Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 16 luglio 2010, n. 16728
Svolgimento del processo
La Piccola Fraternità di Santa Elisabettaimpugnava gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Assisi per omessa denuncia ICI per gli anni 1996 e 1997 relativamente ad un fabbricato nel quale gestiva, secondo le previsioni della L.R. Umbria n. 8 del 1994, una “Casa religiosa di ospitalità”. L’ente ecclesiastico invocava la esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i mentre il Comune, costituitosi in giudizio, negava che ne ricorressero i presupposti. Le Commissioni Tributarie di merito, in primo ed in secondo grado, hanno respinto la tesi della contribuente, che ricorre per la cassazione della decisione d’appello con un motivo. Il Comune di Assisi resiste con controricorso.
Motivi della decisione
La CTR ha considerato che l’attività ricettiva esercitata dalla ricorrente “appartiene alle attività di natura commerciale e rientra, quindi, tra quelle di cui alla L. n. 222 del 1985, art. 16,lett. b, per le quali non è prevista l’esenzione ICI di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i) atteso che tale norma agevolativa dell’ICI richiama soltanto le attività di cui alla lett. a) e non anche quelle di cui alla lett. b) della citata L. n. 222 del 1985, art. 16 svolte dagli Enti Ecclesiastici”.
Col ricorso si deduce violazione di legge (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i, L.R.
Umbria n. 8 del 1994, art. 7, L. n. 121 del 1985, art. 19) e vizio di motivazione su punto decisivo (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si assume, in particolare:
A) che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i nella formulazione applicabile ratione temporis, esenta dall’ICI tutti gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c) destinati in via esclusiva allo svolgimento delle attività istituzionali ivi indicate (fra le quali quella “ricettiva” della Casa Religiosa di ospitalità), anche se adibiti ad attività di natura commerciale. A sostegno della tesi si invoca la L. n. 121 del 1985, art. 19 di ratifica ed esecuzione degli accordi stipulati fra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica il 18.02.1984;
B) che l’attività della Casa Religiosa, poichè gestita “nel rispetto del carattere religioso dell’ospitalità stessa e con accettazione delle conseguenti regole di comportamento e di limitazione di servizio” (come prescritto dalla L.R. Umbria n. 8 del 1994, art. 7), oltrechè col determinante apporto di mezzi non acquisiti a titolo oneroso ma messi gratuitamente a disposizione dall’ente ecclesiastico, non potrebbe qualificarsi come “esclusivamente commerciale”.
Il ricorso sviluppa tesi che questa corte ha ripetutamente esaminato e respinto, con pronunce che il ricorrente dimostra di conoscere, ma rispetto alle quali non spiega argomenti che inducano a discostarsene (Cass. 4645/2004, 6316/05, 18838/06, 25674/08, 24500/09).
Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i nella formulazione (qui applicabile ratione temporis) anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. n. 203 del 2005, prevede la esenzione dall’ICI dell’immobile appartenente ad uno dei soggetti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c) (enti residenti nello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali) a condizione che l’ente lo utilizzi direttamente ed in via esclusiva per una delle attività istituzionali indicate nella disposizione. Fra le attività istituzionali degli enti ecclesiastici sono riconosciute meritevoli del beneficio quelle “di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a” (e cioè “di religione e di culto, quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi ed all’educazione cristiana”). Quelle, viceversa, indicate alla L. n. 222 del 1985, lett. a (“diverse da quelle di religione e di culto”), in quanto escluse dal richiamo, possono rientrare nella previsione agevolativa soltanto in quanto siano riconducibili a quelle, specificamente indicate dalla disposizione, che sono protette per tutti gli enti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e – come per gli enti non religiosi – a condizione che siano svolte esclusivamente allo scopo istituzionale protetto. La dimensione imprenditoriale, anche non prevalente, dell’attività in essi esercitata esclude la condizione cui è subordinata l’esenzione ICI, così per gli enti laici come per quelli ecclesiastici (salvo, per questi ultimi, che si tratti di attività “di religione e di culto”).
Nella specie, pertanto, la CTR ha correttamente applicato la norma invocata, avendo accertato che la attività esercitata nella “casa di ospitalità” non è riconducibile alla “attività di religione” come definita dalla L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a) ma rientra nelle “attività diverse” quali devono considerarsi “le attività commerciali o a scopo di lucro” a norma della L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. b.
Al contrario di quanto immotivatamente sostenuto dalla ricorrente, tale interpretazione della disciplina normativa è bene in linea con la previsione della L. n. 212 del 1985, art. 19 di ratifica del Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica (“Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione e di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza e di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e nel regime tributario previsto per le medesime”) perchè non contrasta – sibbene costituisce puntuale applicazione del principio che le attività degli enti ecclesiastici diverse da quelle di religione restano soggette al medesimo regime tributario stabilito in linea generale per le analoghe attività svolte dagli enti non religiosi.
La considerazione secondo la quale l’attività ricettiva svolta nella Casa religiosa di ospitalità non potrebbe considerarsi di natura “esclusivamente commerciale” perchè espletata con mezzi e criteri diversi da quelli dell’ordinaria attività imprenditoriale è pertanto irrilevante, giacchè nella logica normativa il beneficio è escluso anche se la natura commerciale dell’attività espletata nell’immobile non abbia carattere esclusivo o prevalente. L’argomento difensivo si fonda del resto su elementi di fatto che non risultano dedotti e provati nei gradi di merito, il cui accertamento non avrebbe in ogni caso consentito di equiparare l’attività extralberghiera a quella di religione, come definita dalla L. n. 222 del 1985, art. 16.
È appena il caso di osservare che la interpretazione prospettata dal ricorrente, giusta la quale l’esenzione dall’ICI prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i, sarebbe applicabile agli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici indipendentemente dalla natura commerciale o meno delle attività in essi esercitata, porrebbe il problema della compatibilità della disposizione con l’art. 87 n. 1 del trattato CE, che vieta gli aiuti di Stato che favoriscono talune imprese rispetto ad altre che si trovino in una situazione fattuale o giuridica analoga. Attesa la latitudine della nozione di impresa assunta dalla giurisprudenza comunitaria in materia di concorrenza (che comprende qualsiasi entità che esercita una attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e delle modalità del suo finanziamento (v. sentenze 12 settembre 2000, cause riunite C-184/90 – C-180/98, punto 74); ed atteso che, secondo la medesima giurisprudenza, costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (ibidem, punto 75); non potrebbe invero escludersi che l’esenzione dall’ICI concessa alle aziende di proprietà ecclesiastica riduca per esse soltanto gli oneri normalmente gravanti sul bilancio delle imprese che offrono nel medesimo mercato servizi analoghi, conferendo un vantaggio idoneo ad incidere sulla concorrenza. Nè la natura di aiuto di Stato sarebbe esclusa dalla incidenza diretta sui bilanci dei Comuni della riduzione del gettito dipendente dalla esenzione, essendo l’ICI una imposta istituita dallo Stato e gestita dai Comuni senza autonomia, e senza indipendenza da trasferimenti di risorse finanziarie a carico del bilancio statale (Corte di Giustizia CE, causa C-88/2003, punti 67, 68). Sicchè la normativa di esenzione non potrebbe non considerarsi illegale, in relazione alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, non essendo stata sottoposta al necessario giudizio preventivo di compatibilità da parte della Commissione CE.
Va dunque respinto il ricorso, e condannata la ricorrente al rimborso delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio, liquidate in Euro 2.200,00, di cui 2000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.