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Milano 15 e 16 Settembre 2012 – Elettrocity: la mobilità elettrica

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Milano 15 e 16 Settembre 2012 – Elettrocity: la mobilità elettrica

Pubblicato il 16 settembre 2012 by redazione

i sabati di elettrocityNei primi due giorni di apertura ha superato quota 1.800 – ed è destinato a crescere rapidamente nel week end – il numero dei “battesimi elettrici” avvenuti ad Elettrocity, il più grande evento di promozione della mobilità sostenibile mai organizzato in Italia, che chiuderà i battenti stasera, domenica 16 Settembre alle 21 a Milano, via Foppa 49.

Adulti e giovani sono stati conquistati a centinaia dall’esperienza unica ed emozionante di guidare per la prima volta un veicolo elettrico a emissioni zero: ‘’impressionante il piacere del silenzio’’, ‘’vanno benissimo’’, ‘’divertenti, utili, sorprendenti’’, ‘’non credevo di trovarmi così facilmente a mio agio’’, ‘’era ora!’’, ‘’torno domani, questa bici è forte’’… sono solo alcuni delle decine di sms e post ricevuti dagli organizzatori di Via Foppa 49.

Oltre 50 sono i veicoli da provare su strada all’interno di Elettrocity, personal mover, biciclette, scooter, micorcar e automobili che, fino a domenica sera – possono essere acquistati con sconti speciali dal 5 al 20%, un incentivo a cambiare abitudini oggi offerto dai produttori e distributori presenti ad Elettrocity in occasione della Settimana Europea della Mobilità Sostenibile che comincia oggi, 16 settembre.

Per questa prima domenica ‘a piedi’, voluta dal Comune di Milano, Elettrocity sarà comodamente raggiungibile con un servizio di navetta – elettrica naturalmente – in partenza dalla fermata della 50 in Via S.Vittore (MM S.Agostino) ogni 30 minuti.

Le videocronache dell’evento sono pubblicate su www.elettrocity.com, il sito dove ci si può registrare fino alle ore 12 di domenica per ricevere via email un Test Bonus gratuito che da diritto a provare il veicolo elettrico che più vi piace.

Comunicato stampa a cura di Serena Poma

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Il Dalai Lama e la Via della Felicità

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Il Dalai Lama e la Via della Felicità

Pubblicato il 10 luglio 2012 by redazione

Il 27 e il 28 Giugno, al forum di Assago, il Dalai Lama ha incontrato il popolo di Milano. L’incontro che riportiamo in questo articolo è quello del 28 pomeriggio, ovvero quello dedicato alla via della felicità. 

Alla conferenza il Dalai Lama ha esordito dicendo: “Quando ho l’opportunità di fare discorsi mi sento una persona felice, uno come gli altri, siamo tutti esattamente uguali, se invece mi presentassi a voi come monaco tibetano tra noi si creerebbe già una distanza.”

Continuando poi su questo discorso, il Dalai Lama ha spiegato che se noi comunichiamo con gli altri basandoci su ciò che abbiamo in comune (ad esempio la volontà di star bene ecc..) invece di guardare le differenze, più spesso solo superficiali, evitiamo di far nascere conflitti e discriminazioni tra di noi. Concetti come questi valgono anche in nuclei più piccoli, come ad esempio la famiglia: se all’interno di essa vi si trova una persona egoista si perde la fiducia, il calore e l’unione. La felicità arriva quando c’è fiducia, quando manca sorgono la gelosia e il conflitto.

L’uomo tende troppo a pensare a se stesso invece che agli altri: ora però ci troviamo in un mondo globale, non ci sono più popoli autosufficienti come una volta, bisogna quindi pensare a noi stessi come a tutta l’umanità. La popolazione delle hawaii dice “il mio sangue è il tuo sangue e le mie ossa sono le tue ossa”. Se pensiamo in grande anche noi, riusciremo ad andare più lontano.

Dopo questa introduzione il Dalai Lama ha iniziato a parlare della sua vita.

