si dirige verso sud, lungo il confine orientale di Israele. Passiamo alle pendici del Monte della Trasfigurazione, descritta nei Vangeli cosiddetti sinottici di Marco, Matteo e Luca. Oggi è chiamato monte Tabor, dall’arabo Gebel et Tur, ovvero “la montagna”. Arriviamo a visitare le rovine della città di Beit She’an, chiamata dai romani Scitopoli o Skitopolis in greco antico. Oggi nel mezzo di un parco nazionale che porta il suo nome, fu fondata ufficialmente nel 63 avanti Cristo.
Fu capitale della regione al momento della diffusione del cristianesimo, di cui permangono numerose tracce. Sono ben 12 le città costruite le une sulle altre, spesso distrutte dai terremoti che frequentemente scuotono queste zone. I resti portati alla luce dagli archeologi però sono sorprendentemente abbastanza integri e testimoniano con completezza la vita di una fiorente città del regno ebraico prima e dell’Impero romano poi. Il foro commerciale con i suoi altissimi colonnati, in parte rimasti integri, le terme e l’ampio teatro sono testimonianze preziose della vita che si è svolta qui per quasi 5000 anni. Le enormi colonne di granito rosa del tempio di Dioniso furono utilizzate in epoca bizantina come basilica cristiana, fino al terremoto disastroso del 700 dopo Cristo, che la rase al suolo. Venne abitata ancora in età musulmana, ma altri terremoti successivi la fecero abbandonare definitivamente all’oblio dei secoli. Quando completiamo la visita a metà mattina, il sole ha già surriscaldato l’aria e si apprezza molto l’ombra dei pochi alberi, o del bar e dei negozi di souvenir….
Mentre continuiamo verso sud il nostro viaggio, il panorama si fa sempre più riarso e piatto. Lungo la strada camionabile, una alta rete e altri ostacoli ricordano il confine con la Cisgiordania e le zone amministrate dall’autorità Palestinese e dallo stato di Giordania, una vista che ci riporta bruscamente alle divisioni e ai conflitti di oggi. Per una parte la strada attraversa direttamente le zone palestinesi, ricoperte da campi coltivati e serre. Anche i telefonini, le cui frequenze passano spesso sulle reti dei gestori giordani ci dice quanto siamo vicini ai confini. All’orizzonte si staglia la città di Gerico, più volte citate nella Bibbia le sue mura e secondo le leggende, la più antica città del mondo. Off limits per gli occidentali dal 2005, essendo roccaforte di correnti estremiste palestinesi. Un vero peccato, molti palestinesi stessi avevano investito molto per portare il turismo internazionale nei luoghi della storia biblica. Ormai ci addentriamo nel deserto, le colline sempre più brulle e riarse si stagliano nettamente nel cielo blu cobalto, un paesaggio da film. Anche le ultime coltivazioni lasciano posto ormai alle diverse tonalità delle rocce e delle sabbie, nel deserto di Giuda, fino ad arrivare a Qumran. In questo luogo posto a 400 metri al di sotto del livello del mare, si rifugiarono tra il 150 e il 130 avanti Cristo gli Esseni, i “figli della luce”, una setta di ebrei ortodossi che con una vita isolata e essenziale nel deserto si allontanavano dai “figli delle tenebre”, i corrotti e i dissoluti che accettavano i costumi dei pagani romani e convivevano con loro, rifiutavano così il patto con Dio, allontanando il giorno della liberazione del popolo ebraico dal loro dominio. Qui si dedicavano alla trascrizione dei testi sacri e al loro studio, una vita povera, priva di tentazioni terrene, dedicata alla preghiera e alla meditazione. L’acqua, che cade d’inverno sotto forma di neve sulle alture circostanti, scorre al momento del disgelo scavando delle profonde gole, le uadi, e gli Esseni avevano costruito grandi vasche sotterranee per immagazzinarla, potendo così resistere nei lunghi mesi di siccità successivi.
