Archivio Tag | "batterie"

Se il petrolio finisse domani… Aftermath: World without oil

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Se il petrolio finisse domani… Aftermath: World without oil

Pubblicato il 10 novembre 2015 by redazione

Intro_petrolio

 

Quanto dipendiamo dall’oro nero lo ha ipotizzato Rob Minkoff

Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se il petrolio finisse domani, all’improvviso? Se non l’avete mai fatto (come è probabile che sia), sappiate che al posto vostro ci ha pensato Rob Minkoff, ideatore per la televisione canadese del documentario Aftermath: World without oil, in cui si ipotizzano gli effetti che avrebbe sulla nostra vita la scomparsa improvvisa di questo combustibile fossile. Il punto di partenza del documentario è sicuramente fantascientifico, in quanto (purtroppo o per fortuna) la fine del petrolio non è così imminente; tuttavia costituisce un’ottima base per andare ad analizzare quanto profonda sia la nostra dipendenza dall’oro nero. Esso, infatti, a causa della sua versatilità e del suo relativamente basso costo di estrazione, viene utilizzato per gli scopi più disparati, dalla produzione di energia (il 90% di quella utilizzata per i trasporti deriva dal petrolio), alla fabbricazione di materie plastiche, fertilizzanti, medicinali, cosmetici e molto altro.

 

Un giorno senza petrolio

AftermathWorldWithoutOil

Il primo giorno dopo la fine del petrolio viene ipotizzato come il più difficile da affrontare dal punto di vista psicologico: i Governi degli Stati, mossi dall’incertezza sul da farsi e dal panico dei cittadini, compiono mosse che cercano di diminuirne il più possibile il consumo. Le Nazioni esportatrici decidono, così, di richiamare le proprie navi cariche di greggio e, in generale, tutti i Paesi fermano i mezzi di trasporto che non ritengono di vitale importanza (compresi gli aerei).

Allo stesso tempo, l’economia e la finanza subiscono un grave tracollo: le contrattazioni in borsa vengono sospese a causa del panico (così com’è avvenuto dopo l’11 settembre) e milioni di lavoratori, legati direttamente o indirettamente al settore petrolifero, rimangono a casa disoccupati.

Uno dei Paesi a subire le conseguenze più gravi sono gli Stati Uniti, che, pur avendo a disposizione una riserva di 725 milioni di barili di greggio, ogni giorno ne importano 8 milioni e ne consumano più del doppio.

 

Cinque giorni senza petrolio

Dopo nemmeno una settimana senza petrolio, il mondo occidentale deve affrontare un numero sempre crescente di difficoltà dal punto di vista socio-economico. Le borse continuano a rimanere chiuse e la disoccupazione si attesta ormai oltre il 30%. Senza combustibile per i trasporti, inoltre, diventa impossibile rifornire di cibo le grandi città, circostanza che causa i primi disordini. Contemporaneamente, però, le persone sono costrette dalla necessità a tenere un comportamento più virtuoso: se prima della fine del petrolio il 30% del cibo veniva scartato (anche a causa di piccole imperfezioni), ora tutto ciò che è disponibile, e non pesantemente avariato, viene consumato.

Anche dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico la situazione è in continuo peggioramento e i blackout sono ormai una realtà costante: il 40% dell’energia elettrica è prodotta dalla combustione del carbone, ma le centrali non possono più essere rifornite a causa dell’assenza di carburante per i treni. Nelle città questo implica sempre maggiori difficoltà nel portare avanti i servizi essenziali, in particolare quello sanitario.

 

Trenta giorni senza petrolio

Passato un mese senza petrolio, i Governi hanno ormai razionalizzato l’utilizzo delle proprie riserve, che vengono impiegate quasi esclusivamente per muovere i mezzi di soccorso e i treni, in modo tale da rifornire le città di cibo (anche i treni passeggeri vengono riconvertiti a questo scopo) e le centrali elettriche. Nel frattempo, tuttavia, si è sviluppata la ricerca di fonti alternative: in particolare iniziano gli investimenti nelle colture di canna da zucchero e mais, per la produzione di etanolo, e in quelle di soia, che può essere trasformata in biodiesel. I Paesi che producono già etanolo in grande quantità, infatti, sono ancora in grado di far circolare le proprie auto.

