Categoria | Cultura

Pellegrinaggio sul monte Kailash

Pubblicato il 21 ottobre 2014 da redazione

kailash

Chiunque voglia risalire alla fonte e all’origine dei grandi fiumi che solcano il sub continente indiano, raggiungerà uno dei punti nel cuore più profondo dell’Himalaya tibetano. E’ curioso notare che i piuù importanti corsi d’acqua che attraversano tale immenso spazio, tra i quali il Gange, l’Indo e il Brahmaputra, partano tutti da un’unica e isolata montagna all’interno della catena montuosa più alta e maestosa del mondo. Stiamo parlando del monte Kailash, ritenuto sacro da almeno un quinto della popolazione mondiale e da quattro religioni. I pellegrini Induisti, Buddhisti, Jainisti e Bon, venerano questo luogo sacro da più di mille anni e gli associano profondi significati religiosi. Esso è stato a lungo identificato dalle scritture Indo-Buddhiste come il “mistico cuore dell’universo”, il “centro di tutte le forze divine”.

Come una grande massa di roccia nera che si eleva verso il cielo e raggiunge l’altezza di quasi 7.000 metri, il monte Kailash ha la caratteristica unica di essere uno dei luoghi più sacri al mondo, ma allo stesso tempo tra i meno visitati come meta di un pellegrinaggio. Solo qualche migliaio di pellegrini, infatti, affronta annualmente questo percorso, sacro non solo alle quattro religioni menzionate, ma praticamente a un miliardo e mezzo di pesone.

La ragione per la quale il Monte Kailash è meno conosciuto e visitato rispetto ad altri quali il Sinai, il Fuji o l’Olimpo, va ritrovata nel suo eccezionale isolamento nel lontano Tibet occidentale. Non esistono, infatti, aerei, treni o autobus che possano raggiungere la remota regione. E pur con robuste Jeep 4×4, il percorso richiede difficili e spesso pericolose giornate di viaggio.

Il clima, sempre rigido e particolarmente ostile, costringe i pellegrini a trasportare un pesante equipaggiamento, e tutto ciò di cui hanno bisogno, per il lungo cammino intorno alla montagna.

kailash pellegrini

Lo scopo del pellegrinaggio

Qualche tempo fa, Massacritica ha pubblicato un articolo riguardo i pellegrinaggi in Europa (http://www.massacritica.eu/i-pellegrinaggi-cristiani-in-europa/7864/), ponendo l’accento su “come nacquero”, ma soprattutto cosa muovesse le persone nell’intraprendere il loro sacro sentiero.

Per i tibetani e i fautori delle religioni orientali, le aspettative derivanti da un lungo e duro pellegrinaggio sono molto differenti da quelle che hanno caratterizzato gli storici cammini europei.

Il pellegrino orientale compie tale immenso sforzo per passare da uno stato di “non perfetta conoscenza” a uno di “perfetta conoscenza”, in cui le preoccupazioni materiali della vita, l’egoismo e il focus in se stessi, lasciano il posto a un profondo senso di universalità e interconnessione con le forme di vita circostanti. La parola tibetana che intende il pellegrinaggio, neykhor, significa “camminare intorno a un luogo sacro”.

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Camminare intorno, appunto.

Lo scopo del pellegrinaggio, non è dunque quello di raggiungere una particolare destinazione, come nel caso di Roma o Gerusalemme, ma diventa piuttosto un motivo per trascendere e superare, attraverso il lungo cammino e l’essenzialità che si prova nell’affrontare lo stesso, l’attaccamento a quelle cattive abitudini che restringono e limitano la consapevolezza di una più ampia realtà. Si cammina soprattutto per superare l’idea del sé, l’idea della materialità del corpo e di quella dell’anima.

Un guru indiano sostiene che mediante i cinque sensi percepiamo soltanto il 2% della realtà che ci sta intorno. Ebbene, questo “camminare intorno” è un modo per ampliare le vedute ed estendere la percezione della realtà. Camminando in questo luogo sacro, i pellegrini sono messi a nudo e portati a contatto con le forze vitali e le energie incarnate dal Buddhismo tantrico.

Se nella tradizione occidentale il concetto di montagna viene quasi sempre associato al senso di verticalità e a quello dell’ascesa, in Oriente, invece, la direzione della verticalità si accompagna sempre a quella dell’orizzontalità che lo rende centro della Terra e dell’Universo.

Questa rappresentazione riflette la particolare prospettiva per la quale la montagna assume significati fondamentali per gli esseri umani. Tale prospettiva mette in risalto la differenza tra la montagna esteriore e quella interiore, tra la “montagna visibile” e la “montagna invisibile”. La prima, è quella che si percorre con il corpo; la seconda, con la mente. La vetta in quanto traguardo non è importante: è molto più importante il percorso, il cammino, ad ogni passo del quale si dovrebbe approfondire la conoscenza di ciò che si è. Il percorso, infatti, più che un’ascesa verso una realtà trascendente, rappresenta una discesa nella propria interiorità, uno sprofondamento nel proprio io, fino al punto in cui si realizza l’identità fra la propria anima individuale e quella cosmica.

Nella nella cultura tradizionale tibetana il modo più consueto per onorare la montagna non è quello di conquistarla raggiungendo la vetta, ma è quello di aggirarla con una circumambulazione durante la quale il pellegrino tiene il fianco della montagna alla sua destra.

L’acqua purificatrice

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Se i riti di un pellegrinaggio sono numerosi e variano da un religione all’altra, un rituale universale è quello dell’Acqua.

In prossimità del monte Kailash, due imponenti laghi, tra i più grandi di tutta la catena himalayana, stazionano in quest’angolo di paradiso. Essi sono il lago Manasarovar e il lago Rakshastal. Alla vista, cosi meravigliosa, pare che anch’essi beneficino della pace e del silenzio circostante.

Ebbene molti dei pellegrini, finito il duro cammino, si gettano nelle acque pure e gelide del lago Manasarovar.

Il simbolismo dell’acqua e dell’immersione rituale risale a tempi immemorabili nella storia dell’umanità. L’acqua guarisce, ringiovanisce, assicura la vita; purifica e rigenera perché annulla, dissolve e abolisce ciò che è consumato.

Il percorso

Il neykhor, dunque, è un pellegrinaggio altamente sfidante che si effettua circoscrivendo la base del monte Kailash. Più che un cammino si può definire un arduo trekking, in quanto si parte dall’altitudine di 4530m sopra il livello del mare e si affrontano 52, infiniti, kilometri, includendo alcuni passi che che si innalzano oltre 5500m! Una vera e propria impresa che generalmente si compie nell’arco di tre-quattro settimane.

Molti sono quelli che, stremati, decidono di interrompere il percorso. Altri invece, purtroppo non ce la fanno e muiono lungo il cammino. Lo scorso anno in decine hanno perso la vita. Molti altri invece, sottovalutano il pellegrinaggio e si presentano alla base della montagna gia denutriti e deperiti fin dalla partenza. Qualcuno, addirittura, arriva al monte Kailash mendicando.

Una vera e propria prova di forza da superare.

Anche dopo l’invasione Cinese e la rivoluzione culturale, i pellegrini continuano segretamente a eseguire il loro cammino sacro intorno alla montagna. Dettaglio non irrilevante è che la vetta non è mai stata scalata. Oggigiorno solo poche montagne sull’Himalaya godono di questo “privilegio”, e tutte per motivi religiosi, visto che le competenze alpinistiche hanno portato gli scalatori a raggiungere pressoché ogni cima.

Significati religiosi

Gli Hindu ritengono il Monte Kailash la dimora di Lord Shiva, il quale siede sulla vetta di questa leggendaria montagna in uno stato di perpetua meditazione insieme alla moglie Parvati.

I Jainisti, che chiamano la montagna Astapada, la ritengono il luogo laddove Rishaba ottenne la liberazione.

I seguaci Bon, una religione sciamanica attiva in Tibet prima dell’avvento del Buddhismo, chiamano la montagna Tisé, e la vedono come la sede di tutte le forze spirituali. Tisé, significa letteralmente “la vetta dell’acqua”, con riferimento all’abbondanza della stessa e all’origine dei numerosi fiumi che dal quel punto dipartono.

I buddhisti tibetani, infine, chiamano la montagna Kang Rimpoche, dove Kang, significa “picco, vetta” e Rinpoche è un termine onorifico e molto prezioso per i tibetani, poiché veniva conferito soltanto alle persone che rivestivano un alto rango religioso. La montagna rappresenta la dimora di Demchog (anche conosciuto come Chakrasamvara) e della sua consorte, Dorje Phagmo. Tre picchi si innalzano vicino il monte Kailash, e la leggenda vuole che siano le abitazioni degli illuminati Manjushri, Vajrapani, e Avalokiteshvara.

La storia di Milarepa

C’é anche una curiosa storia che si tramanda di generazione in generazione…

Si crede infatti che Milarepa (1052dc-1135dc), famoso erudito del Buddhismo tantrico, al momento del suo arrivo in Tibet, dovette sfidare Bon-Chung, uno dei maestri della religione Bon. I due influenti personaggi duellarono in una battaglia a colpi di stregoneria, al fine di decretare quale religione avrebbe prevaricato sull’altra. Tuttavia, in un primo momento, nessuno dei due fu in grado di arginare l’avversario. Fu allora che si decise che chiunque fosse arrivato più rapidamente in cima alla vetta del monte Kailash, avrebbe vinto.

Mentre Bon-Chung siedeva su un tamburo magico che si innalzava lungo i ripidi crinali, i seguaci di Milarepa erano esterrefatti nel vedere il loro maestro fermo e seduto in meditazione. Eppure, quando Bon-Chung fu vicino alla vetta, Milarepa improvvisamente si alzò e trasportato dai raggi del sole, arrivò più in fretta sulla cima e vinse la competizione.

Mosso da spirito compassionevole, si dice che Milarepa lanciò un po’ di neve sulla cima di una montagna vicina, in modo tale da assicurare la continuità della “religione rivale” all’interno della regione.

di Andrea Cecchi

Linkografia:

http://en.wikipedia.org/wiki/Mount_Kailash

http://www.theguardian.com/travel/2011/feb/12/mount-kailas-tibet-colin-thubron

http://www.zenshinji.org/home/?p=611

http://sacredsites.com/asia/tibet/mt_kailash.html

http://www.yowangdu.com/tibet-travel/mount-kailash.html

Bibliografia:

Frederic Gros: Andare a piedi – Filosofia del camminare.

1 Comments For This Post

  1. ottavio Says:

    Chi gira ..al Drolma La entra in Paradiso
    Questa sensazione la sento sempre quando ci penso.
    Mi ha fatto vedere il mondo e la gente in maniera …bella

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