Nel 68 avanti Cristo l’imperatore Tito, deciso a stroncare ogni forma di resistenza, anche culturale, al potere romano, inviò la X Legione che distrusse l’insediamento e massacrò gli Esseni. Ma una parte di essi riuscì a sfuggire scendendo verso sud, nel cuore del deserto del Negev. Prima di abbandonare quei luoghi, nascosero il frutto di tanti anni di lavoro. Nel 1947, due pastori palestinesi rinvennero per caso tra le grotte scavate dall’acqua una serie di anfore ben chiuse. In esse erano conservati da millenni i rotoli del Mar Morto, come vennero in seguito chiamate le pergamene frutto del lavoro amanuense degli Esseni. Eredità importantissima per tutti gli studiosi della Bibbia e della storia ebraica, erano sfuggiti così alla furia distruttrice dei soldati romani. Alla fine del 1951 le campagne archeologiche identificarono ben dieci grotte deposito di scritti ed altri oggetti di inestimabile valore storico e religioso, in quanto costituiscono i testi e le versioni bibliche più antiche del Vecchio Testamento di cui si ha conoscenza. Una fonte unica per studiare la lingua (i testi sono in buona parte in ebraico antico e in aramaico) e la cultura ebraica del tempo, per quanto si trattasse di quella più ortodossa. Attualmente buona parte dei rotoli è custodita a Gerusalemme nel Museo d’Israele e nel Museo Rockfeller, dove ancora oggi vengono restaurati e sottoposti a studi critici su contenuti e sulle forme di linguaggio.
Della antica oasi però non è rimasto nulla, solo il recente viale di palme che conduce dalla strada agli scavi archeologici e il solito supermarket di souvenir (a prezzi tutt’altro che popolari). Proseguiamo la strada verso il Mar Morto, sulle cui rive giungiamo nel tardo pomeriggio. Retaggio del ritiro delle acque marine, questo bacino si trova ben al disotto del livello del mare ed è alimentato dalle acque dei fiumi Giordano e Amon principalmente. La posizione e la forte insolazione diurna hanno favorito la concentrazione della salinità, che aumenta con la profondità, ma che in media è di circa 300 grammi per litro, circa otto volte la salinità media degli oceani. Questo permette il fenomeno, per cui è famoso questo mare interno: qualsiasi corpo immerso viene sospinto verso l’altro dalla concentrazione salina, per cui è praticamente impossibile affondare, ma anche nuotare. La densità dell’acqua raggiunge ben 1,24 chili per litro! Ricco di sostanze benefiche come calcio, magnesio, bromo, utilissime per la cura della pelle, assieme all’aria ricca di ossigeno, era conosciuto sin dai tempi dei romani come stazione balneare e di cura. Ancora oggi è così: a Ein Boqeq, una schiera di grandi alberghi, ciascuno col suo lido e le sue piscine, è presente una delle colonie balneari più frequentate e non solo dagli Israeliani in cerca di relax. Dall’altra parte del lago, sulla costa Giordana, in altre stazioni marittime moltissimi turisti fanno lo stesso…
Tuttavia la salinità così elevata, che impedisce qualsiasi forma di vita eccetto alcune colonie di batteri, può essere pericolosa anche per chi si bagna. Grandi cartelli ricordano di evitare il contatto con occhi o con pelle irritata o ferite e in ogni caso di evitare di immergersi per più a lungo di un quarto d’ora. In ogni lido sono presenti numerose docce di acqua dolce proprio per evitare di tenere addosso troppo a lungo il sale. Una volta arrivati al nostro albergo, preso possesso delle camere quasi tutta la comitiva scende sulla spiaggia munita di costume e dei numerosi asciugamani forniti dagli hotel per un rilassante bagno nel mare, con continuazione nelle piscine e negli idromassaggi generosamente presenti all’interno degli alberghi… L’esperienza è abbastanza sconcertante, ci si sente come dei tappi di sughero. Anche volendo non si riesce ad immergere il corpo oltre il petto. La sensazione di leggerezza e di rilassamento che si prova dopo il bagno lascia veramente stupiti. Poi per chi volesse, è sempre possibile sottoporsi a un massaggio terapeutico con i fanghi estratti dal mare. In realtà lo stato di salute del Mar Morto non è così buono come sembrerebbe: lo sfruttamento a nord delle acque del Giordano per l’irrigazione e l’allevamento ha progressivamente abbassato il livello di quasi 27 metri negli ultimi 40 anni. Inoltre lo sfruttamento industriale, sia sul lato israeliano che su quello giordano, per il carbonato ed il cloruro di potassio per le industrie chimiche hanno ulteriormente danneggiato questo delicato ecosistema, che sopravvive paradossalmente proprio in quanto quasi del tutto morto.
