Il lanciatore russo Soyuz è attualmente l’unico mezzo in grado di trasportare gli astronauti nello spazio. Questo “mezzo di trasporto” è costituito da due parti principali: il lanciatore (sostanzialmente un missile alto 50 metri) e il veicolo spaziale poggiato sulla cima del lanciatore.
Quest’ultimo è la parte della navicella che le fornisce la spinta necessaria per portare in orbita sia importanti strumentazioni sia gli astronauti diretti verso la stazione spaziale internazionale. Esso è composto da 3 stadi.
Il primo stadio è composto da quattro razzi conici contenenti carburante liquido (come tutti gli stadi successivi) collegati al cuore del secondo stadio. Ogni razzo ha un motore a liquido indipendente.
Il secondo stadio è formato da un singolo elemento normalmente cilindrico con un motore alla base. Questo stadio si collega alla testa del lanciatore.
Infine vi è il terzo stadio, l’ultimo ad essere attivato, caratterizzato quindi da dimensioni più piccole e da una spinta inferiore.
In totale questo colosso pesa 308 tonnellate di cui ben 275 di combustibile che vengono
bruciate in appena 8 minuti e 40 secondi, ovvero il tempo necessario per far arrivare la capsula in orbita.
Si potrebbe dire che i consumi siano molto elevati, ma la semplicità dell’impianto (non ha subito grandi modifiche dai tardi anni 60 quando venne effettuato il suo primo lancio) rendono i costi di produzione abbastanza contenuti rendendolo un mezzo abbastanza economico.
Anche la capsula è costituita da 3 parti principali: il modulo orbitale, la capsula di rientro e la capsula di servizio.
Anteriormente si trova il modulo orbitale di forma quasi sferica. Alloggia le apparecchiature per gli esperimenti e tutto quello che non sarà necessario per il rientro come le macchine fotografiche, il carico e altro. Contiene il portellone di aggancio orbitale e può essere isolato dal modulo di discesa se necessario. In caso di necessità può fungere da chiusa d’aria durante la discesa.
La capsula di rientro è utilizzata per il rientro in atmosfera sulla Terra ed è la parte del mezzo dove vengono ospitati i 3 astronauti. È coperto da una copertura termoresistente che protegge il modulo durante il rientro. Viene rallentato inizialmente in atmosfera da dei paracadute che in seguito lasciano il posto al paracadute principale che rallenta ulteriormente la velocità di discesa. A 1 m da terra si attivano dei motori alimentati da combustibile allo stato solido che permettono un atterraggio “morbido” del modulo. Questo sistema di rientro in realtà non è particolarmente confortevole tanto è vero che l’esperto astronauta italiano Paolo Nespoli che ha volato sia con lo Space Shuttle americano sia con la Soyuz russa ha definito il rientro con quest’ultima come una serie di eventi catastrofici in cui lui ha pensato più volte di morire. D’altronde non c’e’ da biasimarlo se si pensa che sostanzialmente questa capsula viene fatta “cadere” da 370 km di altezza!
Nella parte posteriore del veicolo si trova il modulo di servizio. È un modulo pressurizzato con una forma simile a quella di una lattina rigonfia e al suo interno contiene il pannello di gestione della corrente, la radio a lunga distanza, il controllo temperatura, la telemetria radio, e gli strumenti per il controllo e l’orientazione del veicolo. La parte non pressurizzata contiene il motore principale e i pezzi di ricambio. Contiene anche i serbatoi per il sistema di propulsione per le manovre spaziali e il rientro a Terra. Fuori dalla navicella si trovano tre piccoli motori per regolare l’orientamento in orbita, i sensori che rilevano la posizione del Sole e i pannelli solari che si orientano a seconda della rotazione del Sole.
La Soyuz è ora un mezzo affidabile, nonostante le premesse non fossero state delle migliori. Il 23 aprile 1967 vanne infatti lanciata la missione Soyuz 1, la prima a trasportare un uomo: Vladimir Michajlovič Komarov, astronauta esperto che aveva già volato su mezzi precedenti. Tuttavia questa missione fu un azzardo in quanto i primi 3 lanci senza passeggeri non erano andati a buon fine per diverse ragioni.
Il lancio andò bene, ma non appena la navicella entrò in orbita cominciarono i problemi: non si aprì uno dei due pannelli solari che dovevano garantire l’alimentazione della capsula rendendo di fatto le comunicazioni e il governo da terra difficili o quasi impossibili. Si decise quindi di far rientrare manualmente il pilota che attivò i retrorazzi e cominciò la discesa. Giunto a 7 km da terra Komarov attivò il paracadute che però non si aprì. Nemmeno il paracadute di emergenza riuscì ad evitargli un impatto al suolo alla velocità di 40 m/s perchè si arrotolò sulle piccole parti del paracadute principale che erano uscite dal loro alloggiamento. Questo incidente grave portò ad un rallentamento della ricerca spaziale russa che riprese solo 18 mesi dopo.
La Soyuz resta oggi un mezzo sicuro ed economico, tuttavia si stanno ricercando nuove soluzioni in quanto forse è comunque rischioso continuare a volare con una tecnologia risalente 50 anni fa.
di Camillo Molino