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Pirati all’arrembaggio del Parlamento Europeo

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Pirati all’arrembaggio del Parlamento Europeo

Pubblicato il 15 luglio 2012 by redazione

Piratpartiet

 

Il Partito Pirata Piratpartiet nasce in Svezia il 1° gennaio del 2006 formalmente per mano di Rickard Falkvinge creatore del sito da cui nasce il partito e che contò in breve tempo 3 milioni di utenti. Il partito nacque come risposta a tre esigenze (come dice lo stesso Falkvinge in un’intervista del 2006 a Federico Mello http://www.youtube.com/watch?v=xa8H-9u0HH4): lo sviluppo di una cultura della condivisione, il libero accesso alla conoscenza e la tutela della privacy. L’obiettivo era riuscire a candidarsi alle elezioni politiche dello stesso anno e il programma ruotava essenzialmente intorno a quei tre punti cardine (lo stesso Falkvinge precisa nella sopraccitata intervista: “Le questioni di cui ci facciamo portatori hanno un’importanza tale che non intendiamo occuparci di altro.”).

E se i partiti tradizionali guardavano a quel nuovo “partitello” come a una minaccia insignificante, dal momento che alle politiche del 2006 non aveva ottenuto che lo 0,69% dei voti, si dovettero ricredere nel 2009 quando, in barba a tutti, il Piratpartiet riuscì ad aggiudicarsi il 7,1% dei voti dell’elettorato svedese alle elezioni europee, conquistando un seggio al Parlamento Europeo (raddoppiato con il Trattato di Lisbona a due: Christian Engström e Amelia Andersdotter).

Nel frattempo, in tutto il mondo il caso Pirate Bay (anno 2009) aveva acceso gli animi e nei 10 giorni successivi al verdetto di colpevolezza dei quattro imputati, i membri del Partito Pirata crebbero fino a 40000 persone, per lo più giovani. Ma questa ondata anti-copyright aveva già cominciato a diffondersi a macchia d’olio su scala mondiale, cosicchè molti Paesi dell’UE adottarono proprie strutture e statuti, seppure non intendendosi vincolati all’originaria “purezza d’intenti” dell’originario Piratpartiet. Questi nuovi Partiti con la P maiuscola, infatti, assunsero la connotazione non solo politica, ma soprattutto sociale del termine, come si può rilevare dal Partito Pirata Tedesco Piratenpartei Deutschland.

 

L’allievo tedesco supera il maestro svedese

Il Partito Pirata tedesco, infatti, accostò alla difesa dei diritti digitali (brevetti, tutela della vita privata…), una serie di diritti civili fino a quel momento “riservati” ai partiti tradizionali: la tutela dell’ambiente, delle diversità, della famiglia, il diritto di sussistenza e di inclusione sociale e la promozione di un sistema di controllo da parte dell’elettorato improntato sulla trasparenza delle procedure legislative ed elettive, in ottemperanza al principio di democraticità diretta (indiscusso leitmotiv del Partito su scala mondiale). Ancora una volta emerge la filosofia hacker della trasparenza e della fruibilità del sapere anche nelle istituzioni. Il salto di qualità si ebbe nel momento in cui il Partito si strutturò come Partito “serio”, attento alle necessità sociali, come dimostrano i punti del programma inerenti la gratuità dei trasporti, ma soprattutto l’adozione del reddito di cittadinanza (un reddito minimo garantito a tutti senza requisiti di sorta, se non la cittadinanza, e sufficiente a coprire la dignitosa sussistenza dell’individuo, da corrispondere direttamente al singolo cittadino).

Non è stato, invece, all’altezza delle aspettative il Piratpartiet svedese che pur dichiarandosi un partito politico si è ostinato a mantenersi un partito monotematico e non ha mai voluto fare il salto di qualità che non gli ha consentito di replicare la visibilità ottenuta alle politiche del 2009.

Nel settembre 2011, il Partito Pirata berlinese stupiva l’Europa riscontrando un ottimo consenso alle amministrative (più del 5% delle preferenze in tutti i quartieri della città) e lo stesso è accaduto recentemente (Marzo 2012) nella consultazione nella Saarland dove il Piratenpartei ha ottenuto l’8% dei voti, sorpassando gli stessi Verdi (che molti accusano essere il modello di riferimento dei vari Partiti Pirata). Oggi, in Germania, il Partito pirata è dato dai sondaggi come la terza forza politica, con il 13% delle intenzioni di voto.