 

Cinque mesi senza petrolio

La prolungata assenza dell’oro nero inizia ad avere il proprio forte impatto anche a livello igienico-sanitario: nelle grandi città la spazzatura non viene più smaltita, andando così a creare enormi accumuli di rifiuti, e, contemporaneamente, negli ospedali inizia a scarseggiare l’equipaggiamento sanitario (per la produzione di gran parte del quale viene utilizzato il petrolio), fenomeno che porta alla diffusione repentina di infezioni.

A livello internazionale, i Paesi estrattori di petrolio sono in enorme difficoltà (si pensi che l’Arabia Saudita basa il 90% della propria economia sull’estrazione del greggio), così come anche quei Paesi che dipendono in gran parte delle importazioni, come il Giappone.

La maggior parte degli Stati ha messo in campo piani per aumentare le colture di cereali e piante che permettano di produrre biodiesel ed etanolo, anche se, data la sempre maggior scarsità di cibo, risulta sempre più difficile scegliere se destinare le colture alla produzione alimentare o a quella di combustibile.

Dal canto loro, i cittadini dei Paesi più freddi cercano di affrontare l’imminente inverno in due modi: riciclando sostanze chimiche e producendo del combustibile in maniera artigianale, oppure dando vita a migrazioni di massa verso luoghi più caldi.

 

Un anno senza petrolio

Dopo 365 giorni senza petrolio, il fenomeno che salta più all’occhio è una sorta di “rivincita” della natura nei confronti dell’uomo: l’assenza di veicoli per le strade e per le città porta alcune specie animali a crescere di numero e ad avvicinarsi ai centri abitati, mentre molte persone, facendo di necessità virtù, iniziano a produrre esse stesse ciò che consumano, creando così dei piccoli orti cittadini. Allo stesso tempo, però, questa rivincita della natura sull’uomo si manifesta anche in maniera dannosa per la stessa umanità, dato che l’assenza di petrolio favorisce maggiormente la diffusione di carestie ed epidemie.

 

Dieci anni senza petrolio

benzina dismessa

Dopo un decennio senza oro nero, le priorità dell’umanità, e con esse la sua organizzazione, sono cambiate. I satelliti, su cui si basa gran parte della comunicazione moderna, non vengono più sostituiti, in quanto non c’è abbastanza carburante per mandarne in orbita di nuovi. Tra i mezzi di trasporto, invece, molte navi vengono smantellate e i suoi materiali riciclati. Non si ha ancora abbastanza carburante per far ripartire gli aerei; tuttavia, grazie alla produzione su vasta scala di biocombustibile ricavato dalle alghe, possono essere rimessi in moto i camion per il trasporto merci. Ogni acro di alga, infatti, produce trenta volta più energia di qualsiasi altro biocombustibile. Viene inoltre riscoperto il valore di tutte le materie plastiche e i componenti elettronici gettati nelle discariche, che vengono riutilizzati.

Contemporaneamente nuovi Paesi si affacciano sulla scena mondiale come leader economici: uno di questi è la Bolivia, che acquista un forte potere economico grazie ai propri giacimenti di litio, componente fondamentale per la produzione di batterie, strumento ormai indispensabile per un’umanità alla continua ricerca di energia da immagazzinare.

 

Quarant’anni senza petrolio

Trascorso quasi mezzo secolo, l’umanità è riuscita a risollevarsi dalla scomparsa del petrolio. La maggior parte dei mezzi di trasporto è tornata a funzionare: alcuni sono alimentati grazie al biocombustibile derivato dalle alghe, altri grazie all’energia elettrica. Tra quelli del secondo tipo vi sono anche le automobili, che però hanno un costo elevato a causa della scarsa disponibilità di litio per produrre batterie. Grazie a questa svolta, comunque, l’inquinamento si è ridotto drasticamente, tanto che solo in Nord America sono venuti meno 3,5 miliardi di tonnellate di agenti inquinanti all’anno. Questa svolta ecologica ha coinvolto anche la popolazione che, dopo essere tornata in parte a ripopolare le aree del nord del pianeta, ha riqualificato i centri urbani creando degli orti cittadini che possano soddisfare i bisogni primari di un mondo ormai non più iperconnesso come quello precedente.

