Siamo stati abituati a percepire le nostre città come centro e periferia, zona ordinata, pulita rispetto a zona caotica e trasandata, individuando il periferico come qualcosa da evitare, orribile in quanto frutto di cementificazione e speculazione. I luoghi marginali sono da sempre guardati con indifferenza anche da chi li abita e con disgusto da coloro che li attraversano; credevamo non avessero nulla da insegnarci, né tantomeno che potessero essere ammirati, quegli spazi così diversi dal centro storico, privi di facciate dall’elevato pregio artistico, chiese romaniche e vie pedonali piene di negozi.
Completamente assuefatti da queste convinzioni, senza nemmeno rendercene conto, abbiamo sempre usufruito delle zone periferiche: lì abbiamo fatto shopping comodamente e godendoci pure il parcheggio, lì ci siamo diretti quando avevamo fretta, lì abbiamo frequentato l’università; è evidente che siamo cresciuti più nella caotica periferia in evoluzione, che non nel lento e statico centro cittadino. La periferia è lo spazio generato dalla modernità e al contempo la scenografia delle nostre vite; si tratta di spazi enormi, rarefatti, ripetitivi, privi di identità. Essi sono autoritari, ostili e pensati per il trionfo dell’automobile sull’uomo; hanno natura complessa e spesso contraddittoria.
Queste aree possono essere definite “junk spaces”, ovvero spazi spazzatura, così nominate dall’archistar olandese Rem Koolhaas nel suo libro “Junkspace”, ove vengono per la prima volta descritte e teorizzate, spiegandone ricchezza, fertilità e attualità. Il Junk Space è oggi ovunque, non è un errore perché nel frattempo è diventato la regola; non è sempre e banalmente uno spazio sporco o degradato, ha una sua regola ma essa varia ogni volta. E’ difficile comprendere cosa è e cosa ancora non è junk space dato che, negli ultimi decenni, i limiti degli spazi periferici si sono dilatati a dismisura inglobando praticamente tutto il mondo costruito. Esso è il paesaggio contemporaneo, quello che era il foro per i Romani è il junk space per noi. Esso è spesso liquidato con la parola “brutto”, eppure è dove andiamo a comprare, passeggiare, studiare, vivere; è uno spazio senza autore né architetto ma occupa più della metà delle nostre città.
Da qui è nata la sfida di investigare, attraverso l’occhio della fotocamera, in modo scientifico (ma anche delirante) la natura complessa e spesso contraddittoria degli spazi periferici della città contemporanea attraverso il caso particolare pavese (che così tanto assomigliano a quelli di molte altre città del mondo non solo occidentale), ponendo particolare attenzione ai suoi aspetti architettonici, sociali e simbolici. Il progetto Junk Space Pavia è stato un indagine aperta a tutti gli studenti e laureati dell’Università di Pavia, inteso a studiare gli spazi, i luoghi e le architetture della Pavia moderna e contemporanea.
Principale strumento di condivisione e confronto è il blog ‘Junk Space Pavia – Osservatorio Suburbano’ (http://junkspacepavia.tumblr.com/) il cui layout, a primo acchito caotico, cerca di riprodurre un’esperienza simile a quella che siamo quotidianamente costretti a subire durante l’attraversamento degli spazi nelle nostre città: un bombardamento costante di immagini e luoghi poco coerenti tra loro che ci disorienta, domina e attrae nello stesso tempo. Per ogni contenuto, una descrizione tra il delirante, il filosofico e l’ironico svela possibili riflessioni e sensazioni, cercando un attivo coinvolgimento da parte dell’osservatore.
Nostro principale partner è l’associazione MoreThanArch (sito web: http://www.morethanarch.it/ pagina Fb: http://www.facebook.com/morethanarch); grazie ai fondi A.C.E.R.S.A.T. dell’Università di Pavia, l’indagine sta avendo come risultato finale l’organizzazione di una mostra fotografica (http://junkspacepavia.tumblr.com/post/23430716730/mostra-fotografica-e-ciclo-di-incontri-junk), con relativa pubblicazione cartacea.
L’evento (completamente gratuito e arricchito da conferenze) si svolgerà dal 23 al 26 maggio presso Motoperpetuo, in Viale Campari 72 (cortile interno), Pavia (programma: http://junkspacepavia.tumblr.com/post/23369475011/mostra-fotografica-e-ciclo-di-incontri-junk-space).