Ma non mancano le critiche dall’interno! Molti tedeschi rimproverano al Partito Pirata berlinese di innescare un processo senza uscita, dove i giovani vedranno nella politica non un serio impegno con la società, estraneo a un impiego professionale che consenta loro la sussistenza, ma preferiranno concepire il reddito di cittadinanza come un aiuto finanziario destinato al partito (come illustrato da Rainer Meyer nel suo articolo I “cyber-bohémien” di Berlino non vogliono lavorare – link a pié pagina).

 

Il Partito Pirata Italiano e l’antipolitica

Seppure non abbia ottenuto lo stesso riscontro mediatico che ha investito il fratello d’oltralpe, un solido Partito Pirata italiano è nato anche in Italia, quasi in concomitanza con quello svedese, candidandosi anch’esso alle europee del 2009, ma non riuscendo nell’impresa di accaparrarsi un seggio. Dotato di un proprio statuto, che tuttavia si discosta da quello tedesco per quello che concerne le politiche sociali, essendo maggiormente improntato alla tutela dei diritti civili in ambito digitale. Secondo un sondaggio della Spincon, il Partito Pirata italiano raggiunge oggi l’1,2% delle intenzioni di voto.

Una precisazione: sebbene sia stato da molti accomunato con il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, se ne discosta in base a tre punti essenziali. L’uno è un partito, l’altro una “libera associazione di cittadini”; l’uno fa capo a un vertice elettivo che si occupa delle fasi burocratiche, l’altro fa capo a Beppe Grillo “unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”; l’uno si propone come partito politico, l’altro come movimento anti-politica.

La vera rivoluzione? Risiede nel sistema di partecipazione alle decisioni, ideato dal Partito Pirata tedesco! Infatti, in linea con un programma di trasparenza istituzionale e di democrazia diretta, viene messa a disposizione degli iscritti al partito la piattaforma decisionale Liquid Feedback, una

piattaforma digitale con codice open-source che consente agli iscritti al partito di votare le singole istanze. Non si pongono più intermediari che rappresentino gli interessi del Partito, ma si arriva piuttosto a una “massimizzazione del livello di soddisfazione dei votanti”.

La domanda resta sempre la stessa: sarà l’ennesimo fenomeno passeggero destinato a spegnersi nel giro di qualche anno o stiamo assistendo a una rivoluzione politica, dove una nuova concezione di democraticità REALE nasce da una realtà VIRTUALE? Difficile rispondere ora, ma chissà che una risposta non arrivi proprio dalle elezioni europee del 2014.

di Giulia Pavesi

 

Per approfondire ecco alcune delle fonti:

– Statuto del Partito Pirata Tedesco:

https://wiki.piratenpartei.de/Parteiprogramm

– Statuto del Partito Pirata Italiano:

http://statuto.votopirata.it/

– Le schede degli eurodeputati svedesi:

http://www.europarl.europa.eu/meps/it/108570/Amelia_ANDERSDOTTER.html

http://www.europarl.europa.eu/meps/it/96676/Christian_ENGSTR%C3%96M.html

http://www.piratpartiet.se

– L’articolo di Rainer Meyer tradotto da Andrea De Ritis per Presseurop lo trovate all’indirizzo:

http://www.presseurop.eu/it/content/article/2500071-i-cyber-bohemien-di-berlino-non-vogliono-lavorare

– Per saperne di più sul Liquid Feedback:

http://liquidfeedback.org/

http://www.piratpartiet.it/mediawiki/index.php?title=Liquid_Feedback

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Quando si fa strada l’antipolitica

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Quando si fa strada l’antipolitica

Pubblicato il 09 giugno 2012 by redazione

democrazia

Perchè, dopo gli anni ’80, la principale occupazione della politica è diventata quella di fare selezione elettorale?

