Ogniqualvolta ricordiamo la nascita dell’Europa il nostro ricordo va inevitabilmente ad Altiero Spinelli e al famoso manifesto di Ventotene. Ma c’è un personaggio che la storia moderna ha completamente dimenticato e che ora nel Giorno della Memoria è giusto ricordare e rivalutare. Il suo nome era Eugenio Colorni, per la qualità del suo pensiero fu apprezzato sia dagli amici sia dai nemici, in quei tristi giorni per il vecchio continente. Nato a Milano nel 1909 è figlio di una famiglia di commercianti ebrei, il padre Alberto di origine mantovana, è cugino del fisico nucleare Bruno Pontecorvo e del regista Gillo Pontecorvo per parte di madre, Clara Pontecorvo, di Pisa. Frequenta il liceo Manzoni di Milano e si avvicina con fervore al movimento sionista. Nel 1928 è nella segreteria del terzo congresso nazionale della Federazione Sionistica Italiana e l’anno successivo partecipa al Congresso Sionista Internazionale di Zurigo.
Durante gli anni dell’Università di Lettere e Filosofia, si laurea nel 1930 con una tesi su Leibniz, si allontana dal movimento sionista e partecipa alle attività dei Gruppi goliardici per la libertà fondati da Rodolfo Morandi, suo insegnante universitario. Terminati gli studi si avvicina al gruppo Giustizia e Libertà di Milano collaborando anche con quello di Torino guidato da Vittorio Foa. Nel 1931 conosce Benedetto Croce a Berlino. In seguito si trasferisce in Germania dove diventa lettore d’italiano all’università di Marburgo sino a che l’avvento del nazismo lo costringe a rientrare in patria. Qui vince un concorso per insegnanti di storia e filosofia nei licei e viene assegnato al liceo Grattoni di Voghera, nel 1934 gli viene assegnata la cattedra di filosofia e pedagogia all’istituto magistrale Carducci di Trieste. Alla fine del 1935 sposa Ursula Hirschmann, da cui avrà tre figlie, una diciannovenne per metà ebrea appartenente ad un gruppo universitario misto di socialisti e comunisti conosciuta durante il periodo in Germania.
Autore di diversi libri si occupava principalmente del rapporto tra filosofia e scienza rifiutando i dogmi e le ideologie, ma utilizzando l’epistemologia e l’indagine metodologica come riferimento. Collabora anche con diversi giornali culturali e politici. Nel 1935 il gruppo Giustizia e Libertà di Torino viene decimato dagli arresti del regime fascista e Colorni si mette in contatto con il Centro interno socialista nato a Milano nel 1934 di cui presto ne diventerà un dirigente. In quel periodo pubblica numerosi articoli sui giornali “Politica socialista” e “Nuovo Avanti”. Arrestato a Trieste nel 1938, agli inizi della persecuzione razziale, per il “Corriere della Sera” e per il “Piccolo” di Trieste diventa la dimostrazione della cospirazione “giudaica-antifascista”. Dopo averlo rinchiuso nel carcere di Varese per alcuni mesi il Tribunale speciale non riesce a muovergli accuse specifiche e decide comunque di confinarlo per cinque anni sull’isola di Ventotene. In quegli anni l’isola era un crogiolo di pensatori antifascisti che avrebbero poi gettato le basi della nostra sofferente Repubblica. Sull’isola si dedicherà ai suoi studi di matematica e fisica. Tra i suoi vicini di confino ci sono Altiero Spinelli, con cui scriverà anche un libro pubblicato postumo, ed Ernesto Rossi. Con loro collaborerà alla stesura del primo pensiero europeo “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto” più conosciuto col nome di “Manifesto di Ventotene”. Con loro elabora la nuova proposta politica federale europea e si occupa della sua diffusione clandestina utilizzando la moglie, non sottoposta a restrizioni, come corriere, che si concretizzerà con la pubblicazione a Roma nel 1944 del volume “Problemi della Federazione Europea“. In questa pubblicazione curata dallo stesso Colorni questi non compare tra gli autori, ma ne scrive una importante prefazione.
Alla fine del 1941, in seguito alla nascita della terza figlia, riesce a farsi trasferire a Melfi, in Basilicata, da cui fugge verso la capitale nel 1943. Vivendo in clandestinità si impegna nella nascita del Psiup dalla fusione del Psi con i giovani del Movimento di unità proletaria. E’ anche redattore del giornale socialista clandestino l’“Avanti”, collabora alla creazione della prima brigata Matteotti e alla ricostruzione del Partito Socialista della cui direzione provvisoria fa parte. A Milano partecipa alla riunione che vede la nascita del Movimento federalista europeo. Una settimana prima della liberazione di Roma viene fermato per strada da due appartenenti alla banda Koch, la spietata formazione fascista che imperversava nella capitale in quei giorni. In un ultimo disperato tentativo di fuga viene ferito a morte. Spirerà dopo due giorni di agonia in ospedale a 35 anni. Pietro Nenni scriverà: “La sua perdita è per noi irreparabile ed è dolorosa per la cultura italiana ed europea”. Il 25 aprile 1946 gli fu conferita la medaglia d’oro “alla memoria”.
di Marco Pavesi