L’inquinamento è cancerogeno. Questa la conclusione cui è giunto lo IARC (International Agency for Research on Cancer), la principale autorità di riferimento nel campo della ricerca oncologica, che opera per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nella relazione 109, Outdoor Air Pollution , presentata il 17 Ottobre 2013, un team di esperti su scala globale ha analizzato più di 1000 ricerche condotte negli ultimi anni sulle cause dei melanomi, bollando come cancerogeno il mix di “tutte” le sostanze che compongono l’inquinamento e inserendolo nel Gruppo 1 della classificazione degli agenti cancerogeni, ossia quelli “sicuramente cancerogeni”.
Come spiega Jonathan M. Samet, nella relazione, il motivo per cui è stata intrapresa una tale revisione globale nasce da un dato allarmante: 1,3 milioni di nuovi casi di cancro al polmone ogni anno in tutto il mondo!
Ossia, il 5% del tasso di mortalità attribuibile a tumori della trachea, dei bronchi e dei polmoni dipende dall’inquinamento urbano, misurato sulla base della concentrazione di PM (= particolati: ossia, le sostanze sospese in aria). Inoltre, precisa Klea Katsouyanni, dato che gli inquinanti monitorati più frequentemente sono proprio i gas (come l’ozono, l’anidride solforosa , il diossido di azoto e il monossido di carbonio) e gli indicatori di PM, l’attenzione si è focalizzata principalmente su questi ultimi, senza dimenticare che gran parte delle prove sugli effetti nocivi dell’inquinamento sono stati dedotte proprio dalla rilevazione periodica dei livelli di PM. Prosegue, sottolineando che dallo studio non è possibile giungere a una precisa distribuzione degli agenti cancerogeni su base territoriale, perché il più delle volte gli studi sugli agenti inquinanti vengono condotti in via strumentale rispetto a progetti di ricerca e non finalizzati, quindi, a controllare regolarmente le concentrazioni di inquinanti. Per questo motivo, generalmente, tendono ad essere studi limitati nel tempo, di solito con copertura stagionale, e circoscritti a determinate aree o termini di indagine.
Lo studio è stato condotto dividendo il globo in sei macro-regioni: AFRO, AMRO, EMRO, EURO, SEARO e WPRO. Ma, precisa la relatrice, i sistemi di monitoraggio per gli inquinanti atmosferici sono stati installati in genere nel quadro di programmi di regolamentazione governative ( i più scafati sono ormai l’Unione Europea e il Nord-America), perciò la maggior parte delle informazioni raccolte proviene da aree dove la concentrazione di agenti inquinanti non è così alta, e al contrario minori informazioni sono disponibili dove l’esposizione è più seria. Senza considerare che, dagli ultimi report, emerge il fondato timore che nei Paesi in via di sviluppo e nelle città in rapida ascesa, la situazione potrebbe diventare critica a causa di un aumento del traffico veicolare, in particolare di mezzi di trasporto vecchi e mal tenuti. Il tutto ulteriormente aggravato dalla mancanza di uniformità delle tecniche di rilevamento e quindi dalla difficoltà di mettere a confronto i dati!
La situazione attuale
Dal report si nota come tutti gli inquinanti, ad eccezione dell’ozono, abbiano concentrazioni più elevate nelle aree urbane (soprattutto vicino a strade molto trafficate). In particolare, è risultato che il 90-95% della popolazione urbana in Europa è esposto a livelli di particolati fini (PM 2.5), ossia le polveri toraciche, in grado di penetrare profondamente nei polmoni durante la respirazione via bocca, sopra le linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria. E se da un lato si evidenzia un trend diminutivo nell’Europa centrale, meridionale e orientale, altrettanto non si può dire dell’ozono, anch’esso al di sopra dei livelli OMS su scala globale, specie nell’Europa meridionale, del diossido di azoto (NO2) e del benzo[a]pirene, quest’ultimo, in passato, un problema “circoscritto” all’Europa centro-orientale e ora in preoccupante aumento in tutto il continente (preoccupante proprio perchè questo idrocarburo può legarsi al DNA, interferendo col suo meccanismo di replicazione). Più in generale, questi dati, raccordati con quelli raccolti dal programma ESCAPE dell’Unione Europea (programma di rilevamento dei diversi tipi di particolati e diossidi di azoto), mostrano un tendenziale incremento degli agenti inquinanti da Nord, più pulito, a Sud, più inquinato.