L’umanità ha saputo affrontare una sfida difficile come quella della fine del petrolio e uscirne in maniera vincente, dando vita a una nuova era.

 

Il petrolio finirà presto?

tipi di estrazione

Picco del petrolio e tipi di estrazione.

 

Lo scenario quasi apocalittico previsto da Aftermath: World without oil è sicuramente distante dalla realtà, in quanto la scomparsa del petrolio dalle nostre vite non è dietro l’angolo. Tuttavia è altrettanto certo che l’esaurimento delle riserve di oro nero è una questione che deve essere affrontata fin da ora, dato che probabilmente coinvolgerà già molte delle generazioni attuali. Sul tema esistono svariate ipotesi, ma quelle più accreditate stimano l’inizio del calo della produzione del petrolio in un arco temporale che va dal 2010 al 2030. Questi studi basano i loro risultati sulla teoria, in tema di fonti di energia non rinnovabili, elaborata dal geofisico americano Marion King Hubbert negli anni ’60 del secolo scorso. Hubbert, studiando quanto accaduto per altre fonti di energia non rinnovabili nei decenni precedenti, affermò che la loro produzione segue un andamento “a campana”. All’inizio, quando sono necessari pochi investimenti e vi è grande disponibilità, la sua crescita è esponenziale e i costi si mantengono bassi. Successivamente, con l’esaurimento dei giacimenti più facilmente raggiungibili, si rendono necessari investimenti più costosi che determinano una riduzione dell’estrazione rispetto alla fase precedente, diminuzione che si stabilizza in un preciso momento, chiamato “picco”. Passata questa seconda fase, divengono indispensabili investimenti ancora più onerosi rispetto a quelli iniziali e, quindi, la produzione della risorsa viene progressivamente abbandonata (in quanto non più conveniente) e diminuisce a un ritmo molto veloce.

Hubbert elaborò questa teoria in relazione alla produzione di petrolio negli USA, prevedendo che il picco sarebbe sopraggiunto agli inizi degli anni ’70. Secondo il geofisico americano, durante questo periodo si sarebbero verificati contemporaneamente due eventi: un aumento dei prezzi del petrolio e una fase di instabilità geo-politica, ai quali si sarebbe potuto rimediare trovando altre fonti alternative al petrolio o spostando il centro della produzione in un’altra area. Gli avvenimenti storici hanno dato ragione a Hubbert (tant’è che, dopo la crisi energetica del 1973, il baricentro mondiale del petrolio si è spostato in Medioriente) e così in molti ritengono che, applicando i suoi studi all’estrazione globale di greggio, l’attuale fase sia quella del picco, data la compresenza dell’instabilità politica e dell’aumento dei prezzi del petrolio. A sostegno di questa tesi, peraltro, bisogna sottolineare come negli ultimi anni sia aumentata la produzione dell’oro nero non convenzionale, ossia di petrolio che non viene ottenuto mediante la comune estrazione dai pozzi, ma per mezzo di altre tecniche particolari, segno che quello convenzionale probabilmente inizia a non essere più sufficiente per soddisfare il fabbisogno mondiale.

 

Il passaggio alle fonti di energia sostitutive

La consapevolezza che la fonte d’energia più diffusa sul nostro pianeta sia destinata a scomparire porta a prendere atto del fatto che, quando ciò accadrà, l’umanità intera vivrà un periodo di transizione più o meno lungo in dipendenza da quanto rapida ed efficace sarà la risposta dei Governi. Tuttavia non bisogna scordare come periodi di transizione di questo tipo siano già stati vissuti in passato: la già citata crisi energetica dei primi anni ’70, pur portando con sé un iniziale periodo di incertezza economica (manifestatasi in particolar modo attraverso l’aumento della disoccupazione e un’elevata crescita dell’inflazione), ha dimostrato come simili fasi siano “fisiologiche” per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico da parte dell’uomo e come, pertanto, non vi siano da temere scenari apocalittici. Ciò che è certo, però, è che nei prossimi anni non sarà più possibile compiere una semplice rivoluzione geografica, spostando cioè il centro della produzione da un’area all’altra della terra, semplicemente perché non esiste un’altra Arabia Saudita. La soluzione, allora, sarà quella di una rivoluzione tecnologica, che porti possibilmente in primo piano fonti di energia rinnovabili che, a differenza di quelle non rinnovabili (carbone, petrolio, gas naturale o uranio), vengano prodotte secondo metoologie che non seguano l’andamento “a campana” teorizzato da Hubbert, ma si stabilizzino nel tempo.

