Il 2014 è stato un anno ricco di importanti scoperte negli ambiti più disparati della scienza, dalla fisica quantistica alla medicina, dall’informatica all’esplorazione spaziale. E quando si parla di spazio non si può non parlare di Rosetta, la missione che per la prima volta nella storia ha portato l’uomo su una cometa e che proprio in questi giorni sta inviando nuovi e interessanti dati sulla sua attività.
Missione Rosetta: atterrare su una cometa
Atterrare su una cometa: è successo veramente! 12 Novembre 2014: una giornata che nella linea del tempo dell’esplorazione spaziale merita un posto accanto al giorno del primo sbarco dell’uomo sulla Luna, del primo rover su Marte, dell’uscita dal Sistema Solare della sonda Voyager 1. Eppure quel 12 Novembre non è stato che l’atto finale di un’avventura, una sfida, un viaggio durato ben dieci anni e che ci riporta indietro al 2004, quando la missione Rosetta ebbe inizio.
E già, raggiungere una cometa non è cosa semplice, così come non è semplice pianificare una missione che debba portare una sonda nello spazio interplanetario a caccia di un oggetto celeste grande appena qualche chilometro. Dopo il lancio, avvenuto dalla base ESA di Kourou in Guiana Francese, il lanciatore pesante Ariane ha rilasciato la sonda Rosetta e il suo piccolo laboratorio scientifico di bordo, nonché modulo d’atterraggio, Philae. 4 Marzo 2004, il viaggio ha inizio! Prossima fermata: cometa 67P Churyumov Gerasimenko. Ma prima di andare avanti con la missione, sarebbe giusto chiedersi perché studiare le comete, quali sono le ragioni scientifiche che spingono a voler comprendere meglio il comportamento di questi corpi celesti?
Perché studiare le comete?
La missione Rosetta non è certamente la prima che ha come obiettivo lo studio di una cometa: basti pensare alla sonda Giotto, che per prima ha osservato da vicino il nucleo di una cometa in piena attività. E questa è una prima ragione di studio: le comete, a differenza degli asteroidi, manifestano un’attività via via crescente man mano che esse si avvicinano al Sole. L’espressione più lampante di questo fenomeno è rappresentata dalla “coda” o, nella maggior parte dei casi, dalle “code”, solitamente formate da vapore acqueo e particelle ionizzate. Ma le comete nascondo segreti ben più importanti da rivelare: esse provengono dalle zone più esterne del Sistema Solare, la cintura di Kuiper e la nube di Oort. Ai primordi del nostro sistema planetario, il vento solare di un giovane Sole ha spazzato verso l’esterno gli oggetti “di scarto” della nebulosa planetaria. Perciò questi oggetti lontanissimi contengono verosimilmente molte più notizie sull’origine e sulle prime fasi del Sistema Solare di qualsiasi altro oggetto esistente in esso. Inoltre contengono una grande quantità di acqua ghiacciata che poi liberano sotto forma di vapore avvicinandosi al Sole. Investigare le comete significherebbe quindi poter fare luce sull’origine dell’acqua sulla Terra.
E poi ovviamente c’è la sfida tecnologica! Pianificare un viaggio di 10 anni attraverso diverse manovre orbitali e una fase di ibernazione di quasi 3 anni prima della fase operativa della missione stessa (prima volta nella storia delle missioni spaziali!), orbitare intorno a una cometa, atterrare con un lander su una superficie e un sito che non è possibile conoscere a priori ed effettuare misurazioni scientifiche. Mettendo insieme le tessere del puzzle ne viene fuori una delle più complesse e avvincenti sfide della storia dell’esplorazione umana!
Le fasi della missione
Tornando alla missione. Per poter raggiungere la sua meta, Rosetta ha dovuto affrontare un viaggio fatto di diversi passi e ha dovuto guadagnare ogni volta un po’ di velocità prima di essere lanciato verso l’incontro predestinato. Diverse manovre orbitali hanno scandito il suo viaggio: si è trattato di manovre fly-by che hanno sfruttato l’effetto fionda di pianeti e asteroidi: 3 fly-by intorno alla Terra, 1 fly-by intorno a Marte, 2 fly-by rispettivamente intorno agli asteroidi Steins e Lutetia. Dopo quest’ultima manovra, Rosetta è entrata in fase di ibernazione: la strumentazione di bordo e i propulsori sono stati spenti, eccetto i sistemi di comunicazione e alcune resistenze per evitare l’eccessivo raffreddamento, in particolare delle batterie. Al termine di questa fase, a Gennaio 2014, i sistemi sono stati riattivati con successo e ad Agosto Rosetta è giunta a destinazione.