Massada, la fine del sogno dell’indipendenza ebraica ed il trionfo del dominio romano.
La serata passa veloce, la stanchezza, il caldo, i ritmi quasi militari con cui ci muoviamo mi hanno spossato. Quindi evito le proposte di svago dell’albergo e vado a dormire presto. Il silenzio quasi inquietante della notte viene rotto più volte dal suono lacerante di jet militari che sfrecciano nel buio. La zona praticamente priva di insediamenti e traffico aereo è ideale per le esercitazioni a bassa quota. Ma la presenza militare anche qui e nel cuore della notte ci fa rendere conto quanto instabile sia in realtà questa quiete. Ogni volta che per qualche attimo dimentichiamo dove ci troviamo, c’è sempre qualcosa che ci riporta subito alla dura realtà di queste terre, di guerra e pace allo stesso tempo. L’alba è veramente spettacolare, con i raggi dorati che riflettono sulla superficie immobile del mare come su uno specchio immenso, mentre già i primi bagnanti approfittano della temperatura fresca per andare in spiaggia. Noi invece, abbiamo già imparato: ci si prepara, si scende col bagaglio pronto e si carica l’autobus. Dopo la solita abbondante (ma rapida) colazione a buffet, Vittorio, la nostra guida, ci rimette in marcia con piglio militare, un po’ come si fa con un plotone di soldati. Ma nessuno in fondo si lamenta. La destinazione è la collina di Massada, uno dei luoghi più significativi della storia ebraica. Chiamata anche Masada, dall’ebraico Metzadà, è una collina che si erge per 290 metri sulla sterile piana a nord est del Mar Morto, da cui si gode una vista incantevole. Sulla sua sommità, curiosamente resa piatta dall’erosione degli agenti atmosferici, il re Erode il Grande si fece costruire dagli alleati romani tra il 37 e il 31 a.C. una fortezza ed un palazzo reale dotato di tutti i comfort, compresi i bagni termali, che potesse essere suo rifugio in caso di sommosse o colpi di stato. Ma in realtà non vi andò mai, mentre la fortezza, con i suoi depositi, le sue cisterne scavate nella roccia, che prendevano l’acqua dalle montagne circostanti con un ingegnoso sistema di canali, divennero l’ultimo baluardo della resistenza ebraica contro la conquista romana.
Un migliaio di estremisti del partito zelota, chiamati Sicarii perché usavano la Sica, una spada corta che poteva esser facilmente nascosta sotto la tunica, conquistarono la fortezza e vi si trasferirono con le loro famiglie alla fine del 70 d.C., al termine della Prima Guerra Giudaica, dopo la conquista di Gerusalemme. Noti perché praticavano la guerriglia terroristica senza quartiere contro gli occupanti romani, ma anche contro chiunque si macchiasse di collaborazionismo, la loro ferocia fu tale che il nome della loro fazione divenne sino ad oggi sinonimo di assassini senza scrupoli. I romani cinsero d’assedio la collina, alla cui cima fino a pochi anni fa si poteva accedere solo attraverso il “sentiero del serpente”, un ripidissimo camminamento che si inerpica tra le rocce, esposto ai difensori sulla cima.