Prendi due, paghi uno!
Dati ancor più allarmanti a fronte delle conclusione raggiunte dal progetto “Medparticles”, conclusosi lo scorso 10 luglio a Roma, secondo cui si registrerebbe un aumento del rischio di mortalità e di patologie cardiache e respiratorie in corrispondenza della crescita della concentrazione di polveri, specialmente nella fascia mediterranea. La ragione di questa “territorialità” del fenomeno potrebbe dipendere, ipotizza Massimo Stafoggia (del Dipartimento di epidemiologia ambientale della Regione Lazio), dal fatto che le auto a motore Diesel impiegate in Europa sono il 50%, contro il 2% americano, evidenziando quindi una diversa composizione chimica delle polveri, nel nostro caso più ricche di carbonio. Non solo, le città prese in considerazione (tra cui Milano, Marsiglia e Madrid) sono zone altamente trafficate, con molto sole, che trasforma le polveri in inquinanti secondari, ancor più nocivi, e zone di ricaduta delle sabbie sahariane, portatrici di sostanze inquinanti. Dunque, non solo agente cancerogeno, ma anche responsabile di scompensi cardiaci in cuori già affaticati.
Ma come proteggerci da questa costante esposizione? Ebbene, sempre dalle pagine dello studio dello IARC, spiega Barbara Turpin, che in realtà la contaminazione avviene sia all’esterno che all’interno degli ambienti. Anzi, si ha una sorta di reciproco arricchimento, dal momento che l’inquinamento cui verremo sottoposti sarà il risultato di un mix variegato di fonti: da una parte, le “fonti interne” dove l’individuo si troverà più in prossimità della sorgente (ad esempio, mentre cucina o fuma una sigaretta), dall’altro le “fonti esterne”, come i riscaldamenti delle case o gli scarichi dei veicoli.
Inoltre, è interessante notare come lo studio rilevi una percentuale più alta di inquinamento da fonti interne, nelle zone rurali dei Paesi in via di sviluppo, specialmente durante i procedimenti di cottura in cui vengono utilizzati combustibili solidi non lavorati. Ed è sempre durante l’esercizio di queste “attività quotidiane” che viene in rilievo un altro combustibile cui si riconduce il rischio di contrarre un cancro polmonare: le biomasse. Scrivono, infatti, Isabelle Romieu e Astrid Schilmann che l’utilizzo di biomasse coinvolge quasi il 40% della popolazione umana e l’esposizione avviene principalmente durante la cottura o il riscaldamento, in ambienti poco ventilati oppure affollati. I più esposti a questi agenti inquinanti? Le donne e i bambini. Ma avvertono: uno dei principali ostacoli all’indagine è la durata dell’esposizione, e la relativa intensità, impedendo quindi di dimostrare certamente una relazione di esposizione-risposta!
Il quadro che emerge dal report dello IARC è a dir poco allarmante. Non si parla di cose nuove, piuttosto di nuove consapevolezze. Dati a cui le nuove e le vecchie potenze economiche non potranno fare orecchie da mercante. Perchè dove spendere il proprio denaro o esercitare giochi di potere, in un mondo malato?
di Giulia Pavesi
Linkografia:
– http://monographs.iarc.fr/ENG/Classification/ClassificationsGroupOrder.pdf
– http://www.iarc.fr/en/publications/books/sp161/index.php