Dal volontariato e l’impegno civile dei primi anni della storia dei partiti, si passa al vivere per la politica, al costruire una classe dirigente non necessariamente rappresentativa di una particolare classe sociale. I nuovi politici non fanno altri lavori e quindi sono attaccattissimi al loro impiego: possibilmente a tempo indeterminato. Quest’andamento non ha consentito, però, negli ultimi vent’anni, il ricambio della classe dirigente e la democrazia è andata in crisi. D’altra parte, risponde qualche studioso della politica, se il ricambio fosse stato troppo frequente, come avremmo potuto verificarne l’operato? Un secondo mandato era necessario. Certo, ma è proprio da questa fase in avanti che la classe politica si stabilizza, diviene più fragile e spesso corruttibile.

Il Francia per contenere questo rischio, l’opinione pubblica ha sempre avuto più spazio e proprio per questo è sempre stata molto temuta dalla classe politica, che è riuscita a controbilanciare efficacemente, operando una continua frizione, accompagnata a volte anche da urli, fischi e megafoni. In effetti, senza frizione, senza mettere in pubblico i problemi, la politica evolve in una pericolosa oligarchia. Ma per disporre di una frizione continua, che garantisca una reale democrazia, occorrono mezzi di comunicazione funzionanti, che facciano informazione al di sopra dei poteri forti e soprattutto non asserviti ad un solo unico padrone. Per mantenere sotto controllo il potere occorre frammentarlo il più possibile e adoperarsi per mantenerlo diviso nel tempo.

Perché la nostra democrazia, come molte altre, è andata in crisi?

La democrazia nasce contro il totalitarismo, concede il voto a tutti, uomini e donne, e conclude il suo perfezionamento, dopo la fine della II guerra mondiale, come compromesso tra il capitalismo industriale e la democrazia rappresentativa. Compromesso quindi tra chi disponeva dei mezzi e chi non li aveva. Chi non aveva mezzi otteneva, in cambio del patto sociale, un lavoro e con esso il diritto di esistere. Il patto era sostanzialmente questo: lavorare, creare dei beni, consumarli, pagare le tasse e quindi ottenere i servizi.

I partiti politici nascevano, quindi, unicamente come mediatori per moderare, attraverso le leggi, i rapporti fra queste due classi, che altrimenti non avrebbero potuto fidarsi le une delle altre perché, chiaramente, in aperto conflitto di interessi.

Il capitalista daltronde, aveva tutto l’interesse a creare questo rapporto perché non solo trovava le braccia che gli servivano per produrre, ma alla fine del ciclo “lavoro, creazione dei beni, consumo dei beni, tasse e servizi”, recuperava il proprio capitale, moltiplicato in modo esponenziale.

Alla fine del ciclo, infatti, i capitali investiti producono beni, destinati agli stessi che li hanno prodotti e che saranno sempre poi gli stessi a consumare, acquistandoli a proprie spese, con il proprio salario, a beneficio degli investitori, che moltiplicheranno così il loro capitale iniziale.

Ora la democrazia sta fallendo proprio perché non c’è più circolazione di capitale. I grandi investitori di allora, oggi, attraverso l’economia finanziaria, non hanno più bisogno di far circolare il capitale, ne tanto meno di garantire un lavoro alle masse. E, a dimostrazione di ciò, si sta riaffacciando la differenza tra classi, perché queste non riescono più ad essere mediate dalla politica, ne tanto meno a essere rappresentate.

La politica ha perso così il suo significato/mandato originario, ed è diventa oligarchica e autoreferenziale. Con la crisi mondiale dell’occupazione, nel mondo occidentale, è poi precipitato tutto il sistema, che diventa sempre più difficile salvare.

Il lavoro, che era infatti il cuore dell’intero sistema, ha cambiato di significato e si è completamente dissociato dai diritti. Anzi, esso stesso non è più un diritto, come invece recita ancora l’articolo 4 della nostra Costituzione Italiana: ” La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

La discussione politica ha perso così di interesse e di conseguenza la democrazia si è svuotata di significato. Perché discutere, protestare, votare. Non serve a nulla. Il leader governa e la massa guarda come in un programma televisivo in cui non c’è controparte, ma solo un pubblico, un audience, che attraverso gli share esprime il suo minor o maggior gradimento. In realtà non riesce a guardare granché, perché non è lei a decidere da che parte guardare.