Ma la vicinanza della montagna sul lato interno fu anche la sua rovina. I Romani costruirono, nonostante la reazione dei Sicarii, una grande rampa fatta di pietre e terra che funzionò come ponte per arrivare alla fortificazione, sfruttando il minor dislivello sul lato verso le altre montagne, sempre coperti dal tiro delle potenti catapulte. Ma quando i soldati del generale Lucio Flavio Silva nel 74 d. C. raggiunsero le mura con le torri d’ariete, aprendosi un varco, un agghiacciante spettacolo li accolse. Tutti gli occupanti si erano uccisi, piuttosto che cadere prigionieri, fatta eccezione per alcune donne con dei bambini. Ancora oggi, per il moderno stato di Israele Massada rappresenta il valore patriottico, la lotta epica del popolo ebraico e la ferma promessa di difendere l’indipendenza del paese. Le reclute delle forze armate israeliane vengono portate qui (oggi però grazie a una moderna funivia) per il giuramento di fedeltà alla patria, al termine del quale i soldati gridano Metzadà shenìt lo tippòl ! : “mai più Massada cadrà!”. La fortezza doveva essere imponente, oggi è oggetto di un programma di restauri e ricostruzioni importante. Gettando lo sguardo attorno nella valle, ancora oggi si possono scorgere chiaramente i perimetri degli 8 campi militari romani, realizzati con trincee e ammassi di rocce, come se i millenni non fossero passati. Più in basso, l’antico fondale del Mar Morto, con le dune di sabbia, le rocce di vario colore, le spaccature da cui è defluita nel tempo l’acqua, costituisce uno degli spettacoli più incredibili della natura.
La fatica del dislivello, la calura che ci attanaglia anche in alto nella fortezza si fanno sentire e raggiungiamo l’autobus, facendo uso delle bottigliette di acqua. E’ sempre consigliabile averne con se una piena, per evitare la disidratazione ed i colpi di calore. Si riparte, direzione sempre verso sud. Lasciamo il Mar Morto attraversando alcuni stabilimenti di estrazione del sale, veri inferni sulla terra per le condizioni ambientali in cui lavorano gli uomini e per la terra sventrata e modificata dalla mano umana. All’orizzonte, lasciando la piana in direzione delle città bibliche di Sodoma e Gomorra, distrutte da Dio per l’empietà dei loro abitanti, emerge una collina che sembra di roccia e sabbia, ma in realtà è un ammasso enorme di sale. Basta scavare pochi centimetri col piede e ci si rende conto subito. Facciamo una pausa all’ombra di questo gigante, che è un mistero della natura come si possa esser formato, anche ipotizzando che l’antico mare che ricopriva la regione fosse stato alto molti metri sopra la collina e per diecine di migliaia di anni il sale concentrato si sia accumulato sui fondali. Su una parete, una strana concrezione a forma di donna alta parecchi metri si staglia nel sole: viene chiamata Loch, come la donna che venne tramutata in sale durante la distruzione di Sodoma e Gomorra, perché contravvenne per curiosità al divieto divino di voltarsi mentre scappava da quei luoghi. Mentre usciamo dalla depressione del Mar Morto, ci fermiamo per un breve pic-nic e un po’ di riposo presso un’antica città di mercanti nabatei, Mamshit, che in buona parte risulta aver resistito alla prova del tempo. Venne abitata fino al 400 d.C., in epoca bizantina.
Il deserto del Negév e di Zìn.
Da questo momento, ci addentriamo nel cuore più desertico di Israele, verso il centro del paese. Andremo a visitare un luogo denso della storia geologica e naturale del Medio Oriente, Mitzpé Ramòn.