Ovviamente questo comporterà un profondo cambiamento nel sistema economico (in senso lato) del nostro pianeta, i cui effetti sono però difficilmente prevedibili.

di Alessio Bilardo

 

Linkografia:

http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2011/01/28/video/l_alba_del_giorno_dopo_-_petrolio_1-175710/1/

https://www.youtube.com/watch?v=S56y0AzwdVk

http://www.aspoitalia.it/index.php/introduzione-alla-teoria-di-hubbert-mainmenu-32

http://www.massacritica.eu/larabia-saudita-corre-verso-il-solare-2/10783/

 

Commenti (0)

CARS 2020: industria automobilistica sostenibile

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

CARS 2020: industria automobilistica sostenibile

Pubblicato il 09 novembre 2012 by redazione

Antonio TajaniCARS 2020: per un’industria automobilistica europea forte, competitiva e sostenibile

Con 12 milioni di posti di lavoro legati a questo settore, l’industria automobilistica è essenziale per la prosperità dell’Europa e per la creazione di impiego. L’UE deve mantenere un’industria automobilistica di livello mondiale che produca i veicoli più sicuri e più efficienti nell’uso energetico che esistano al mondo e che offra posti di lavoro altamente qualificati a milioni di persone. Affinché ciò si realizzi la Commissione europea ha presentato oggi il Piano d’azione CARS 2020 volto a rafforzare la competitività e la sostenibilità dell’industria nella prospettiva del 2020.

La Commissione propone una forte spinta innovativa consistente nello snellire le attività di ricerca e innovazione nell’ambito dell’iniziativa europea per i veicolo verdi. Verrà rafforzata la cooperazione con la Banca europea per gli investimenti al fine di finanziare vigorosamente l’innovazione e agevolare l’accesso delle PMI al credito. Un’interfaccia di ricarica standardizzata a livello di UE assicurerà la certezza normativa necessaria per incoraggiare una svolta decisiva nella produzione su grande scala dei veicoli elettrici.

Si stimolerà l’innovazione dell’industria automobilistica anche mediante un ampio pacchetto di misure volte a ridurre le emissioni di CO2, di inquinanti e il rumore, a promuovere miglioramenti in tema di sicurezza stradale e a sviluppare sistemi di trasporto intelligenti (ITS) di punta sul piano tecnologico.

Parallelamente la Commissione intende inoltre affrontare i problemi immediati che gravano sul settore automobilistico. In risposta ad una contrazione della domanda sui mercati automobilistici europei e agli annunci di chiusure di impianti la Commissione riunirà a novembre i fabbricanti di automobili e i sindacati e, prima del prossimo Consiglio Competitività, i ministri dell’industria per passare in rassegna le misure atte ad affrontare la crisi attuale in modo coordinato. L’industria automobilistica ha una dimensione tale da interessare tutta l’Europa e pertanto occorre una risposta europea. Tale risposta dovrebbe concentrarsi sui problemi della sovraccapacità, degli investimenti sociali e tecnologici, nonché sugli aiuti di Stato e sulle misure riguardanti il lato della domanda e a ciò farà seguito una discussione a livello politico.

Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione europea e Commissario responsabile per l’industria e l’imprenditoria ha affermato: “L’Europa produce le migliori automobili al mondo. La Commissione intende che essa mantenga questa posizione di leadership facendo ancora ulteriori progressi in tema di resa ambientale e di sicurezza. La Commissione pertanto presenta oggi una strategia per l’industria automobilistica dell’UE e adotterà inoltre azioni urgenti per affrontare le difficoltà in cui versa attualmente il settore e per far sì che la ristrutturazione avvenga in modo coordinato. Questo Piano per il settore automobilistico è il primo risultato della strategia per una nuova rivoluzione industriale presentata dalla Commissione il 10 ottobre. L’industria automobilistica ha tutte le carte per superare i problemi attuali, per rimanere competitiva, diventare ancora più sostenibile e conservare la sua base produttiva in Europa. Ciò che conta di più, considerato l’effetto moltiplicatore che essa ha sull’economia,è che l’industria automobilistica dovrebbe dare un forte impulso al mantenimento di una salda base industriale in Europa. Il Piano d’azione annunciato oggi darà all’industria automobilistica tutto il sostegno politico possibile.”