La democrazia non è in pericolo solo nel nostro paese o in Europa, ma in tutto il mondo occidentale. La globalizzazione infatti costituisce un rischio reale e favorisce l’evolversi di grandi imperi, alcuni già in corsa. La democrazia, invece, richiede spazi piccoli, nei quali le persone possano esprimersi in un reale face to face. Lo spazio mondo è troppo grande e più adatto ai despoti.

L’Europa resta quindi forse l’unica vera candidata a preservare e difendere ciò che lei stessa, in un passato non molto lontano, ha partorito e sempre a lei tocca l’onere di provare a costruire le condizioni per una nuova democrazia, che tengano conto di tutti i nuovi sviluppi, economici e sociali.

Questa società democratica, in cui abbiamo avuto la fortuna di nascere e formarci, sembra oggi così scontata, ma si tratta di uno spazio temporale brevissimo, e unico nella storia dell’umanità, in cui tutte le classi sociali, in un modo o in un altro, erano riuscite a esistere e a esprimersi. La politica deve tornare a fare il suo mestiere e trovare delle soluzioni che imbriglino la finanza con leggi e norme che tutelino tutte le parti sociali e i loro diritti, che non sono più solo quelli di un territorio, piuttosto che di un’altro, ma più spesso sono planetari…e come non potrebbe essere, visto che gli interessi finanziari si estendono a tutto il globo.

I Movimenti e l’antipolitica

“Occorre una nuova politica che rimetta il cittadino al centro”. Questo è ciò che affermano i movimenti delle diverse regioni del mondo, rivendicando la loro autonomia nelle scelte politiche, al di fuori dei partiti, perché non credono che la politica possa più cambiare la società.

Anche i social network hanno dato a questi movimenti una forte spinta e una sede di coesione che ha travalicato le sedi dei partiti, i confini locali e nazionali e ha dato l’opportunità, a persone residenti in diversi angoli della Terra, di mettere sul tavolo della discussione i problemi più urgenti, facendosi loro stessi rappresentanti del bene comune, posizionandosi a livello planetario e saltando a pié pari i ruoli e i luoghi della politica.

La flessibilità della rete, negli ultimi 10 anni, ha infatti contribuito a creare un tavolo di discussione di ampio respiro, estremamente democratico, in cui difficilmente un leader riesce ad imporsi per lungo tempo, perché la discussione di fatto viene gestita da una vera assemblea e non da una struttura gerarchica come quella di un partito.

Per comprendere questi movimenti e le loro richieste occorre comprenderne la leggerezza, la freschezza della loro idea di mondo, senza necessariamente interpretarla come antipolitica, m acome spunto ispirazione per un nuovo corso politico.

Forse la politica, troverebbe in questi movimenti proprio i nuovi spunti di rinnovamento che sta disperatamente cercando e che non coincidono con un leader piuttosto che con un altro, ma con una serie di sentimenti generalizzati che partono da grandi masse di individui e a cui occorre dare forma e consistenza  e per le quali occorrono risposte e riforme istituzionali. Avere il coraggio di creare occasioni di incontro con la gente, gli intellettuali, i giovani e tutti coloro che ne fanno parte o ne condividono le discussioni in atto; e prendersi le proprie responsabilità, in particolare quella di essersi persi per strada, quella parte di società da sempre più viva, creativa e partecipativa, che proprio la politica ha rimbalzato ed escluso dal dibattito della cosa pubblica, usandola solo, opportunisticamente, come fornitrice di parole d’ordine, con le quali vincere le elezioni del momento, per nascondersi, subito dopo, negli impegni di partito e di governo.

E ora non c’è da meravigliarsi se per l’Europa imperversano strani movimenti di destra di pericolosa memoria: per i movimenti, destra e sinistra sono solo parole.

Quest’anno, dal 20 al 22 Giugno, a Rio de Janeiro, si svolgerà il Summit sui problemi della Terra, organizzato interamente dai movimenti, e naturalmente questo appuntamento non figura nell’agenda politica di alcun partito, come manca il Social Forum, che quest’anno compie il suo primo decennio …

di Adriana Paolini

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