Si tratta di una grande depressione di oltre 360 chilometri quadrati di superficie, lunga oltre 45 chilometri e larga in alcuni punti 8 chilometri. La sua origine è stata oggetto di molte teorie, tra cui anche che si tratti dell’enorme cratere provocato da un meteorite. Secondo le più recenti ricerche si tratterebbe di un fenomeno carsico, per cui sarebbe il vuoto lasciato da una grande montagna di calcare ed altri minerali erosi dagli agenti atmosferici in centinaia di migliaia di anni. Il cratere è noto come Mitzpé Ramon, dall’ebraico mitzpé, cioè vista, panorama, mentre ramon faceva riferimento alla presenza di insediamenti romani nella regione. Oggi infatti è anche chiamato Makhtèsh Ramon, cioè proprio cratere dei Romani. Dal bordo a strapiombo la vista è mozzafiato e le correnti d’aria che arrivano dal deserto lo rendono ancora più suggestivo. Non è l’unica formazione del genere, ve ne sono altre due, meno imponenti, situate verso nord. Tra le case della piccola città cresciuta ai suoi margini e che ne porta il nome, ci troviamo in contatto con un animale parecchio diffuso nella regione, lo stambecco nubiano, che a branchi vagano in cerca di vegetali da brucare, indifferenti alla presenza degli umani.
Per la sera raggiungiamo il kibbutz Mashabéi Sadé, nel bel mezzo del deserto del Negév e al confine con il deserto di Zin. Questo è un kibbutz vero, più genuino del Kibbutz Lavi in cui ci siamo fermati all’inizio del viaggio. L’atmosfera è più semplice, di piccolo centro agricolo, a carattere laico. Le case sono più modeste ma dignitose e gli spazi immensi attorno danno una sensazione stupenda di pace, per quanto questo fu uno dei punti di più accanita resistenza, nel 1948 durante la prima guerra di indipendenza: soldati israeliani e abitanti del kibbutz combatterono disperatamente e respinsero il ben superiore esercito egiziano che puntava verso Tel Aviv e la costa mediterranea. Le recinzioni e i fili spinati lo ricordano anche oggi, non sono solo barriera verso gli animali del deserto. Come il bunker fortificato in cui i bambini si nascondevano e facevano scuola, nonostante i razzi e le granate che piovevano sul kibbutz . L’accoglienza è frugale ma calorosa al contempo, qui non si è abituati a perder tempo. Dopo la cena, come al solito abbondante e servita nella mensa comune del villaggio, facciamo quattro passi tra i vialetti, godendo del fresco della sera dopo il caldo feroce patito sin dal mattino. Qualcuno si ferma a chiacchierare seduti agli ingressi delle case-bungalow, in una atmosfera molto rilassata. Vittorio, la nostra guida, è di casa da queste parti: ci racconta che quando fece la sua scelta di trasferirsi in Israele, riuscì a farsi ammettere finalmente in questo kibbutz, dove visse per 5 anni e vi incontrò anche sua moglie. I genitori di lei vivono ancora qui… in queste terre le storie personali continuano a intrecciarsi alla Storia con la S maiuscola, una cosa che non smette mai di stupire. Dopo una notte di sonno profondo, la mattina del 28 ottobre la solita alzataccia: oggi è prevista finalmente un’escursione in jeep, nel cuore del deserto che gli Ebrei affrontarono guidati da Mosè, per raggiungere la Terra Promessa. Poco distante dall’abitato del Kibbutz, dove iniziato i grandi avvallamenti e le uadi del deserto, ci fermiamo alle tombe di David Ben Gurion e della moglie. Padre della patria Israeliana, fu sionista socialista e tra i fondatori dell’organizzazione paramilitare Haganàh, che combatté i nazisti a fianco dei britannici e poi i britannici di seguito durante la lotta per la costituzione di Israele e il superamento del divieto di immigrazione in Palestina per i sopravvissuti dell’Olocausto. Nato in Polonia nel 1886, divenne sionista e socialista in giovane età, emigrando presto in Palestina. Dopo il voto storico all’O.N.U. che concedeva l’indipendenza a Israele e permetteva la costituzione dello stato ebraico, divenne primo ministro, il primo capo di governo del ricostituito stato di Israele dopo duemila anni di storia. E fu lui a pronunciare la dichiarazione di indipendenza, il 14 maggio 1948. Ritiratosi a vita privata, volle trasferirsi con la moglie Paula nel cuore del paese e chiese di costruirsi casa a Sdè Bokèr, un altro kibbutz della regione. Ma a testimonianza del carattere tradizionalmente chiuso e severo dei kibbutz, nonostante tutti i suoi meriti, l’assemblea degli abitanti non accettò che risiedesse all’interno del villaggio, ma concesse che abitasse su un terreno adiacente, ai confini del kibbutz, dove morì nel 1973 e fu sepolto. La casa, piccola e modesta come quelle degli agricoltori, è divenuta un museo, ancora oggi meta di pellegrinaggio, specie di interi reparti di giovani soldati, che poi si soffermano sulla sua tomba, ascoltando registrazioni dei suoi discorsi più importanti.