La globalizzazione e le nuove tecnologie offrono opportunità in un settore sempre più competitivo

Il prossimo decennio dovrebbe registrare un grande aumento del numero di veicoli venduti nei paesi emergenti, e presenta quindi opportunità per l’industria automobilistica dell’UE, che però dovrà migliorare la sostenibilità e misurarsi con la crescente concorrenza mondiale.

Il Piano d’azione comprende proposte concrete di iniziative politiche per:

1. Promuovere gli investimenti nelle tecnologie avanzate e nell’innovazione in funzione per i veicoli puliti, ad esempio tramite:

– un ampio pacchetto di misure volte alla riduzione della CO2, degli inquinanti e del rumore;

– ulteriori misure in tema di sicurezza stradale, compresi Sistemi di trasporto intelligenti;

– la messa a punto di un’infrastruttura per i carburanti alternativi (elettricità, idrogeno e gas naturale);

– uno standard UE per l’interfaccia di ricarica dei veicoli elettrici;

–  un’iniziativa europea per i veicoli verdi nell’ambito della strategia Orizzonte 2020 al fine di promuovere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione.

2. Migliorare le condizioni di mercato, ad esempio:

– rafforzando il Mercato unico per i veicoli grazie a un migliorato sistema di omologazione, compresi gli aspetti della sorveglianza del mercato in modo da evitare la concorrenza sleale;

– snellendo gli incentivi finanziari per i veicoli puliti;

– applicando in modo coerente i principi di regolamentazione intelligente, compresa l’applicazione di prove di concorrenzialità (competitiveness proofing) alle principali iniziative politiche al fine di stimare l’impatto specifico di tali iniziative sull’industria automobilistica.

3. Sostenere l’industria nell’accesso al mercato globale mediante:

– la conclusione di accordi commerciali equilibrati, l’attenta valutazione degli impatti cumulativi degli accordi commerciali nonché la promozione e il proseguimento dei dialoghi bilaterali con i principali paesi terzi partner e

– l’intensificazione dei lavori in materia di armonizzazione internazionale dei regolamenti sui veicoli col fine ultimo di pervenire a un’omologazione internazionale dei veicoli e a requisiti di sicurezza mondiali per i veicoli a motore e le loro batterie.

4. Promuovere gli investimenti nelle abilità e nella formazione per accompagnare il cambiamento strutturale e affrontare in modo proattivo i fabbisogni in tema di manodopera e competenze, ad esempio incoraggiando l’uso a tal fine del Fondo sociale europeo (FSE).

I prossimi passi

La Commissione e gli Stati membri devono ora attuare le politiche annunciate. Il ruolo dell’industria automobilistica consisterà nel raggiungere i nuovi obiettivi ambiziosi fissati in questa sede. Per monitorare i progressi realizzati e continuare il dialogo con le parti interessate si istituirà un processo specifico denominato “CARS 2020“.

Le cifre dell’industria automobilistica in Europa

L’industria automobilistica nel suo complesso (fabbricanti di automobili, catena di fornitura e aftermarket cui partecipano migliaia di PMI) riveste un’importanza strategica per l’economia europea poiché rappresenta 12 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti, il 4% del PIL e un attivo commerciale pari a 90 miliardi di EUR (nel 2011). Questa industria è il maggiore investitore privato nella ricerca e nell’innovazione, settori in cui spende annualmente 30 miliardi di EUR.

Contesto

Il Piano d’azione rappresenta la prima realizzazione concreta delle nuove priorità strategiche proposte nella recente comunicazione sulla politica industriale. Esso si basa sui risultati del gruppo di alto livello CARS21 in cui erano rappresentati sette commissari nonché gli Stati membri e gli attori chiave (tra cui rappresentanti dell’industria e delle ONG). Rilanciato nel 2010 il gruppo CARS 21 ha adottato la sua relazione finale nel giugno 2012. (Bruxelles, 8 novembre 2012)

i sabati di elettrocityElettrocity Milano: 10 Novembre 2012.

