Categoria | Cultura

Natale in casa Cupiello

Pubblicato il 24 dicembre 2014 da redazione

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Natale in casa… italiana

1931. Eduardo De Filippo, 31 anni, era appena giunto ad un traguardo importante per la propria vita e la propria carriera di teatrante e commediografo: una compagnia tutta familiare, I De Filippo, messa in piedi sull’onda del sogno di tre fratelli, uniti da una passione comune.

Ecco il contesto in cui nasce uno dei grandi classici di tutti i tempi della letteratura teatrale italiana, che dai palcoscenici più rinomati, a quelli raffazzonati nei teatrini parrocchiali, passando per la televisione ed internet, ancora oggi accompagna le festività natalizie.

Chiunque abbia mai provato a mettere insieme una parola dietro l’altra fino a raccontare qualcosa, potrà facilmente trovarsi d’accordo nel guardare ad ogni storia come ad una nuova vita che, in quanto tale, trovi una propria dimensione a seconda delle circostanze che la vedano prendere forma. Non stupisce dunque riconoscere forza sempiterna ad un’opera sorta sulla scia di un sogno realizzato. Perché al di la’ del tempo che passa e che travolge i costumi, il sogno resta ancora un rifugio irrinunciabile, che, Natale dopo Natale, accompagna tutti, sia chi conta i giorni per addobbare l’albero e giocare a tombola con i ceci sulle caselline, sia chi si gira dall’altra parte, aspettando che tutto passi il più in fretta possibile.

La realtà è che il Natale in Italia e’ lo specchio della ridondante tradizione del nostro paese, che si presenta dolcemente contraddittoria, intrecciando malinconia e festa, superstizione e religione, modestia e sfarzo. All’anniversario dei 30 anni dalla scomparsa di Eduardo, sembra dunque inevitabile servirci del suo stile, così semplicemente preciso nella creazione di personaggi veri e umani, come guida per ripercorrere i caratteri delle nostre maschere di Natale, costruite tra vizi e virtù, e per prendere possesso di tutti gli stereotipi racchiusi tra le mura di ogni casa addobbata a festa, nella pungente chiave di “sfottò” della commedia napoletana d’autore.

Ma veniamo alla commedia. Gli ingredienti sono pochi, come nelle ricette di migliore riuscita: una famiglia, un pranzo di Natale, una relazione extraconiugale piena di equivoci – che è sempre un must di sicuro effetto comico – e poi il dialetto napoletano, uguale e diversa sfumatura caratteriale di tutti i personaggi. Appare dunque teneramente divertente come noi, seduti in platea a goderci lo spettacolo e a ridere delle caricature in scena, non siamo poi tanto diversi da quelle macchiette di cui ci burliamo, nella perfetta prospettiva del teatro quale specchio del reale.

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Luca, il padre, fa il presepe, solo, ignorando il disinteresse di tutti e in particolare del figlio minore, da cui cerca di estorcere, fino all’ultima scena, un apprezzamento per il proprio lavoro. Porta avanti la sua attività con perizia e tenacia, con l’orgoglio sofferto di un moderno Sisifo paesano, che incarna la tenera difesa del passato da parte delle vecchie generazioni, che non accettano di cedere il passo alle nuove. Concetta, madre premurosa e moglie che alza gli occhi al cielo, e’ il silenzio rassegnato e rappresenta il classico sorriso forzato che spesso tiene unite le migliori famiglie e che per questo, a casa Cupiello (e a casa nostra) durante il pranzo di Natale, è presenza irrinunciabile. Due radici semplici e popolane che trasversalmente, da nord a sud, possiamo ritrovare in ogni dimora. Eduardo riesce così’, malcelando la propria acutezza tra risate amare, a spiccare come fine conoscitore della natura intima dell’ italianità più ancestrale, fatta di fine speranza ed affettività mista a diffidenza, che trova nel contesto familiare la sua imprescindibile scenografia. In questo periodo di feste, dunque, in cui tutto viene edulcorato e soffocato dai buoni sentimenti, tanto necessari a “fare atmosfera”, potrebbe essere particolarmente semplice partire da un racconto caricaturale per riflettere sulla nostra identità.

Ci sorprenderemmo dunque nel ritrovarci a nostra volta intrappolati nella scatola del palcoscenico, in cui ogni famiglia italiana potrebbe incastrarsi in uno scoppio di risa, come in una casetta di bambole, dove tutto è meravigliosamente ordinato ed al posto giusto. Il presepio pronto, al centro del salotto, il brodo vegetale sul fornello, i regali, Tu scendi dalle stelle, la famiglia riunita. Eppure, sotto al tappeto o dietro le tende, ritroveremmo anche noi le scaramucce, un qualche zio volontariamente estromesso dalla “nota della salute”, un amante all’orizzonte e un sottile non fidarsi del prossimo, che ci porterà di sottecchi a mettere croci sulle banconote e a nascondere le scarpe sotto le coperte.

Con Natale in casa Cupiello, dunque, Eduardo benedice i nostri piccoli segreti familiari, ci guarda e ci racconta col sorriso divertito di un padre che finge di credere alle scuse del figlio disobbediente e con lo spirito saggio di chi è’ più’ predisposto all’ironia che al rimprovero. La famiglia napoletana portata sulla scena potrebbe dunque essere facilmente sostituita con quella di tutti noi, che forse, nel riconoscerci, ci imbarazzeremmo un po’, ma sapremmo bene che senza la sottile falsa armonia a coprire la malsopportazione del tempo festivo condiviso, non potremmo sentirci mai fino in fondo a casa.

Così dietro a quella che sembra una confusionaria esaltazione del blando rancore e della silenziosa falsità, si riscoprirà il valore dell’ affetto più sincero, di coloro che sbuffano e borbottano, si lamentano, ma inevitabilmente scelgono di stare insieme, ancora un altro Natale e un’altra volta.

di Maria Elena Micali

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