A poca distanza dal suggestivo luogo di sepoltura, ci aspettano le land rover. Prendiamo posto nelle auto 4 persone per auto, eccitati dall’incredibile ambiente attorno a noi. Ci si addentra tra le uadi che passano alle pendici di colline aride, i cui colori che passano dal crema al marrone intenso attraverso tutte le tonalità della sabbia, secondo le caratteristiche chimiche di terreni e rocce. La polvere e il caldo impastano la bocca, è necessario bere spesso. Ma credo basterebbero già questi paesaggi estremi a asciugare la gola. I fuoristrada percorrono il fondo di torrenti e si inerpicano tra le colline, su piste che di tale hanno solo il nome. I giovani autisti sembrano divertirsi a prendere fossi e massi a velocità elevata, mentre i passeggeri inesperti rimbalzano come palline tra le pareti delle auto. Eppure l’intensità della bellezza dei luoghi alla fine rapisce l’attenzione e rende l’avventura un po’ meno tragicomica.
Tra i pochi cespugli e arbusti, spesso si intravede la presenza degli animali del deserto. Dagli immancabili stambecchi nubiani a numerose specie di uccelli, il deserto è un ambiente duro, ma molto meno deserto di quanto si pensi. Arrivati al termine della pista, scendiamo dalle auto e veniamo condotti dalle nostre guide del deserto dentro il letto di un torrente in secca, addentrandoci in una stretta valle. Nonostante i segni inequivocabili lasciati dall’acqua, possono passare anni tra una precipitazione seria ed un’altra, anche se d’inverno sulle alture può facilmente nevicare. Vittorio ci confida che la visione del deserto imbiancato è qualcosa di veramente unico. Mentre la valle si stringe man mano che ci addentriamo, quando arriviamo al suo fondo troviamo una grande sorpresa. Sotto una ripida parete di pietra si trovano due pozze d’acqua continuamente alimentate da un rivolo d’acqua purissima, proveniente dalle viscere delle colline: ecco perché Vittorio ci aveva detto di portare anche un asciugamano e un costume da bagno, un consiglio che era sembrato quasi una presa in giro per un’escursione in un deserto tra i più secchi della terra… E’ un piccolo Eden, fresco e al riparo dal sole impietoso, una di quelle oasi che solo gli abitanti del deserto conoscono e che fanno la differenza tra vivere e morire di sete.
Anch’io non mi faccio scappare l’occasione e mi lancio nelle acque scure e decisamente fredde della pozza. E’ una sensazione unica poter nuotare in un luogo tanto remoto, in mezzo a una terra tanto assetata. Certo uscire non è così facile come entrare, dato che il fondo e le pareti della grande “vasca” scavata dall’acqua sono ricoperte di piccole e viscide alghe. Ci vuole un bel po’ di prove per trovare la tecnica giusta…e una mano forte dall’esterno. Ci godiamo un po’ del sole pomeridiano del deserto, che ci asciuga e scalda subito. Ma nel cammino di ritorno verso le jeep, nessuno di coloro che ha avuto il coraggio di gettarsi nella pozza ha sofferto il caldo come all’andata, ve lo posso assicurare. Una volta che il convoglio di land rover si rimette in marcia, sappiamo che ci aspettano altre decine di chilometri su pietraie impietose dei nostri fondoschiena. Ma i conducenti sembrano essere più attenti alla fatica che abbiamo accumulato e guidano decisamente più lenti. O forse ci hanno già preso in giro abbastanza, chi lo sa… A Sdé Bokér ci aspetta il nostro autobus. Dopo una piccola pausa chiacchierando e mangiucchiando qualcosa sotto i grandi cespugli spinosi assieme alle nostre guide, seguiamo il nostro “sergente maggiore” Vittorio e risaliamo sul bus. Torniamo ad addentrarci nel deserto, lungo la strada numero 40.
