Prima di Google Heart e di internet ogni brava famiglia italiana comprava per i propri figli un mappamondo o un atlante. Guardandoli, soprattutto il mappamondo, si aveva subito la sensazione di quanto il nostro mondo fosse piccolo e fragile. Concentrandosi poi sul dettaglio dell’Europa ci si rendeva subito conto di come il nostro Mediterraneo fosse una pozzanghera in confronto ai grandi oceani. Si intuiva facilmente che se si fosse chiuso lo stretto di Gibilterra sarebbe diventato il più grande lago del mondo. Ora invece ci sentiamo cittadini del mondo e vediamo in tempo reale ciò che avviene in ogni parte del globo, anche la più sperduta. Questo se da un lato ha allargato i nostri orizzonti dall’altro ci ha parzialmente sradicato dal territorio in cui viviamo. Se chiedessimo oggi a un ragazzo di indicarci i paesi che si affacciano sul Mediterraneo o di disegnarne una bozza dei contorni credo che sarebbe in grande difficoltà. Tutto questo per parlare del referendum sulle trivelle che si svolgerà tra un manciata di giorni.
Aldilà dei singoli convincimenti di ciascuno di noi vorrei fare solo alcune considerazioni. Quasi tutti i nostri più grandi fiumi sfociano nel “Mare nostrum”, come era chiamato una volta quasi come fosse un amico. Ciò significa che tutti gli inquinanti, i fertilizzanti e i liquami da noi prodotti già ora ci finiscono dentro. Certo però, si obietta, esistono gli impianti di depurazione. Vero, ma purtroppo siamo in un Paese dove si costruiscono le massicciate dell’Alta Velocità seppellendo in modo criminale i rifiuti di amianto, si smaltiscono le scorie inquinanti, utilizzando la criminalità organizzata, nelle discariche abusive che poi inquinano le falde e via dicendo. Siamo perciò così sicuri che l’estrazione del petrolio verrà gestita nel migliore dei modi possibile. Le recenti inchieste della magistratura, in specie quella di Potenza, sembrano dirci che non sarà così. L’occhiello di un articolo del Fattoquotidiano del 2 aprile riporta “Secondo i pm, grazie all’alterazione dei codici rifiuto, l’azienda (ENI) ha risparmiato fino a 100 milioni sui costi di smaltimento. Anche le emissioni in atmosfera, sistematicamente in eccesso, venivano taroccate. La produzione, per ora, è sospesa. Intanto prosegue l’indagine dei carabinieri del NOE e non si esclude l’ipotesi di disastro ambientale”. Teniamo presente che la presidente di ENI attuale è Emma Marcegaglia ex presidente di Confindustria e attuale presidente degli industriali europei. Nel 2008 al suo debutto come presidente di Confindustria diceva: «Condividiamo l’idea di interventi coordinati per i cambiamenti climatici, ma non accettiamo un atteggiamento che rischia di rendere difficile e costosissimo fare impresa in Europa, lasciando che chiunque inquini a piacimento fuori dal nostro territorio». Anche questa è globalizzazione. Una sua presa di posizione o di apprezzamento per il lavoro della magistratura di Potenza sarebbero stati molto apprezzati.
Un’altra considerazione. Da uno studio di Nomisma il raddoppio della produzione di idrocarburi porterebbe un gettito di 1,2 miliardi all’anno per lo stato italiano, divisi tra stato regioni e comuni. Attualmente sono stati rilasciati 84 permessi di ricerca su terra e 23 sul fondale marino. Altre 55 su terra e 40 in mare sono in attesa di approvazione. Molte di queste sono di fronte alle coste romagnole, marchigiane, pugliesi e abruzzesi. Prendiamo ad esempio la Puglia. Questa regione ha un fatturato annuo per il turismo di 22,6 miliardi di euro. Facendo una media del 40% di tasse si hanno 9,04 miliardi di tasse incassate dallo Stato. Certo se si combattesse l’evasione, ma questo è un altro discorso. Vogliamo parlare della Riviera Romagnola? Pensiamo per un momento a cosa succederebbe se ci fosse una fuoriuscita di idrocarburi in mare in Puglia o di fronte alla Riviera Romagnola. Ipotesi lontanissima, ma non impossibile. L’Italia è una zona sismica posta sulla congiuntura di due zolle tettoniche in movimento e il Mediterraneo non è certo un oceano in cui forti correnti spingerebbero il petrolio verso il largo. Questo, invece, in Italia si riverserebbe sulle nostre coste o, con maggior fortuna, su quelle dei nostri dirimpettai, Albania, Croazia etc. Comunque dovremmo pagar loro i danni. E il nostro turismo? Gli addetti del settore a spasso e i costi esorbitanti per decenni per bonificare le nostre coste come li consideriamo? Danni collaterali?
Su Internet e sui giornali esiste ormai una letteratura sconfinata a sostegno del “SI” o del “NO” al referendum, per la concessione di nuove licenze per le ricerche petrolifere e di gas in Italia. Ognuno è libero di formarsi la propria opinione. Quello che invece ritengo veramente inaccettabile è che alcuni politici di primo livello, in testa il Primo ministro Matteo Renzi e da ultimo l’ex presidente Napolitano, invitino la popolazione a disertare le urne. Maccome, migliaia di giovani italiani hanno dato la loro vita per ottenere una Costituzione che ci permettesse almeno di abrogare, non dico di proporre, una legge che alcuni ritengono ingiusta e loro ci dicono “lasciate stare, ci pensiamo noi, pensiamo sia giusta e quindi va bene così”. E i consigli regionali, le persone che si sono impegnate, hanno firmato per ottenere questo referendum come li consideriamo? Dissipatori di risorse pubbliche, visionari, ingenui annoiati o pazzi?
Se riflettete c’è in gioco molto più del solo quesito referendario.
Pensateci prima di decidere se andare o non andare a esprimere il vostro “SI” o il vostro “NO”.
di Marco Pavesi