Nato nel ’35, ha visto molte guerre nel corso della sua esistenza, ed è stato testimone di questi conflitti. L’avvento del XX secolo è stato pieno di invenzioni, che dovevano essere scoperte sensazionali, invece sono state utilizzate per la guerra. I conflitti ai quali il Dalai Lama ha assistito in ogni caso non sono stati episodi indipendenti, ma erano tutti frutto degli errori del secolo precedente: la sua proposta è di rispondere con il dialogo e non con le armi. Questo pensiero andrebbe insegnato a partire dai più piccoli, e sarebbe bello se fosse abbastanza efficace da indurre gli stessi figli a dirlo ai propri genitori, per non farli litigare: bisogna far sì che il XXI secolo diventi il “secolo del dialogo”. 

Dalailama Forum Assago

È il dialogo che risolve i conflitti, e si basa sulla vita e sul diritto degli altri, e ci rende consapevoli che siamo fratelli e sorelle. Questa morale non si basa su un sistema religioso, bensì sull’intelligenza, che analizza come ottenere vantaggi ed evitare gli svantaggi: se siamo onesti la gente si rivolgerà a noi in amicizia. Molta gente vede nella felicità la ricchezza, e il Dalai Lama dice ai proprio amici ricchi “Quando sei triste cosa fai? Baci il tuo diamante sperando che ti consoli? A questo punto è meglio un gatto che ti fa le fusa”.

L’uomo è un animale sociale, fin da piccolo è dipendente dall’affetto altrui.

Se non c’è rispetto per gli altri l’uomo si crea da solo la propria solitudine, l’etica morale non scaturisce da leggi o religioni, ma dalla consapevolezza del benefico. Studi dimostrano come i sentimenti negativi diminuiscano l’efficienza del sistema immunitario, mentre i sentimenti felici facciano sentir meglio le persone. La domanda è: cosa bisogna fare per cambiare? E la risposta è: l’istruzione. In India ci sono già linee guida d’istruzione per creare un modo di pensare nei ragazzi, e partono dall’età più piccola fino alle scuole superiori.

Il Dalai Lama si è poi soffermato sulla paura dividendola in due tipi: quella basata su cose vere, che è utile per prepararci, e quella basata sulle proiezioni mentali che invece è inutile, perchè quando ci troviamo ad affrontare una tragedia, dobbiamo approcciarci ad essa in modo realistico, usando la nostra intelligenza al massimo per trovare una via d’uscita, sforzandoci quindi di eliminare il problema. E se quella tragedia fosse stata comunque inevitabile allora perchè essere tristi? Meglio accettare la cosa e rilassarsi. Esistono due aspetti umani da considerare: l’avversione (sia positiva che negativa) e l’ego, che al negativo porta all’egoismo, mentre al positivo porta alla sicurezza personale, che è la base per portare beneficio agli altri.

 

A conclusione dell’insegnamento il Dalai Lama ha risposto ad alcune domande.

Come posso applicare questo modo di pensare alla vita di tutti i giorni?La felicità e l’amore vengono sopra agli altri, e da lì inizi ad aiutare gli altri ad esser felici.

Lavoro in ospedale come medico, i pazienti sono diventati numeri, la loro sofferenza è sempre più grande. Come posso alleviare la loro sofferenza in un periodo di così profonda crisi?

Questo è difficile. Per esempio le malattie: le persone che hanno un sistema immunitario forte è difficile che si ammalino, mentre per chi è più debole basta poco, dobbiamo pensare la stessa cosa anche a livello mentale, chi è forte attraversa con più felicità le cose della vita. Nel tuo piccolo dimostra di essere molto preoccupata per loro, gli darai speranza.

Come possiamo affrontare la separazione da chi amiamo? La morte?

Ci sono approcci diversi, religiosi e atei. Se sei ateo l’approccio dev’essere realistico, ovvero ci sono persone che muoiono tutti i giorni, tocca a tutti prima o poi, il cimitero è la nostra destinazione finale. Se invece credi in Dio ti affidi a lui, se credi in altre religioni ti affidi alla reincarnazione, e se nel momento di morire pensi male ti reincarni male mentre se pensi con amore è più probabile che avrai una vita migliore dopo questa.

Sono uno studente di economia, sono circondato ogni giorno da gente che non ha idea del futuro e che critica il mondo, come possiamo mantenere la speranza di fronte a difficoltà quali il capitalismo?