Lungo i monotoni paesaggi talvolta incontriamo le abitazioni dei beduini, abitanti atavici del deserto. I loro rifugi sono costruiti con materiali d risulta e rottami, anche se il governo israeliano ha messo loro a disposizione terreni e materiali da costruzione moderni. Loro preferiscono continuare a vivere una vita libera e nomade. In poche ore, se vogliono, smontano tutto: armi, bagagli ed animali (vivono di piccole coltivazioni e allevamento di pollame e capre) sono pronti a muoversi nel deserto, alla ricerca di un altro luogo che li ispiri. Ma la loro non è la solita storia di emarginazione che ci potremmo immaginare: Vittorio ci assicura che i beduini israeliani, a differenza di altre popolazioni arabe mussulmane, si sono ben inseriti nel nuovo stato israeliano. Mandano a scuola i figli, anche fino all’università. Sono orgogliosi di svolgere il servizio militare, anzi, molti ne hanno fatto una scelta di vita. Alcuni sono arrivati ai più alti gradi delle forze armate e hanno sempre combattuto fedelmente per lo stato che ha dato loro una cittadinanza e una dignità. Nonostante siano ben consci del terribile destino che sicuramente li attende qualora siano catturati ed identificati come musulmani che combattono sotto la Stella di David. Eppure non riescono ancora oggi a comprendere il concetto di confine, l’idea della proprietà della terra o di altri beni, l’ipotesi di fermarsi a lungo in un posto. Mentre il sole scende nel deserto, ad una curva il bus rallenta davanti alle segnalazioni di alcuni soldati. Passiamo vicino ad alcuni blindati che sostano in un campo. I soldati impolverati sembrano prendersi una pausa dopo una giornata di faticose manovre, prima di rientrare in caserma. Sembra un destino inevitabile, ogni volta che si riesce a dimenticare dove ci troviamo e la tensione permanente in cui si vive, basta un attimo, un piccolo avvenimento a riportarti prepotentemente alla dura realtà di un paese mai veramente in pace. Ma ormai mentre i chilometri scorrono, stiamo lentamente uscendo dal deserto, come i panorami meno aridi e più abitati ci suggeriscono. Stiamo tornando verso nord e la nostra mente è già occupata da un altro pensiero. Tra poco saremo a Gerusalemme…..
di Davide Migliore
Linkografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Trasfigurazione_di_Ges%C3%B9
il monte della Trasfigurazione, nel centro di Israele.
http://it.wikipedia.org/wiki/Gerico
Storia della città di Gerico.
http://it.wikipedia.org/wiki/Qumran
L’oasi di Qumran, la setta degli Esseni ed i Rotoli del mar Morto.
http://it.wikipedia.org/wiki/Manoscritti_del_Mar_Morto
http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dei_manoscritti_di_Qumran
Storia dei manoscritti del Mar Morto.
http://it.wikipedia.org/wiki/Masada
Massada, luogo dell’ultima resistenza ebraica all’impero romano.
http://it.wikipedia.org/wiki/Sicarii
I Sicarii, gli ultimi occupanti di Massada.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mitzpe_Ramon
Il fenomeno geologico di Mitzpè Ramòn.
http://en.wikipedia.org/wiki/Mashabei_Sadeh
Il Kibbutz storico Mashabei Sadè, nel deserto di Zin.
http://it.wikipedia.org/wiki/David_Ben-Gurion
David ben Gurion, padre della patria Israeliana e primo ministro dopo l’indipendenza del 1948.