Atterrare su una cometa
L’ultima parte della missione è stata appunto l’atterraggio. Il 12 Novembre 2014 il lander Philae si è staccato dall’orbiter, a un’altitudine di circa 20 Km e a una velocità di circa 1 m/s. Grazie alla mappatura effettuata nei mesi precedenti dall’orbiter, è stato possibile effettuare un’analisi della superficie della cometa che ha permesso di distinguere le aree più regolari da quelle più impervie. Al termine dell’osservazione, il sito eletto per l’atterraggio è stato il “Site J”.
Tuttavia, atterrare su una cometa presenta notevoli complicazioni, in primo luogo per il fatto che un corpo così piccolo ha un basso campo gravitazionale e una bassa velocità di fuga. Per far sì che il lander rimanesse saldamente ancorato al terreno, è stato dotato di un arpione centrale e di altri su ciascun braccio meccanico. E alla fine, 7 ore di volo lunghe più di dieci anni di missione: l’attesa, l’apprensione, i sospiri. Touchdown!
Philae, piccolo laboratorio scientifico
Una volta assicurato al terreno, Philae ha subito cominciato a lavorare, dando fondo a tutte le proprie strumentazioni: in particolare, MUPUS ha permesso di analizzare la composizione fisico-chimica del nucleo, PTOLEMY e COSAC hanno studiato le caratteristiche di campioni superficiali, ROMAP ha raccolto informazioni sulla concetrazione di plasma vicino alla superficie, SESAME e CONSERT sono stati i sensi con i quali abbiamo potuto “ascoltare” e “assaggiare” la cometa. I dati, una volta raccolti, sono stati inviati alla sonda Rosetta, che svolge la doppia funzione di orbiter e di antenna per ritrasmettere le informazioni verso la Terra.
Ultimi aggiornamenti e sviluppi futuri
In questi giorni sono stati diffusi nuovi dati della missione: la temperatura registrata è di circa -50 °C (non così bassa quindi) ed è stata rilevata la presenza di composti assimilabili a etanolo e acidi carbossilici che costituiscono la base di molte molecole organiche. Una notizia che fa drizzare le antenne su future missioni verso comete o addirittura sull’estensione della missione Rosetta fino al termine del 2016 (nominalmente la missione dovrebbe concludersi il 31 Dicembre 2015).
La missione Rosetta ci ha portato lontano. Lontano nello spazio e nella storia del progresso umano e le sue scoperte potrebbero spingerci ancora più in là. Così come l’antica stele di Rosetta permise di comprendere i complessi geroglifici egizi, ora Philae ci consente di capire qualcosa di più sulle origini del nostro Sistema Solare, del nostro Pianeta così come lo conosciamo, aprendo la strada verso nuove frontiere dell’esplorazione interplanetaria da parte dell’uomo.
di Michele Mione
Fonti:
The Rosetta Mission: flying towards the origin of the Solar System – KARL-HEINZ GLASSMEIER, ERMANN BOEHNHARDT2, DETLEF. KOSCHNY, EKKEHARD KUHRT and INGO RICHTER – Institut fur Geophysik und extraterrestrischePhysik, TechnischeUniversit at Braunschweig, Mendelssohnstrasse 3, D-38106 Braunschweig, Germany – Max-Planck-Institut fur Sonnensystemforschung, Lindau, Germany- Research and Scientific Support Department, ESA/ESTEC, Noordwijk, The Netherlands – Institut fur Planetenforschung, DeutschesZentrum fur Luftund Raumfahrt, Berlin, Germany – TechnischeUniversitatzuBraunschweig, Germany – (Author for correspondence: E-mail: kh.glassmeier@tu-braunschweig.de) – (Received 16 November 2006; Accepted in final form 12 December 2006)
Linkografia: