Archivio Tag | "Oro Blu"

Land Grabbing: lo sviluppo “tossico” del mondo

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Land Grabbing: lo sviluppo “tossico” del mondo

Pubblicato il 31 gennaio 2013 by redazione

congoNell’ultimo decennio è emerso con decisione un fenomeno conosciuto col nome di ‘landgrabbing’. Con tale termine s’intende l’acquisto (o l’acquisizione in concessione per molti anni) di vaste aree e appezzamenti di terreno, principalmente africane e sudamericane, da parte di pochi paesi ‘sviluppati’ o poche grandi aziende, corporations o soggetti economici multinazionali.

Il termine ‘grabbing’, che letteralmente significa ‘accaparramento’, ha assunto un’accezione negativa. Infatti, se da una parte i governi degli Stati venditori affermano che la vendita di parte della propria terra è un’eccellente possibilità di sviluppo per tutti, molte sono le preoccupazioni – sollevate soprattutto dalle ONG che lavorano nelle zone toccate dal fenomeno – relative all’uso dei terreni in questione.

original_BMZgraphLand-GrabPressioni commerciali per l’acquisto della Terra

La ricerca di terreni fertili attraverso i quali i paesi occidentali e i paesi in via di sviluppo – come ad esempio, i paesi denominati BRICS e/o BASIC: Brasile, India, Cina, Russia, Sud Africa) – possano garantire una risorsa agricola per soddisfare l’alimentazione della propria popolazione ha portato alle sopra citate pressioni commerciali sull’acquisto della terra.

D’altra parte, nel 2050, secondo i dati delle Nazioni Unite, gli abitanti del pianeta Terra saranno 9 miliardi e il rischio (e la preoccupazione degli esperti) è quello di un numero sempre maggiore di persone con scarsa possibilità di accedere alle risorse alimentari.

Oltre a ciò, la volontà dei paesi acquirenti di trarre guadagno e profitto dall’accesso a terre non disponibili nel paese di provenienza e/o accessibili solo a costi estremamente più alti, ha portato all’introduzione di monocolture, all’uso del terreno per ottenere qualsiasi materia prima in quantità utili a produrre carburanti biologici e allo sfruttamento delle zone caratterizzate da una discreta presenza di acqua, elemento definito da molti ‘oro blu’, tanto preziosa, ma, altresì, non infinita.

08.09 s01 Bodenschätze Afrika Rieger 2Gli effetti dell’arrivo degli investitori stranieri in terre come quelle africane e sudamericane sono stati diversi e particolari, di caso in caso. Di certo, però, conseguenze comuni del landgrabbing sono: l’impoverimento dei terreni a causa delle monocolture, che li privano della biodiversità necessaria per restare fertili e, alla lunga, li rendono aridi; l’allontanamento dei contadini dalla loro unica risorsa di sussistenza, cioè da terreni considerati di proprietà per consuetudine e non per diritto legale, che, invece, li attribuisce agli Stati. E ancora, il landgrabbing può contribuire all’iniqua distribuzione delle risorse alimentari prodotte dalla coltivazione dei terreni acquisiti, all’inquinamento e al danno ambientale che ha visto, per esempio, un disboscamento continuo e inesorabile della foresta amazzonica a favore dei pascoli per gli animali destinati alla produzione di carne, o finalizzato alla produzione di soia e di altre risorse per i biofuel.

Certo è che, nell’ottica delle istituzioni locali che sovente hanno la proprietà di diritto sui terreni, l’arrivo di investitori stranieri può portare a diversi aspetti positivi: dall’ingresso di capitale straniero nelle casse di economie spesso in difficoltà, all’aiuto che i paesi più ‘sviluppati’ possono apportare, in termini di esperienza, tecnologia e fondi, a sistemi considerati ‘arretrati’.

viso alberoUna concezione ambigua di progresso

Tuttavia, quello che sembra emergere è uno scenario ambiguo che può derivare da una discutibile concezione di progresso. Appare necessario non giustificare azioni dannose sia per le popolazioni locali, che per l’ambiente, sotto il ‘termine ombrello’ di sviluppo, concetto legato alla parzialità dell’Occidente, come ci ricordano le riflessioni dell’antropologo Latouche. Quest’ultimo, infatti, ha più volte sottolineato come l’idea di sviluppo, impensabile per altre popolazioni e spesso non traducibile nella lingua di queste ultime, possa diventare un termine ‘tossico’, soprattutto se in nome di questa idea si portano avanti azioni contrarie alla cura dell’ambiente e al benessere degli abitanti delle zone interessate.