Continuano i sabati di promozione della mobilità elettrica a Milano. Alle soglie di un inverno in cui torneranno a salire tutti gli indicatori di inquinamento dell’aria e del rumore ci sembra doveroso promuovere questa iniziativa. L’appuntamento ai “box” è in Via Foppa, 49, dalle 10 alle 19, con la possibilità di provare Belumbury Dany, la piccola automobile elettrica guidabile a partire dai 16 anni. Dany è tutta italiana, sviluppata in collaborazione con l’Università di Camerino, raggiunge i 96/km/h, ha 180 km di autonomia, batterie in litio, freni a disco. Per prenotare un giro di prova ci si deve registrare sul sito: www.elettrocity.com. Intanto dalla comunità europea il via al processo di sviluppo di mobilità sostenibile. Di seguito il comunicato stampa.

a cura della Redazione

 

Commenti (0)

Retrofit: la vecchia cara 500 si “fa” elettrica

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Retrofit: la vecchia cara 500 si “fa” elettrica

Pubblicato il 20 ottobre 2012 by redazione

500 retrofitQualche volta vi è forse capitato di voler riesumare una vecchia auto storica. Troppo piena di ricordi per essere abbandonata. Tuttavia non è così facile, soprattutto nelle grandi città dove l’inquinamento è un problema quotidiano, e regole severe che ne limitano l’utilizzo. Anche una scampagnata fuoriporta con la famiglia non è più possibile. Ma a fronte dei nuovi incentivi, che riguarderanno l’acquisto di nuove auto elettriche, la cui entrata in vigore è prevista per l’anno 2013, una domanda inquietante incombe: che fine faranno questi veicoli storici? Finiranno dallo sfasciacarrozze? Andranno ad aumentare le montagne di rifiuti che già ci sommergono? E allora che fare?

Qualcuno c’ha pensato: è nato il retrofit elettrico. É un procedimento tecnologico grazie al quale è possibile convertire un’auto in una macchina elettrica, una e-car.

Lo scopo finale è quello di non distruggere le auto storiche ma candidarle a una lunga e nuova giovinezza , trasformandole . Una fine sicuramente migliore dell’abbandono, dello smontaggio o della rottamazione, che causerebbero più danni che altro. Inoltre queste auto, quando sopravvivono, spesso vengono spedite nei mercati dell’Est dove continuano a emettere gas inquinanti.

Ma come si realizza un buon retrofit ? Girovagando per internet mi sono imbattuta in una simpatica associazione che c’è riuscita con il vecchio amato cinquino: Eurozev.

Ma prendiamola un pò più alla larga e torniamo all’inizio, alla nascita del motore. Prima dello sviluppo sfrenato delle auto, costruite così come noi tutti le conosciamo, i motori erano due: quello a scoppio e quello elettrico. Inizialmente viaggiavano di pari passo ed erano in stretta concorrenza tra loro. Ben presto però fu chiaro che il motore endotermico era il più conveniente, sia per i costi che per le capacità stesse del motore. Quello elettrico fu quindi dimenticato dalle grandi case automobilistiche e solo alcune piccole aziende ne continuarono la produzione. Queste, prive di sostegni economici adeguati per la ricerca, necessari ad abbattere i costi di produzione, relegarono il motore elettrico ad un mercato decisamente ristretto.

Recentemente però le vetture elettriche sono state rivalutate soprattutto nelle grandi città, come veicoli ecologici, non inquinanti e silenziosi.

azionamento_500Realizzare un retrofit usando la beneamata 500.

Il procedimento è molto più semplice di quanto si possa immaginare e può essere usato con qualsiasi macchina senza particolari vincoli di età. Il veicolo viene trasformato sostituendo il vecchio motore con un motore elettrico, converter, batterie, etc: nuova tecnologia tipica delle moderne auto elettriche. Alla fine di originale resterà solo il telaio con le funzionalità di base.

Il veicolo modificato manterrà le stesse prestazioni della 500 originale, risulterà più prestante di molte altre vetture elettriche già presenti sul mercato e sarà particolarmente adatta a un uso cittadino.

Naturalmente il nuovo veicolo, derivato da una vettura storica precedente al 1993, deve per legge essere rimmatricolato. Si tratta di una procedura lunga e penosa che non garantisce sempre la buona riuscita del progetto. Sul sito http://www.eurozev.org/Notizie.htm si possono trovare molte informazioni utili. come questa: “Si può realizzare il proprio cinquino elettrico e farlo omologare alla sede Italiana del TUV (Ente di certificazione tedesco) per poi immatricolarlo con targa tedesca ed infine ri-importarlo in Italia, il tutto ad un costo di alcune migliaia di euro. Oppure, come ho deciso di fare io, creare una associazione ad hoc, per la realizzazione, il collaudo e la sperimentazione nel settore dei veicoli elettrici, farsi rilasciare una targa di prova, assicurarla (costosamente) e circolare in via del tutto provvisoria, facendo tutto il possibile perché il legislatore ci aiuti a trovare una soluzione.”

Posso crearmi da solo un veicolo retrofit, anche se non sono un esperto di motori e quanto mi può costare?

L’ideale sarebbe avere almeno una discreta conoscenza nel settore elettrotecnico in quanto gli altri eventuali ostacoli sono tutti facilmente superabili grazie anche all’aiuto di molte aziende che eseguono i diversi adattamenti meccanici.

Per quanto riguarda il costo dipende molto dal tempo che saremo in grado di dedicare al nostro progetto e alla bravura nella ricerca dei pezzi necessari alla conversione. Diciamo che si parte da un minimo di 1500/2000 euro per un retrofit prevalentemente riciclato, fino ad un massimo di 12000/15000 euro nel caso si decida di usare le componenti migliori presenti sul mercato. Ovviamente stiamo parlando di un lavoro home made. Mancano le spese di un eventuale assemblatore. In ogni caso da quando l’Eurozev ha aperto la strada, creando il primo prototipo, è possibile che i costi siano nel frattempo diminuiti.

Quali sono i vantaggi e le differenze con il vecchio cinquino?

La prima grande differenza consiste nella revisione che deve essere effettuata dopo molte migliaia di chilometri e consiste nella semplice sostituzione dei cuscinetti del motore. Non saranno più necessari tagliandi, filtri dell’olio, candele, iniettori, radiatori, marmitte catalitiche, etc. etc. (manutenzione ridotta dell’85%) Non servirà più nemmeno il bollo e l’assicurazione RCA costa 50% in meno. Per non menzionare il costo di un pieno che si aggira intorno ai 2 euro. Stiamo parlando di un risparmio notevole che andrà ad ammortizzare rapidamente il costo della conversione effettuata. Inoltre il nuovo veicolo sarà tre volte più efficiente della nostra vecchia 500 a motore, dettaglio interessante per tutti coloro che ostinatamente, e nonostante i divieti, usano l’auto tutti i giorni per andare al lavoro.

Scheda tecnica del nuovo 500-retrofit

* Motore elettrico Agni 135, 13kW.

* Batterie al litio polimeri: 96 Volts 100 Ah, per un totale di circa 9,6 kWh di energia

* Controller Phoenix 600 Ampere con capacità di recupero energetico in rilascio (fino a 3kW)

* Trasformatore DC/DC elektrosistem SPC500m (necessario per alimentare l’impianto a 12 volts, luci, frecce, stops e tergicristalli)

* Charger Zivan due da 20 Ah

* Fili, magnetotermici, fusibili, cavi etc.etc.

Qual’è l’autonomia di una 500 elettrica?

L’autonomia del cinquino realizzato dalla Eurozev è di 100 km, ma esistono diverse altre batterie sul mercato in grado di raggiungere anche 200-300 o addirittura 400 km. Ovviamente si tratta di batterie molto più grandi, ma la ricerca sta elaborando nuove batterie in grado di superare quelle al litio o addirittura quelle al litio-titano.

Rapporto velocità-autonomia nel nuovo cinquino.

Il gruppo di Eurozev ha scelto di mantenere le stesse caratteristiche della 500 originale grazie a delle batterie a litio-polimeri, ma in generale un veicolo elettrico ha batterie con un rapporto peso/energia abbastanza basso rispetto agli altri carburanti in circolazione. Anche questo problema è però aggirabile se, al momento della conversione, si tiene conto delle limitazioni energetiche della batteria.

