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La “terza generazione” della bioplastica

Pubblicato il 15 giugno 2017 da redazione

rifiuti organici

La rivoluzione in atto nell’imballaggio è l’utilizzo di materiali organici al 100% ottenuti dagli avanzi della produzione agricola. Un esperto del CNR dice che nei primi anni 2020 queste bioplastiche possono diventare competitive tanto quanto quelle tradizionali, anche se non adatte a tutti gli usi.
E se potessimo trasformare i rifiuti dalle colture mondiali in un biomateriale adatto all’imballaggio? Questa non è fantascienza. Oggi le plastiche possono essere fatte, per esempio, con i rifiuti della produzione dei pomodori oppure con elementi organici non utilizzati di caffè, spinaci o piante di cavolfiore. In questo modo, i derivati del petrolio e gli altri polimeri organici di prima generazione potranno essere sostituiti da materie prime organiche al 100% rinnovabili e sostenibili.

Questi bio-materiali sono stati studiati dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) con sede a Genova. “Il vantaggio principale è la loro biodegradabilità, oltre all’opportunità offerta a stimolare il processo di un’economia circolare”, spiega Giovanni Perotto, ricercatore presso il laboratorio Smart Materials dell’IIT. “Un possibile risultato potrebbe essere una borsa della spesa simile ai tradizionali polietilene, ma che è organica e sostenibile. Se ci pensiamo, oggi non ha senso usare la plastica che dura per millenni come prodotto che usiamo per soli cinque minuti “.

L’innovazione non prevede la produzione di un polimero completamente organico, bensì l’uso di materiali che altrimenti sarebbero stati sprecati. “Questa è la terza generazione di bioplastiche”, afferma Mario Malinconico, direttore di ricerca del CNR (National Research Council) e coordinatore scientifico dell’associazione Assobioplastiche. “Stiamo parlando di una sorta di produzione che non è ancora diventata realtà industriale, ma per la quale abbiamo già molti prototipi. Ovunque ci sia una catena agroalimentare con una grande quantità di rifiuti di processo, potrebbe essere introdotta la produzione di polimeri “.

Ma come possono questi materiali diventare competitivi? “Per analizzare questo, è necessario valutare l’intero ciclo di vita, dai flussi di materie prime ai costi di gestione, tenendo conto delle ulteriori problematiche di riciclaggio e decontaminazione associate alla plastica tradizionale”, continua Malinconico.

Sebbene il bioplastico costi ancora il 50% in più, due fattori principali limiteranno il divario con la plastica tradizionale: in primo luogo, le economie di scala, una volta create grandi impianti per l’imballaggio polimerico organico e le catene logistiche associate e, in secondo luogo, la regolamentazione sulle materie plastiche non degradabili sarà sempre più rigorosa in un momento in cui i costi di estrazione dell’olio saliranno anno su anno.

Secondo Malinconico, “il differenziale di costo sarà in ultima analisi annullato, e i polimeri biodegradabili potrebbero superare la plastica tradizionale in pochi anni, probabilmente già nei primi anni 2020”.

Ma quali caratteristiche hanno questi prototipi 100% bioplastici? Osservando da vicino, si nota prima il loro delicato odore, che è il profumo della pianta da cui è stato ottenuto il materiale.

“Il processo che abbiamo implementato all’IIT è completamente a base di  acqua”, spiega Perotto, “e ci vuole fino a mezza giornata. Dopo aver ottimizzato il processo, ci vorranno solo poche ore per ottenere il bioplastico dal materiale organico dei rifiuti. “Uno dei valori aggiunti di questo processo è la sostenibilità della produzione, che non è sempre presa in considerazione quando si tratta di materiali organici.

La durata di queste materie plastiche può essere estesa a pochi mesi o addirittura anni se vengono inseriti in un cassetto. Tuttavia, si degradano in poche settimane nel terreno o nel mare.

La prima e la più semplice applicazione rimane l’imballaggio non alimentare, in quanto bisogna fare un po ‘di ricerca per verificare la sicurezza alimentare.

Attualmente i regolamenti sono meno severi quando il cibo non è coinvolto. Inoltre, queste bioplastiche sono commestibili e possono essere cotte, ma non possono essere utilizzate ad alte temperature, ad esempio come carta da forno o per bevande calde.

In questo contesto, al vertice mondiale per l’innovazione alimentare del 2017, Seeds & Chips, tenutasi a Milano, la società italiana Metalvuoto (gruppo SAES) ha presentato una confezione attiva in grado di prolungare la durata e di evitare l’uso di conservanti.

Linkografia
http://www.allthings.bio/discovering-third-generation-bioplastics/

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