D’altro canto, appaiono necessarie precise politiche mirate ad evitare che le preoccupazioni e le denunce delle ONG presenti in loco abbiano ulteriori conferme e conseguenze a livello socio-politico ed ambientale.

Occorre, probabilmente, un’ulteriore riflessione circa i diritti di autodeterminazione di quei popoli che vivono una terra appartenente a Stati troppo spesso frettolosi nel concedere ad altri il diritto di usarla.

Inaridire i terreni, sfruttarne malamente le risorse, incrementare i tassi di povertà e fame nel mondo, per combattere il problema relativo alla ‘scarsità alimentare’ di alcuni, rischia di portareal circolo vizioso di uno sviluppo non sostenibile per tutti.

di Tomaso Cimino

Commenti (0)

Che fine ha fatto l’idroelettrico?

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Che fine ha fatto l’idroelettrico?

Pubblicato il 17 aprile 2012 by redazione

diga in cascata

La prima fonte di energia rinnovabile utilizzata dall’uomo

L’energia contenuta da una corrente d’acqua sun un qualsiasi dislivello era già ben conosciuta da Greci e Romani, che tuttavia la sfruttavano solo per azionare mulini  da usare per macinare grano o produrre olio; nel Medioevo sistemi più complessi come la ruota idraulica vennero inventati per la bonifica dei campi o per l’irrigazione. Bisognerà quindi aspettare fine Ottocento affinché compaiano le prime vere e proprie turbine idrauliche moderne; fra queste sono ancora oggi regine indiscusse le turbine di tipo Pelton, le Francis e le Kaplan, che costituiscono praticamente la maggioranza delle installazioni.

Quando poi nel 1901 dopo una lunga disputa  George Westinghouse riuscì a installare un sistema a corrente alternata sull’impianto idroelettrico delle cascate del Niagara, vincendo contro Edison e la sua amata corrente continua, fu finalmente possibile trasportare su larga scala l’energia elettrica prodotta da centrali anche lontane, sancendo di fatto l’ascesa di questa fonte energetica. Ne derivò una crescita esponenziale soprattutto nel la prima metà del 21 secolo, in cui vennero costruite dighe a ritmi sempre più incalzanti che interessarono anche i Paesi in via di sviluppo; nel frattempo però  già si faceva forte la voce delle prime contestazioni che avrebbero poi  portato questa tecnologia in secondo piano.

Tanto gentile e tanto onesta pare?

Tralasciando le immancabili critiche sullo scarsa estetica che molti vedono in opere così imponenti  (contro le quali invece altri, soprattutto gli ingegneri, sostengono addiritura l’esistenza di una Bellezza delle dighe da rintracciare nell’imponenza e nei dettagli architettonici che le rendono uniche), occupiamoci invece subito di impatto ambientale.

Un impianto idroelettrico di grandi dimensioni, pur producendo  energia completamente pulita (sono assenti infatti emissioni gassose o liquide che possano inquinare l’aria o l’acqua a contatto con la turbina) presenta maggiori problemi di inserimento ambientale, in quanto la realizzazione di una diga comporta vari cambiamenti all’ecosistema dell’area.

Innanzitutto creando un invaso a monte della diga, si trasforma un regime di acque correnti in un regime di acque ferme, con tempi di ricambi dell’acqua maggiori, il che può portare a una variazione della qualità dell’acqua e quindi una possibile modificazione della vegetazione; a ciò bisogna poi aggiungere le possibili ripercussioni sulla fauna, come ad esempio i pesci che si vedono letteralmente sbarrata la strada.  Diventa quindi sempre più evidente che sfruttare l’acqua dei corsi fluviali per produrre energia non sempre è possibile, soprattutto quando le zone interessate presentano ecosistemi che andrebbero tutelati.

A questo vanno poi aggiunti i capricci della natura: l’acqua si presenta infatti come una “fonte” di energia aleatoria e poco affidabile, la sua disponibilità in quantità tali da poter generare energia elettrica è fortemente influenzata dal clima, dalla semplice alternanza delle stagioni  nelle varie aree geografiche. A tal proposito si ricorre spesso a sistemi con bacini artficiali al posto di quelli ad acqua fluente, con notevoli vantaggi dal punto di vista della capacità installata. L’acqua inoltre diventa sempre più per l’umanità una risorsa scarsa e limitata, tanto da essersi meritata l’appellativo di Oro Blu e tanto da rivestire un’importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti.