Quanto durano le batterie?

Dipende dalla batteria che sceglieremo di montare. Quelle al piombo hanno una durata di circa un centinaio di cicli. Mentre quelle a litio-polimeri possono arrivare anche fino a migliaia di cicli di carica/scarica.

Cosa aspettarsi in futuro: batterie alla Schiuma di Grafene

Il futuro delle auto elettriche potrebbe dipendere, almeno parzialmente, da questa scoperta. Alcuni ricercatori cinesi (Li Na, Chen Zongping, Ren Wencai, Li Feng e Cheng Hui-Ming) hanno descritto nell’edizione dell’8 Ottobre 2012, della rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), una batteria flessibile, creata proprio grazie alla schiuma di grafene, in grado di ricaricarsi in soli 15 minuti.

Ricordiamo che il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio altamente legati e disposti in ordine esagonale. La sua alta conducibilità lo rende quindi un soggetto ideale per la creazione di una batteria elettrica; esso infatti può caricarsi e scaricarsi alla stessa velocità di un condensatore – scarica completa in 20 secondi -, senza rinunciare alla flessibilità che risulta duratura anche quando viene piegato più volte.

Facendo crescere dei filamenti tridimensionali di grafene su di una speciale spugna metallica si ottiene la nostra schiuma di grafene, dotata anch’essa di grande flessibilità, resistenza e conducibilità elettrica.

Il lavoro svolto dai ricercatori cinesi prevede la creazione di un composto litio-titanio da collocarsi sulla nostra schiuma; questa ha dimostrato di avere la capacità di migliorare visibilmente le prestazioni dell’elettrodo creato. Le qualità di questo materiale hanno spinto gli autori a creare una batteria sperimentale in cui il composto litio-titano era l’anodo, e il catodo era costituito da un insieme di litio-ferro-fosfato e schiuma di grafene. Il risultato è stato una batteria capace di caricarsi in meno di 15 minuti, mantenendo una densità energetica e un peso pari a quelli delle altre batterie agli ioni di litio. I ricercatori sostengono che la densità energetica sarebbe ulteriormente migliorabile.

Comunque la batteria sarebbe già commercializzabile con le sue attuali capacità, il vero problema è il costo della produzione della schiuma di grafene e i tempi richiesti per la sua produzione che al momento sono lunghi. Prima di diffondere su larga scala la nuova batteria è quindi assolutamente necessario trovare una soluzione per i costi di produzione che la renderebbero altrimenti inaccessibile. La  possibilità di un’alternativa alle comuni batterie per le auto elettriche è stata però finalmente trovata. Non ci resta che aspettare che questa nuova batteria entri in commercio a prezzi accessibili.

Vorrei concludere lasciandovi un commento di Marchionne sulla possibilità da parte di Fiat di produrre nuove 500 elettriche, esemplificativo del pensiero che a quanto pare va per la maggiore. Credo che le sue parole possano farci riflettere molto sull’attuale pensiero comune. Forse dovremmo imparare ad essere un po’ più aperti alle nuove possibilità anche se richiedono un minimo di sacrificio e impegno iniziale. Dopotutto se scegliamo con giudizio verremo ripagati per le nostre scelte.

“Capisco che entusiasti politici e amministratori pubblici vedano questa trazione come rimedio per tutti i mali di inquinamento e rumore ed emissioni, ma oggi si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi”.

di Mariacristina Carboni

 

Fonti

Per maggiori informazioni consiglio la lettura dell’articolo originale: http://www.pnas.org/content/early/2012/10/05/1210072109.full.pdf+html?sid=6fa2572f-ca5e-4f8c-91e7-3c04538bbf45e in alternativa, l’articolo pubblicato su arstechnica:

http://arstechnica.com/science/2012/10/the-fast-and-the-flexible-graphene-foam-batteries-charge-quickly/

Altre informazioni sul grafene e le emissioni inquinanti:

http://www.nextme.it/scienza/natura-e-ambiente/4452-grafene-cambiamenti-climatici

Altre fonti:

http://it.ibtimes.com/articles/33051/20120710/retrofil-elettrico-fiat-500-auto-elettrica.htm

 

Commenti (1)

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK