Sicuramente la maggior parte di voi è rimasta scioccata dalla quantità di delfini spiaggiati rinvenuti recentemente sulle coste tirreniche, quattro volte superiore alla media mensile di spiaggiamenti su tutte le coste italiane (3-4 esemplari). Secondo la Banca Dati Spiaggiamenti dell’Università di Pavia, tra Gennaio e Marzo 2013 sono stati ritrovati 79 cetacei spiaggiati, di cui 64 delfini della specie stenella striata (Stenella coeruleoalba), la specie più comune nel Mediterraneo; purtroppo non è stato possibile identificare alcuni di questi esemplari a causa dell’avanzato stato di putrefazione. La maggior parte dei ritrovamenti è avvenuta in Lazio, Toscana, Calabria e Sicilia.
Cosa succede nelle acque del Tirreno?
Inutile dire che i biologi di tutta Italia si sono attivati immediatamente alle ricerca del colpevole, che ahimè non si è ancora manifestato. Tuttavia le ipotesi sono molteplici.
Si è dapprima supposta un’altra moria dovuta al Morbillivirus, che già aveva colpito queste specie marine nel 1991 e nel 2008, avvalorata dal riscontro di questo virus in alcuni soggetti rinvenuti. Tuttavia, gli esperti hanno escluso quest’ ipotesi sulla base dei primi esiti di laboratorio che mostrano in tutti gli animali grandi infestazioni parassitarie. Si è, quindi, sospetta una depressione del sistema immunitario degli animali a seguito di una condizione pregressa. Questa teoria, se si rivelerà corretta, sarebbe assai peggiore di un’epidemia virale dato che, nelle specie selvatiche, le infezioni si sviluppano in modo del tutto naturale.
Ma cosa ha causato questa immunodeficienza? Ebbene, in proposito la dottoressa Podestà non ha dubbi: la causa di tutto è la contaminazione da inquinanti ambientali come PCB e DDT. Non si spiega tuttavia come queste sostanze, già da diversi anni presenti nel mare in concentrazioni costanti, abbiano causato all’improvviso un così elevato numero di vittime. Le indagini sono ancora in corso, possiamo solo sperare che riescano a trovare velocemente la causa della morte di tutti questi delfini .
Quali sono le principali cause dello spiaggiamento dei cetacei?
Le cause che determinano lo spiaggiamento di animali vivi sono svariate. Innanzitutto, va fatta una distinzione tra spiaggiamenti di singoli individui o di gruppi numerosi.
Se si tratta di un singolo esemplare, il suo spiaggiamento può dipendere da patologie particolari o da cause naturali, come il cattivo tempo, l’età avanzata, la difficoltà nel parto, errori di navigazione o la caccia troppo in prossimità delle coste. Molto spesso gli animali muoiono in mare aperto e vengono trasportati verso la costa da correnti o venti. Poche migliaia di cetacei muoiono ogni anno e alcuni di questi si arenano dopo essere morti. Se le carcasse non raggiungono la costa, vengono divorate dai saprofagi o si decompongono andando a formare un ecosistema locale unico.
Nel 2004, alcuni scienziati della Tasmania hanno spiegato lo spiaggiamento delle balene riferendosi alle fredde acque antartiche che, ricche di teutidi e pesce, fluiscono verso nord, costringendo le balene ad avvicinarsi troppo alla riva nel tentativo di cacciare le loro prede. Inoltre, il loro sistema di ecolocalizzazione andrebbe in tilt nel rilevare variazioni dolci delle pendenze costiere. Verrebbero così spiegati gli spiaggiamenti di massa avvenuti in Tasmania (Ocean Beach) e in Australia Occidentale (Geographe Bay), dove la pendenza è 0.5°.
Un’altra teoria, elaborata dal geologo Jim Berkland, giustifica gli spiaggiamenti associandoli a cambiamenti del campo magnetico terreste, che si verificano poco prima di un fenomeno endogeno, quale un terremoto o un’eruzione vulcanica. Andrebbero, infatti, a interferire con la capacità di orientamento dei cetacei e degli uccelli migratori, causando gli spiaggiamenti di massa; più o meno la stessa cosa che succede ai cani e ai gatti.
E’ stato, infine, provato che anche i sonar provocherebbero gli spiaggiamenti. Infatti, sono stati rinvenuti numerosi animali spiaggiati subito dopo l’azionamento di sonar militari di intensità di 240dB (nel 2000 sono stati ritrovati 17 zifidi nelle Bahamas a seguito di esercitazioni militari) e dalle loro autopsie sono state riscontrate numerose ferite interne causate dai forti e rapidi cambiamenti di pressione (i potenti impulsi dei sonar mandano in risonanza le sacche d’aria interne delle balene, lacerando i tessuti intorno alle orecchie e al cervello).
Esaminando, invece, gli spiaggiamenti multipli possiamo classificarli come avvenimenti rari, la cui principale causa sembra essere la grande ‘solidarietà’ che caratterizza gli odontoceti: se uno è in difficoltà chiede aiuto al branco, che arriva tempestivamente, condannandosi anch’esso allo spiaggiamento.
Come aiutare un animale spiaggiato
- Non toccate o nutrite gli animali: non è sicuro né per gli animali né per voi! Non copriteli o non bagnateli. Piuttosto lasciateli da soli.
- Rimanete almeno a 15m di distanza e assicuratevi che le altre persone o animali facciano lo stesso.
- Osservate l’animale, prestando attenzione alle sue dimensioni e al suo colore, in modo da capire di che specie si tratti.
- Valutate le condizioni dell’animale, cercando ferite evidenti o altre lesioni. Provate a capire le sue condizioni di salute.
- Verificate se si tratta di un animale marchiato o tracciato, questo aiuterà i soccorritori.
- Indicate l’esatta posizione dell’animale, in modo tale che i soccorritori possono individuarlo rapidamente.
- Contattate le autorità competenti per il soccorso di animali spiaggiati (Europ Assistance 02/58241).
di Sara Pavesi
Fonti:
http://www.gionha.it/spiaggiamenti
http://www-3.unipv.it/cibra/WEBMUSEOPV/spiaggiamenti.htm
http://animal.discovery.com/animal-facts/how-to-help-a-stranded-animal.htm
http://www.nero.noaa.gov/prot_res/stranding/HelpingStrandedMarineLife.pdf
http://news.discovery.com/animals/dolphins-beached-121602.htm