E’ quello che ho detto prima, vedi la società è troppo improntata sulla competitività e non sui valori, dobbiamo avere strategie lungimiranti, familiarizzare con queste dottrine. E’ un po’ come se non ci sono problemi non dobbiamo risolverli, qui pensiamo di avere molti problemi, in Africa invece va peggio, quindi un africano vedendo noi dice “beati loro che non hanno problemi”Ogni problema nasce da un modo di vedere limitato, ora è il momento delle nuove generazioni, avete tutto il tempo di addestrarvi. Alcuni problemi ci sono e resteranno, altri invece si possono risolvere, semplicemente migliorando il modo di pensare.

A conclusione di tutto ha preso la parola una signora che ha letto l’ammontare del ricavato dell’evento e i suoi futuri utilizzi.

Il ricavato totale è stato di 628.000 € dei quali 465.000 € sono stati utilizzati per l’organizzazione dell’evento (traduttori ecc) e i restanti 163.00 € veranno devoluti ad attività solidali, nello specifico:

– il 40% al Dalai Lama Trust, ovvero i progetti del Dalai Lama.

– il 30% alle attività del Ghe Pe Ling, sotto la guida del Dalai Lama.

– il 30% a progetti di solidarietà del Ghe Pe Ling, per i tibetani profughi e i detenuti delle prigioni milanesi.

di Francesca Pich

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Le radici della crisi economica del mondo occidentale

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Le radici della crisi economica del mondo occidentale

Pubblicato il 06 maggio 2012 by redazione

L’Italia si sfalda e sfuma il progetto di un’economia nazionale

Triangolo-To-Mi-GeNegli anni 50’ si parlava del Nord Italia come del triangolo industriale, Milano-Torino-Genova, deputato e demandato allo sviluppo del Paese.

Negli anni 80’ cresceva la media impresa, che esportava sul mercato internazionale il “made in Italy” e al triangolo industriale si aggiungevano Treviso, Vicenza, Cuneo e Alessandria: l’occupazione cresceva in maniera straordinaria. Allora la Lombardia era il fulcro del Pil nazionale. Milano, dunque, capitale del terziario e della moda, e Torino votata all’industria; Milano città mercato, Torino l’organizzazione. La Lombardia negli anni si stabilizza e si rafforza e Milano si fa città globale, secondo alcuni la 7° città globale del Mondo. Torino invece resta indietro, perde la sfida e manca l’affaccio sui mercati internazionali.

Nel 2008 inizia la crisi, o meglio si manifesta. Milano, internazionale, sfrutta l’occasione europea e si colloca oltre oceano, non rispecchia più l’Italia risorgimentale che vedeva il Sud come grande serbatoio interno di manodopera a basso costo per le grande industrie del Nord, o per quelle trasversali al Paese come le autostrade, ma guarda ai grandi mercati del mondo, spingendosi verso la produzione di beni immateriali,  completamente scollata dal resto del Paese e ad un certo punto ottusamente votata al federalismo con un’assoluta mancanza di senso dello Stato e di Nazione, fino alle estreme conseguenze, che vedono la nascita della Lega e del Berlusconismo. Una Milano egoista, che sogna per sé e non ne vuol sapere del resto dell’Italia.

Dall’altra parte il Sud dopo varie migrazioni, prima verso l’America, tra la fine dell’Ottocento e i primi quarant’anni del Novecento, poi, alla fine della seconda guerra mondiale, verso il Nord del paese, si rivolge infine allo Stato come Welfaregate, per trovare le risposte ai propri bisogni economici: lo Stato si fa volano dello sviluppo economico e sociale del Paese.

anni50Alla fine degli anni 80’ si tirano le somme di questo forte statalismo, che ora è visto come impedimento allo sviluppo, e si decide di tagliare le strutture pubbliche e insieme a queste anche i grandi poli industriali come, per esempio, quello dell’Italsider, con la dismissione di 5000 operai. Questo è l’inizio della fine della grande industria e al contempo della grande classe operaia. In quegli anni qualcuno, semplificando, denunciava che non c’erano più soldi, che bisognava darsi da fare, che lo Stato assistenziale era finito e che al Sud l’industria non era riuscita a decollare perché c’era stato troppo Stato. Al Nord nel frattempo nascono e fioriscono invece le piccole e medie imprese, orfane di un progetto economico comune e nazionale, che la Lega traduce come ragione e giustificazione del non dover più stare insieme. A seguito di questo e di una maggior globalizzazione, anche lo Stato nazionale perde un po’ della sua funzione, ma soprattutto cambiano i presupposti capitalistici, che evolvono da industria a finanza: il capitale non più ancorato al territorio, va dove vuole, dove ha più convenienza. Nel Sud del Paese le risorse dello Stato si interrompono, così come quelle europee e il Meridione si arena completamente, privato di ogni ammortizzatore sociale. Anche le infrastrutture restano carenti e l’alta velocità riesce ad arrivare solo fino a Napoli. Il centro del Mediterraneo, il cuore del Sud dell’Europa, sembra proprio aver perso l’opportunità di affermare la propria centralità geopolitica e di far emergere tutte le sue possibili valenze, che se ben valorizzate e incanalate potrebbero evolvere in nuove economie sostenibili. C’è poi il problema della criminalità organizzata che con il suo clientelismo e la sua nuova vocazione finanziaria non permette facilmente l’evolversi di aziende e imprese terziarie. Anzi, i fiumi di denaro destinati alle imprese del Sud vengono invece recuperati dalle aziende del Nord e gli impianti acquistati, rivenduti ai Paesi del Terzo Mondo. E’ una battaglia difficile, che si combatte direttamente sul territorio e vede impegnate tutte le forze dell’ordine e della magistratura, ma che ha parte dei suoi gangli, radicati proprio nell’amministrazione e nella politica, troppo legata ai grandi interessi economici del territorio. L’integrità morale è saltata, cosi come la correttezza, e lo sviluppo economico si ritrova strettamente imbrigliato nelle sue maglie, così come il suo destino. Anche per questo l’Europa rappresentava per l’Italia una grande via di fuga, uno sbocco verso lo sviluppo, in ritardo di 40 anni rispetto a tutti gli altri paesi, persino verso la Spagna.


2006 crisi immobiliare degli Stati Uniti d’America

Nell’America di Grissman la politica monetaria pompava prestiti a gogò, e a basso interesse, alimentando bombe speculative, sia per i mutui delle case che per le aziende e invogliando gli americani a vivere al di sopra dei propri mezzi per almeno una decina d’anni. Raggiunto un alto livello di indebitamento individuale rifinanziavano il mutuo, basandosi su una tenuta stabile del valore delle case. Le banche a quel punto, dovendo accollarsi il rischio, decisero di impacchettare questi debiti e di cederli a terze parti finanziarie, facendo così crescere il rischio immobiliare fino all’esplosione della bolla e della crisi totale di tutto il sistema finanziario della cartolarizzazione (alias derivati), che provocò la sfiducia massiccia degli investitori e degenerò in un effetto domino globale, che mandò in crisi imprese e stati: dopo quella del 29’, questa è stata la crisi economica più pericolosa. I governi sapevano già dove si stava andando, ma non dove si sarebbe arrivati. All’inizio era infatti tutto abbastanza scontato: abbassare il costo delle case, facilitare l’accesso ai mutui, spingere verso una ripresa economica, movimentare il denaro liquido. In Spagna l’indebitamento immobiliare è arrivato al 27%. L’azzardo si è spinto molto oltre fino a incriccare il sistema finanziario globale, ma nessuno ha chiesto conto a questi esperti finanziari, confezionatori di derivati avariati, di assumersi le proprie responsabilità. Perché le banche non hanno controllato, perché le società di raiting cinesi, francesi, americane, non hanno segnalato i forti guadagni che entravano a fiumi nelle casse dei protagonisti di questo colossale affare. Quali sono gli organismi mondiali che dovevano monitorare, segnalare e porre rimedio ai danni ancora in essere, creando nuove regole a garanzia di tutti. Sta di fatto che la forbice tra ricchi e poveri si è aperta molto di più. Anche lo squilibrio tra le grandi nazioni come Cina e America è aumentato drasticamente e vede il 50% dei debiti americani concentrati sulle spese militari e solo il 25% sullo sviluppo. Di contro l’impegno cinese sullo sviluppo è massimo e su quello militare è quasi nullo. Risultato: la crescita economica cinese galoppa e la Cina siede ai tavoli più importanti del mondo e fa pesare il proprio voto nelle grandi decisioni globali. Il mondo è visibilmente cambiato e gli stipendi medi cinesi stanno raggiungendo quelli medi americani (lo stipendio di un ingegnere cinese è già pari alla metà di un ingegnere europeo), fermi invece al 1973 (30000 dollari netti all’anno), proprio come lo sviluppo economico americano.


