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Studenti alla lavagna

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Scuole pubbliche coreane: un sistema educativo inflessibile

Pubblicato il 07 febbraio 2018 by redazione

Tre anni di scuola materna, sei di scuola elementare, tre di scuola media inferiore (fin qui a frequenza obbligatoria) e tre di scuola media superiore, quattro di università e due anni di master post lauream: secondo i risultati del progetto PISA (Programme for International Student Assessment), indagine internazionale promossa dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il sistema educativo coreano non può essere che uno dei migliori tre in tutto il mondo. Dati alla mano, nel 2003 la Corea del Sud è al terzo posto per le capacità dei propri studenti (in un campione di 4.500 e 10.000) nella matematica, al secondo nella lettura e al primo nella materia del problem solving, capacità di trovare una soluzione logica per un ogni tipo di problema.

Nel 2006 i numeri non si smentiscono: quarta nella matematica e undicesima nelle scienze, la Corea del Sud scatta al primo posto nella lettura. Ma non basta. Il 95% dei coreani di età compresa tra i 25 e i 34 anni (il tasso più alto al mondo) possiede un diploma di scuola superiore e l’82% dei diplomati prosegue con l’istruzione post-secondaria: spesso essa avviene negli Stati Uniti, grazie all’ottima conoscenza della lingua inglese impartite dagli 8.546 docenti di madrelingua inseriti, dal 2010 a oggi, nelle scuole coreane attraverso un programma sponsorizzato dal Governo. La domanda che ora sorge spontanea è come faccia un Paese che fino a poco tempo fa era quasi sconosciuto ad aver raggiunto (e mantenuto) tali livelli di eccellenza: la risposta sta nella rigorosissima disciplina impartita ai giovani coreani fin dalla tenera età. Si parla di ritmi che sfiorano le quattordici ore di studio al giorno, effettuate tra la scuola e gli appositi centri di socializzazione extrascolastica, al punto di sacrificare all’ istruzione anche il tempo libero: lo pretendo i genitori, lo esigono gli insegnanti, lo praticano gli studenti, soprattutto in vista di un’università (405 in tutto il Paese, con un numero complessivo di 3,56 milioni di studenti e 73.072 studenti) in cui l’ammissione è un’ardua impresa. Ma tanta severità cela, dietro di sé, non poche ombre: per esempio solo recentemente è stata resa obbligatoria, in tutta la Corea del Sud, la chiusura dei centri extrascolastici entro e non oltre le ore 22, con conseguente uso di “ronde” delle pattuglie di funzionari che invogliassero gli insegnanti più intransigenti a lasciare liberi gli studenti di tornare a casa. Altro tasto dolente dell’ inflessibile sistema scolastico coreano è l’uso della violenza che, sottoforma di pene corporali, viene inflitta ai giovani studenti: da sempre utilizzata come “metodo educativo” e per questo spesso ignorata, è del luglio 2010 la decisione dell’Ufficio Scolastico dell’area metropolitana di Seoul di interrompere queste pratiche, definite ufficialmente deprecabili dalla legge coreana. Sadismo? Cattiveria? Metodi spiccioli per rendere i giovani più aggressivi e quindi farli avanzare nella società? Forse no: come è tradizione centenaria soprattutto nel Sud, ancora oggi sopravvive il sŏdang, la scuola-villaggio che, in ogni paese della Corea, si prende cura dell’istruzione dei ragazzi seguendo le antiche e sistematiche regole di cultura ed etichetta. Severi maestri spiegano e insegnano infatti ai giovani le grandi virtù della riverenza per gli antenati, del rispetto per gli anziani, dell’attenzione verso gli altri, di moderazione, altruismo e pazienza: tutti valori delle antichissime religioni taoista e confuciana, che gli studenti devono introiettare e mettere in pratica nella loro vita comune. Un patrimonio culturale che è quasi diventato genetico e al quale, nonostante alcuni metodi opinabili, gli Occidentali non devono che guardare con grande considerazione.

di Clara Amodeo

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