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Quando si fa strada l’antipolitica

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Quando si fa strada l’antipolitica

Pubblicato il 09 giugno 2012 by redazione

democrazia

Perchè, dopo gli anni ’80, la principale occupazione della politica è diventata quella di fare selezione elettorale?

Dal volontariato e l’impegno civile dei primi anni della storia dei partiti, si passa al vivere per la politica, al costruire una classe dirigente non necessariamente rappresentativa di una particolare classe sociale. I nuovi politici non fanno altri lavori e quindi sono attaccattissimi al loro impiego: possibilmente a tempo indeterminato. Quest’andamento non ha consentito, però, negli ultimi vent’anni, il ricambio della classe dirigente e la democrazia è andata in crisi. D’altra parte, risponde qualche studioso della politica, se il ricambio fosse stato troppo frequente, come avremmo potuto verificarne l’operato? Un secondo mandato era necessario. Certo, ma è proprio da questa fase in avanti che la classe politica si stabilizza, diviene più fragile e spesso corruttibile.

Il Francia per contenere questo rischio, l’opinione pubblica ha sempre avuto più spazio e proprio per questo è sempre stata molto temuta dalla classe politica, che è riuscita a controbilanciare efficacemente, operando una continua frizione, accompagnata a volte anche da urli, fischi e megafoni. In effetti, senza frizione, senza mettere in pubblico i problemi, la politica evolve in una pericolosa oligarchia. Ma per disporre di una frizione continua, che garantisca una reale democrazia, occorrono mezzi di comunicazione funzionanti, che facciano informazione al di sopra dei poteri forti e soprattutto non asserviti ad un solo unico padrone. Per mantenere sotto controllo il potere occorre frammentarlo il più possibile e adoperarsi per mantenerlo diviso nel tempo.

Perché la nostra democrazia, come molte altre, è andata in crisi?

La democrazia nasce contro il totalitarismo, concede il voto a tutti, uomini e donne, e conclude il suo perfezionamento, dopo la fine della II guerra mondiale, come compromesso tra il capitalismo industriale e la democrazia rappresentativa. Compromesso quindi tra chi disponeva dei mezzi e chi non li aveva. Chi non aveva mezzi otteneva, in cambio del patto sociale, un lavoro e con esso il diritto di esistere. Il patto era sostanzialmente questo: lavorare, creare dei beni, consumarli, pagare le tasse e quindi ottenere i servizi.

I partiti politici nascevano, quindi, unicamente come mediatori per moderare, attraverso le leggi, i rapporti fra queste due classi, che altrimenti non avrebbero potuto fidarsi le une delle altre perché, chiaramente, in aperto conflitto di interessi.

Il capitalista daltronde, aveva tutto l’interesse a creare questo rapporto perché non solo trovava le braccia che gli servivano per produrre, ma alla fine del ciclo “lavoro, creazione dei beni, consumo dei beni, tasse e servizi”, recuperava il proprio capitale, moltiplicato in modo esponenziale.

Alla fine del ciclo, infatti, i capitali investiti producono beni, destinati agli stessi che li hanno prodotti e che saranno sempre poi gli stessi a consumare, acquistandoli a proprie spese, con il proprio salario, a beneficio degli investitori, che moltiplicheranno così il loro capitale iniziale.

Ora la democrazia sta fallendo proprio perché non c’è più circolazione di capitale. I grandi investitori di allora, oggi, attraverso l’economia finanziaria, non hanno più bisogno di far circolare il capitale, ne tanto meno di garantire un lavoro alle masse. E, a dimostrazione di ciò, si sta riaffacciando la differenza tra classi, perché queste non riescono più ad essere mediate dalla politica, ne tanto meno a essere rappresentate.

La politica ha perso così il suo significato/mandato originario, ed è diventa oligarchica e autoreferenziale. Con la crisi mondiale dell’occupazione, nel mondo occidentale, è poi precipitato tutto il sistema, che diventa sempre più difficile salvare.

Il lavoro, che era infatti il cuore dell’intero sistema, ha cambiato di significato e si è completamente dissociato dai diritti. Anzi, esso stesso non è più un diritto, come invece recita ancora l’articolo 4 della nostra Costituzione Italiana: ” La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

La discussione politica ha perso così di interesse e di conseguenza la democrazia si è svuotata di significato. Perché discutere, protestare, votare. Non serve a nulla. Il leader governa e la massa guarda come in un programma televisivo in cui non c’è controparte, ma solo un pubblico, un audience, che attraverso gli share esprime il suo minor o maggior gradimento. In realtà non riesce a guardare granché, perché non è lei a decidere da che parte guardare.

La democrazia non è in pericolo solo nel nostro paese o in Europa, ma in tutto il mondo occidentale. La globalizzazione infatti costituisce un rischio reale e favorisce l’evolversi di grandi imperi, alcuni già in corsa. La democrazia, invece, richiede spazi piccoli, nei quali le persone possano esprimersi in un reale face to face. Lo spazio mondo è troppo grande e più adatto ai despoti.

L’Europa resta quindi forse l’unica vera candidata a preservare e difendere ciò che lei stessa, in un passato non molto lontano, ha partorito e sempre a lei tocca l’onere di provare a costruire le condizioni per una nuova democrazia, che tengano conto di tutti i nuovi sviluppi, economici e sociali.

Questa società democratica, in cui abbiamo avuto la fortuna di nascere e formarci, sembra oggi così scontata, ma si tratta di uno spazio temporale brevissimo, e unico nella storia dell’umanità, in cui tutte le classi sociali, in un modo o in un altro, erano riuscite a esistere e a esprimersi. La politica deve tornare a fare il suo mestiere e trovare delle soluzioni che imbriglino la finanza con leggi e norme che tutelino tutte le parti sociali e i loro diritti, che non sono più solo quelli di un territorio, piuttosto che di un’altro, ma più spesso sono planetari…e come non potrebbe essere, visto che gli interessi finanziari si estendono a tutto il globo.

I Movimenti e l’antipolitica

“Occorre una nuova politica che rimetta il cittadino al centro”. Questo è ciò che affermano i movimenti delle diverse regioni del mondo, rivendicando la loro autonomia nelle scelte politiche, al di fuori dei partiti, perché non credono che la politica possa più cambiare la società.

Anche i social network hanno dato a questi movimenti una forte spinta e una sede di coesione che ha travalicato le sedi dei partiti, i confini locali e nazionali e ha dato l’opportunità, a persone residenti in diversi angoli della Terra, di mettere sul tavolo della discussione i problemi più urgenti, facendosi loro stessi rappresentanti del bene comune, posizionandosi a livello planetario e saltando a pié pari i ruoli e i luoghi della politica.

La flessibilità della rete, negli ultimi 10 anni, ha infatti contribuito a creare un tavolo di discussione di ampio respiro, estremamente democratico, in cui difficilmente un leader riesce ad imporsi per lungo tempo, perché la discussione di fatto viene gestita da una vera assemblea e non da una struttura gerarchica come quella di un partito.

Per comprendere questi movimenti e le loro richieste occorre comprenderne la leggerezza, la freschezza della loro idea di mondo, senza necessariamente interpretarla come antipolitica, m acome spunto ispirazione per un nuovo corso politico.

Forse la politica, troverebbe in questi movimenti proprio i nuovi spunti di rinnovamento che sta disperatamente cercando e che non coincidono con un leader piuttosto che con un altro, ma con una serie di sentimenti generalizzati che partono da grandi masse di individui e a cui occorre dare forma e consistenza  e per le quali occorrono risposte e riforme istituzionali. Avere il coraggio di creare occasioni di incontro con la gente, gli intellettuali, i giovani e tutti coloro che ne fanno parte o ne condividono le discussioni in atto; e prendersi le proprie responsabilità, in particolare quella di essersi persi per strada, quella parte di società da sempre più viva, creativa e partecipativa, che proprio la politica ha rimbalzato ed escluso dal dibattito della cosa pubblica, usandola solo, opportunisticamente, come fornitrice di parole d’ordine, con le quali vincere le elezioni del momento, per nascondersi, subito dopo, negli impegni di partito e di governo.

E ora non c’è da meravigliarsi se per l’Europa imperversano strani movimenti di destra di pericolosa memoria: per i movimenti, destra e sinistra sono solo parole.

Quest’anno, dal 20 al 22 Giugno, a Rio de Janeiro, si svolgerà il Summit sui problemi della Terra, organizzato interamente dai movimenti, e naturalmente questo appuntamento non figura nell’agenda politica di alcun partito, come manca il Social Forum, che quest’anno compie il suo primo decennio …

di Adriana Paolini

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