turbina  diga

Tra le obiezioni più dure avanzate contro gli impianti idroelettrici vi è poi lo stravolgimento delle zone abitate da destinare alla costruzione delle dighe; negli anni Novanta furono innumerevoli gli episodi di veri e propri espropri, sfratti coatti, violenze perpetrate soprattutto dai governi dei Paesi in via di sviluppo forti dell’appoggio sia economico che politico della Banca Mondiale. Tra gli episodi più sanguinari è nostro dovere ricordare quello del massacro di 480 indigeni, compresi donne e bambini, appartenenti al popolo Maya di lingua Achì nel villaggio di Rio Negro in Guatemala, tra il 1980 e il 1982. La comunità autoctona aveva infatti rifiutato di lasciare le proprie terre e si opponeva con forza alla costruzione della Diga Chixoy il cui progetto era controllato dall’impresa italiana Impregilo e largamente finanziata dalla Banca Mondiale, che anzi anche dopo la strage seguitò a incentivare l’opera [per saperne di più: Centro Documentazione Conflitti Ambientali, sezione acqua  http://www.cdca.it/spip.php?article115].

A mano a mano emersero tante altre vicende precedentemente insabbiate che costrinsero finalmente la Banca Mondiale e la World Conservation Union a fondare nell’Aprile del 1997 la World Commission on Dams (Commissione mondiale sulle dighe), con il compito di studiare a fondo l’impatto ambientale, economico e sociale derivante dalla costruzione di grandi dighe a livello mondiale. Dal rapporto della commissione emersero non solo tutti gli episodi di violenza e lesione dei diritti umani di intere popolazioni, ma anche i fraudolenti interessi di costruttori e lobby pro dighe che ponevano l’accento solo su presunti benefici economici mentre sottovalutavano o addirittura ignoravano le conseguenze sull’ambiente e i civili. Inoltre la commissione denunciò come la maggior parte delle opere realizzate fosse di scarsa qualità sia nell’edilizia che nella sicurezza, tanto da causare spesso incidenti catastrofici come il disastro del Vajont del 1963 con 1981 morti accertati o l’incidente presso la diga del bacino di Banqiao in Cina che conta oggi 171000 vittime.

Il lavoro della commissione ebbe come principale ripercussione un ripensamento generale sulle dighe, che in alcuni casi si concretizzò addirittura con lo smantellamento di alcune di esse. Oggi la costruzione di una diga è un progetto imponente che richiede importanti sforzi di valutazione di rishio e impatto socio-ambientale che possono protrarsi anche per molti anni.

Idee per il futuro

L’ondata di critiche che per la fine del secolo scorso ha letteralmente sommerso il mondo dell’energia idroelettrica derivava principalmente dall’evidente incapacità di governi e costruttori e dalla negligenza e superficialità di questi nel considerare seriamente le tematiche ambientali e umani, il che ha ingiustamente  gettato nell’ombra una tecnologia molto promettente. Per fortuna la ricerca è invece proseguita sui suoi passi e oggi mette a disposizione turbine sempre più efficienti, mentre sul fronte della progettazione un ruolo sempre più significativo è svolto dalle costruzioni più piccole, ovvero le “piccole” dighe che sfruttano modesti salti d’acqua (anche inferiori ai 5 m) e che possono quindi essere più facilmente inserite nel contesto ambientale senza sconvolgere eccessivamente gli ecosistemi.Per le ridotte dimensioni di questi impianti si parla infatti ormai di micro-idroelettrico e anzi alcuni progetti  sembrano ormai decisi a voler fare a meno delle dighe. L’idea generale è quella di porre turbine idrauliche progettate ad hoc direttamente nei letti di grandi corsi fluviali caratterizzati da una portata più o meno costante (anche se teoricamente il mini-idroelettrico potrebbe essere applicato anche a canali di scarico di industrie e acquedotti urbani). Le micro-turbine verrebbero posizionate su piloni ancorati al fondale e permetterebbero di sfruttare anche i dislivelli più modesti evitando così di provocare ulteriori danni all’ambiente. Un progetto importante è già in via di sviluppo negli Stati Uniti, dove la Federal Energy Regulatory Commission (FERC) americana ha approvato le indagini preliminari per valutare la proposta di Free Flow Power di installare centinaia turbine idroelettriche nelle acque del fiume Mississippi. Va inoltre ricordato il contributo fondamentale di SMART  [info al sito: http://www.smarthydro.eu/] un progetto della Provincia di Cremona cofinanziato dal Programma Intelligent Energy Europe della Commissione Europea e che si propone di promuovere e incentivare il micro-idroelettrico a livello locale e globale andando a sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sulla necessità di esplorare una tecnologia idroelettrica meno invasiva.

Insomma il futuro dell’energia idroelettrica non è da dare per spacciato, anzi le idee non mancano e si direbbe che il mondo della ricerca è in fermento per preparare un ritorno in grande stile della Signora delle rinnovabili.

di Corinne Nsangwe Businge

Commenti (0)

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK