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Quale futuro per i giovani. Lo abbiamo chiesto ad Antonio Pizzinato.

Pubblicato il 15 gennaio 2012 by redazione

Una testimonianza di Antonio Pizzinato, ex segretario generale nazionale della CGIL, alla metà degli anni ’80 per fare qualche previsione sul futuro.

 Cosa ricorda degli anni ’70 a Sesto San Giovanni?
“Le grandi lotte fatte nel ’66, ’67, ‘68 fino all’autunno caldo del ’69: le 40 ore, parità tra operai e impiegati, sicurezza sul lavoro, lo statuto dei diritti dei lavoratori e la realizzazione del Servizio Sanitario. Il momento più alto fu l’elezione dei 1300 delegati sindacali, sulla base del nuovo statuto dei diritti dei lavoratori, la legge 300 del 1970 e la costituzione del SUM, Sindacato Unitario dei Metalmeccanici, che anticipava la Federazione Unitaria Nazionale e la costituzione della Federazione Lavoratori Metalmeccanici.”

Come evolve nel tempo il distretto industriale di Sesto?
“Sesto era la città delle fabbriche, a partire dalla prima colata della Falck nel 1906 e cessa nel ‘96 con l’ultima colata. Nel mezzo, negli anni ‘30, i lavoratori erano il doppio degli abitanti, più di 25.000.
Fra i ricordi, la mia prima trattativa per l’OSVA che chiudeva senza pagare gli stipendi. Ci si accordò allora con il genero di Valsecchi per una indennità straordinaria. In pratica gli operai continuarono a produrre vasche da bagno di ghisa per un altro mese, che vennero poi consegnate ad una banca per la vendita e con i proventi furono pagati gli stipendi arretrati e l’indennità di fine rapporto. Pochi mesi dopo, in viale Marelli, al posto della OSVA, sorgeva il Colosseo. La seconda importante trattativa fu quella con Intersind a Milano per la chiusura della Breda Ferroviaria senza licenziamenti.
Le battaglie degli anni successivi furono per il ‘salario garantito’, la CGI all’80%, contro i licenziamenti alla Magnetti Marelli A.”

Che destino auspica per le aree industriali dismesse a Sesto? Lussuose residenze come quelle della Campari o progetti innovativi di incubazione aziendale?
“Mi auguro che si pensi a insediamenti di unità produttive innovative, come i distretti ex Breda, Pirelli Sapsa, ex Falck Concordia e collaborazioni con l’Università, per costituire un Centro di ricerca e di proposta del nuovo.”

Quale futuro vede per i nostri giovani, laureati e non, stoppati sul nascere da anni di stage formativi gratuiti.
“Per la prima volta, dopo la Liberazione, assistiamo ad un peggioramento delle condizioni di lavoro delle nuove generazioni. E’ quindi necessario ripensare ai tipi di contratto nazionale, che da 400 vanno unificati in un massimo di 12- 15. Io facevo l’apprendista, ma ogni 6 mesi andavo avanti e dopo 3 anni ero un operaio qualificato e poi specializzato.”

Ma chi se ne deve occupare? Ho l’impressione che manchi la comunicazione, che il sindacato oggi aspetti che il lavoratore arrivi da lui invece di andare a cercarlo.
“Quando arrivai a Sesto la FIOM contava 4.000 iscritti. 10 anni dopo, grazie ai nuovi rapporti stabiliti, erano quasi 29.000. Certo il sindacato era sempre aperto, anche la domenica fino a mezzogiorno.
Ora i lavoratori, dispersi in piccole o microscopiche realtà produttive, vanno cercati e promossi incontro serali nei quartieri, per costruire le piattaforme rivendicative che, nella diversità di professioni e nella forte mobilità di oggi, riportino parità di diritti sociali e retributivi.”

Ma come costruire un paese di diritto senza un piano di sviluppo economico?
“Da un mio studio economico-industriale della Lombardia, emerge che il numero degli attuali lavoratori è pari a quello del 1951, ma negli anni ‘70 l’industria era il 70% della forza produttiva regionale, oggi è solo il 30%. Il problema degli investimenti e dello sviluppo è a monte delle condizioni di lavoro. Il cambiamento epocale a cui assistiamo, e che andrà avanti ancora,  riguarda tutto il mondo e determina un profondo mutamento nei rapporti e nelle attività lavorativi. Il sindacato deve costruire una strategia – che coinvolga, in piena autonomia, anche le forze politiche  e culturali – che porti ad assicurare, rispetto al cambiamento economico-produttivo, e dei “mondi del lavoro”, parità  ed eguaglianza di diritti contrattuali, sociali e civili e una strategia per affrontare e uscire dalla crisi con la coesione sociale  ed una effettiva capacità di governo delle trasformazioni.”

In quale modo possiamo contrapporci alla mancanza di gestione dei problemi da parte delle istituzioni?
“Quando ero ragazzo, Di Vittorio mi insegnò che per conquistare dei diritti occorreva sì una strategia generale, ma al contempo, in relazione ai propri rapporti di forza, ci si doveva dare obiettivi intermedi.
Nel ‘52 Di Vittorio propose lo statuto dei lavoratori, ma non si fermò ad aspettare. Disse ‘basta licenziamenti per maternità’ e si fece la legge e nel ‘60 disse ‘basta lincenziamenti per matrimonio’ e si fece un’altra legge e nel ‘70 si conquistò lo statuto.”

E chi porterà avanti queste battaglie?
“La CGIL al prossimo congresso dovrà affrontare questi temi.”

di Adriana Paolini

Biografia di Antonio Pizzinato
Nato a Caneva, Friuli, nel 1932, da famiglia contadina, nel 1947, a 14 anni, trasferitosi a Milano lavora come operaio alla Borletti. Attivista della CGIL, nel 1954 è eletto membro della Commissione Interna. Nel 1964 è responsabile FIOM-CGIL Sesto, nel 1975, Segretario Fiom-Cgil provinciale, poi della Camera del Lavoro di Milano e della Cgil Regionale Lombardia.
La sua carriera culmina in Segreteria nazionale dal 1984 al ’91 con l’elezione a Segretario generale della CGIL, nel 1986, fino al 1988. Nel contempo era Consigliere CNEL e Vice Presidente CES – Confederazione Europea dei Sindacati-.
Nel 1992 è eletto deputato e nel 1994 consigliere comunale di Sesto, poi  nel 1996 al Senato, Sottosegretario al Lavoro nel primo Governo Prodi. Quindi  vicepresidente della Commissione sulle “morti bianche”.
Attualmente è Presidente regionale ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – Lombardia.

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