Chi partecipa alla Mostra fotografica e il ciclo di incontri Junk Space
Ci saranno più di 80 fotografie di giovani fotografi pavesi che tenteranno di descrivere la città in cui viviamo, dalle zone residenziali a quelle commerciali, dalle vecchie aree industriali in degrado alle nuove villette di periferia, dai bruschi confini che Pavia ha con la sua campagna agli spazi pubblici irrisolti nel cuore della città.
Tra i fotografi che espongono: Caterina Maria Carla Bona, Riccardo Bruno, Giacomo Carena, Pablo Colturi,
Annamaria Franco, Simone Ludovico, Alessandra Manini, Maila Pellegrino, Giovanni Pancotti, Ruggero Pedrini, Massimo Toesca, Giovanni Zanaboni
Quattro ospiti gli ospiti esterni invitati a parlare, durante le diverse serate, e a discutere le loro personali esperienze di ricerca maturate intorno al tema della città contemporanea.
La prima serata, 23 maggio, Marco Introini fotografo, e architetto di formazione, pubblicato su riviste internazionali, presenterà alcuni lavori sul tema del paesaggio urbano tra cui quello recente sul downtown della città di Detroit. Nella stessa serata sarà presente anche Marco Morandotti, professore associato dell’Università di Pavia, specializzato tra le altre cose in gestione, manutenzione e recupero del patrimonio edilizio, e grande appassionato di fotografia.
Nella seconda serata, 24 maggio, Chiara Merlini, professore associato in urbanistica al Politecnico di Milano, discuterà dei diversi tipi di città dispersa in cui oggi viviamo, con relativi problemi come consumo del suolo, consumo energetico e mobilità, e approfondirà il tema del paesaggio della casa su lotto, tipologia edilizia oggi in grande crisi e all’origine dell’attuale crisi mondiale proveniente dagli Stati Uniti.
Nella terza serata, 25 maggio, Filippo Romano, fotografo di fama internazionale e pubblicato in numerose riviste extra nazionali, presenterà il suo lavoro, con un occhio attento alle inquietudini e ai fenomeni della vita contemporanea permeanti con quelli della città e della vita urbana.
[Riflessi, Pablo Colturi]
«Inevitabilmente, la morte di Dio (e dell’autore) ha generato uno spazio orfano; il Junkspace è senza autore, e tuttavia sorprendentemente autoritario. Il teatro preferito della megalomania – il dittatoriale – non è politica, ma spettacolo. Tramite il Junkspace, lo spettacolo organizza regimi ermetici di totale esclusione e concentramento: giochi d’azzardo di concentramento, campi da golf di concentramento, film di concentramento, vacanza di concentramento. Talvolta non è uno spazio sovraccarico ma il suo opposto, un’assoluta assenza di dettagli, genera ilJunkspace. Una condizione svuotata di dispersione che fa spavento, prova scioccante che così tanto può essere organizzato e costruito da così poco. L’iconografia del Junkspace è per il 13% romana, per l’8% Bauhaus, per il 7% Disney (testa a testa), per il 3% Art Nouveau, seguito a poca distanza dai Maya». [Junkspace, Rem Koolhaas]
[Parassiti metallici, Massimo Toesca]
«Abbiamo costruito più di tutte le precedenti generazioni messe insieme, ma per qualche ragione non possiamo essere misurati alla stessa scala. Non lasciamo piramidi. Il Junkspace è ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso, o più precisamente ciò che si coagula mentre la modernizzazione è in corso». [Junkspace, Rem Koolhaas]
[Benzinaio #01, Simone Ludovico]
«Il Junkspace è post-esistenziale; ti rende incerto su dove sei, rende poco chiaro dove stai andando, distrugge il luogo dove eri. Chi pensi di essere? Chi vorresti essere? (Nota per gli architetti: pensavate di poter ignorare il Junkspace […] ma ora che la vostra architettura è infetta, è diventata anch’essa levigata, onnicomprensiva, continua, contorta, infestata di atri…) Il Junkspace non aspira a creare perfezione, solo interesse. Il Junkspace sembra un’aberrazione, ma è l’essenza, è ciò che conta». [Junkspace, Rem Koolhaas]
di Massimo Toesca