Quo vadis EuropeQuo vadis Europa ?

L’Europa dal canto suo resta unita solo come moneta, interessata unicamente a salvare gli interessi dei paesi membri più forti, ma non a costituire una vera unità economica, politica e sociale: ovunque si sta facendo politica industriale, mediata dal governo e dal sindacato, il governo Obama ne è un esempio lampante, ma non in Europa.

L’attuale situazione produttiva europea, nell’ambito delle aziende manifatturiere è sinteticamente questa: Germania 27%, Francia 11%, Spagna e Inghilterra 11% e Italia (Nord) 6%.

La disparità con il sistema mondo è enorme. C’è di buono che la Cina riconosce ancora oggi il primato della moneta all’euro e non al dollaro, e implicitamente con questa preferenza mette in crisi e sottolinea di non accettare la supremazia, fino ad ora incontrastata, dell’egemonia economica americana. Fatto non da poco se si pensa al peso demografico cinese: 1/5 dell’intero mondo, 22.000 km di binari ferroviari completati entro il 2020, una camicia di buona qualità a un prezzo medio di 5 euro.

In Europa questa pressione-concorrenza con gli altri grandi paesi del mondo non solo sta bloccando la crescita economica, l’occupazione e il potere d’acquisto di uno stipendio medio, ma sta già mettendo in crisi pericolosamente anche i servizi-diritti sociali (scuola, sanità, tutele sindacali e pensioni).

L’Unione Europea ha forti responsabilità verso tutti i Paesi membri perché non ha rifiutato la globalizzazione, ma si è lasciata attrarre anch’essa dai miraggi finanziari e invece di promuovere una vera integrazione, ha promosso solo una politica monetaria a favore di interessi privati, condannando i Paesi membri più poveri a pagare il prezzo e il sostegno delle politiche economiche dei Paesi europei più ricchi.

L’Europa ha dei doveri e delle responsabilità che ormai non può più rifiutare, fosse anche, e non è poco, perché con la sua moneta rappresenta la seconda potenza economica del mondo. Ma come potenza è decisamente stravagante, non dispone neppure di una rappresentanza internazionale unica e siede ai tavoli del mondo con tutti i suoi Stati membri che detengono il potere di voto. Ogni Stato membro mantiene la possibilità di fare nel suo territorio tutto quello che vuole, così ad esempio ogni stato può stabilire dei dazi interni. L’Unione non si fa carico degli impegni presi dalle istituzioni pubbliche locali, né dei debiti che le stesse maturano in ogni singolo Paese. L’Unione non si impegna ad aiutare i Paesi in difficoltà, salvo fargli un prestito. Se però uno Stato membro va a gonfie vele e alza il livello di qualità della vita e dei servizi europei, impone di fatto un impegno economico maggiore agli Stati membri più poveri (un po’ come in una società per azioni quando qualcuno fa un rialzo di capitale: chi non riesce a stare al passo è fuori) che decidono sempre meno e che, per pagare, si indebitano sempre di più proprio con le “banche centrali europee”. Eppure senza Unione Europea, non si resta nel mondo e anche questo è un fatto. Forse davvero,  si dovranno stampare gli eurobond, riservandone una parte per il rilancio economico di tutta l’Unione ma, cosa non meno importante, bisognerà guardare all’Europa come veicolo di salvezza della democrazia. Questa, infatti, investita dalla fine del capitalismo, dagli interessi della nuova finanza, dai nuovi imperi protezionistici, sta scivolando in un pericoloso populismo che richiama echi aberranti neofascisti e antisemiti. I Paesi membri più ricchi hanno dunque una forte responsabilità nei confronti del mondo occidentale, che nei prossimi anni non si dovrà limitare a ricercare soluzioni alla crisi economica, ma che si dovrà seriamente impegnare nella difesa della democrazia.

di Adriana Paolini

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