Il 25 Aprile festeggeremo i settantacinque anni della liberazione dal nazismo e dal fascismo. In Turchia invece si festeggerà il centenario della battaglia dei Dardanelli. Le celebrazioni sono previste dal 23 al 25 Aprile anche se in passato riguardavano solo il 25 Aprile, data della battaglia.
In realtà i giorni di festa sono stati ampliati per coprire una ricorrenza che rischia, soprattutto dopo le dichiarazioni di Papa Francesco, di mettere in imbarazzo il governo turco. Il 24 Aprile è infatti il “giorno della memoria”, il centenario, per il popolo armeno. Ricorda il genicidio della propria gente perpetrato tra il 1914 e il 1915 da parte dell’Impero Ottomano e che costò la vita a più di un milione di uomini, donne e bambini.
Oggi il popolo armeno è stimato in circa 8 milioni di individui, di cui tre milioni in Armenia, 1 milione in Russia ed il resto sparso per tutto il globo. Questo nonostante gli armeni popolino l’Anatolia e il sud del Caucaso da oltre 3.500 anni. Nel corso della loro storia sono stati occupati da molti eserciti stranieri tra cui Persiani, Bizantini, Arabi, Mongoli, Mamelucchi e Ottomani, pur mantenendo sempre una propria identità culturale. Furono proprio questi ultimi a adoperarsi per l’estinzione completa del popolo curdo. Cristiani monoteisti, sin dal IV e VI secolo, gli armeni alla fine del XVIII secolo sono prevalentemente stanziati nell’est dell’impero ottomano e nei territori russi confinanti.
L’Impero Ottomano ha sempre considerato questa minoranza cristiana un pericolo in quanto possibile alleato dell’impero Russo cristiano ortodosso. Benché un trattato stipulato con la Russia a seguito di una dura sconfitta militare (Trattato di Santo Stefano) obbligasse l’Impero alla tutela della minoranza armena, questo non fu mai applicato, soprattutto grazie alle pressioni dell’Impero Britannico che temeva un’eccessiva interferenza Russa nel Mediterraneo. La Sacra Porta, i reggenti dell’Impero Ottomano, incentivò le popolazioni curde mussulmane a emigrare verso i territori armeni della Turchia Orientale. Scacciati dai curdi, con l’appoggio del governo, gli armeni fuggirono verso le regioni caucasiche russe. Questo diede il pretesto alla Sacra Porta di organizzare i curdi in organismi paramilitari (i reggimenti Hamidiés) con lo scopo di perseguitare gli armeni considerati “ribelli”. La repressione porterà all’uccisione tra il 1894-1896 di più di duecentocinquantamila armeni. Le deboli reazioni degli stati occidentali (Francia, Inghilterra e Russia) vengono semplicemente ignorate.
Nel 1908 un colpo di stato rovescia il potere del sultano. Fautori ne sono i “Giovani Turchi” con il loro partito Unione e Progresso. I Giovani Turchi si erano formati nelle scuole occidentali abbracciando le dottrine socialiste e marxiste. Benché all’inizio proclamassero l’armonia tra le varie etnie e le religioni del paese, una volta preso il potere, per paura dello sfaldamento dell’Impero, il loro principale obiettivo divenne la creazione di una federazione di tutti i popoli di etnia turca e fede mussulmana espandendosi verso le steppe dell’Asia Centrale (tartari, kazachi, uzbechi, etc.). Purtroppo le terre armene si trovavano proprio nel mezzo delle mire espansionistiche turche. Il governo dei Giovani Turchi, nel frattempo divenuto un triunvirato, pensano (erroneamente come dimostreranno i conflitti recenti) che i curdi siano facilmente assimilabili in quanto privi di una propria cultura forte e di fede mussulmana. Al contrario degli armeni che hanno una lingua propria, una cultura millenaria e sono cristiani. Vanno quindi eliminati.
Già nell’aprile 1909 vengono uccisi trentamila armeni ad opera dei membri del partito Unione e Progresso. Nel 1911 viene imposta la legge marziale ed il parlamento approva una legge che consente lo spostamento di popolazioni dai loro territori in caso di guerra. Questa sarà la copertura giuridica di tutta l’operazione di stermino.
Il 29 ottobre 1914 l’Impero Ottomano entra in guerra a fianco dell’impero Asburgico e dei suoi alleati. E’ l’occasione giusta. Durante una riunione segreta di Unione e Progresso, il segretario Nazim conclude i lavori affermando “Siamo in guerra; e non potrebbe verificarsi un’occasione migliore per eliminare tutta la popolazione armena“. Vengono immediatamente costituiti battaglioni irregolari reclutando gli uomini direttamente nelle carceri, promettendo loro la libertà, con l’obbiettivo ufficiale di guerriglia in caso di guerra, ma in realtà l’obbiettivo è la pulizia etnica. Essi hanno poteri illimitati superiori a quelli delle autorità locali. Con le potenze occidentali impegnate a guerreggiare tra loro nessuno si occuperà di ciò che succede in Asia.
Per gli armeni inizia il Metz Yeghern che significa “Il Grande Male”, questo è il nome che danno al loro genocidio.
A Costantinopoli centinaia di notabili (deputati, prelati, intellettuali, professionisti etc.) armeni vengono arrestati il 24 Aprile 1915, deportati nell’Anatolia centrale, torturati e strangolati col filo di ferro. I battaglioni regolari di soldati armeni, 350.000 uomini che si erano prontamente arruolati allo scoppio del conflitto per dimostrare la propria lealtà all’Impero, vengono disarmati ed eliminati a piccoli gruppi. Nelle città viene imposta la deportazione alla popolazione, mascherando l’orrore come come lo spostamento di una popolazione. Si formano lunghe colonne che vengono indirizzate verso Aleppo (in Siria) e da qui verso Deir el-Zor. Gli uomini validi vengono subito separati dal resto e giustiziati gli altri, donne e bambini compresi, moriranno di stenti (senza cibo e senza acqua) durante la marcia in condizioni disumane o negli attacchi dei curdi o delle milizie irregolari dell’esercito. Solo pochi sopravvissuti arriveranno a destinazione: nel deserto.
I pochi sopravvissuti comunque verranno poi buttati nelle caverne, cosparsi di petrolio e incendiati. Il metodo viene applicato anche nelle campagne. Nei luoghi vicino al mare, donne e bambini vengono o soppressi per annegamento o caricati sulle navi e gettati in mare, nelle zone vicino al confine russo vengono eliminati direttamente sul posto per paura di rappresaglie. Il tutto avviene cercando le forme di eliminazione più “economiche” come da indicazioni del governo centrale. Il bilancio finale è di quasi un milionetrecentomila armeni uccisi, la diaspora di chi è riuscito a fuggire, le decine di migliaia di bambini strappati alle loro famiglie e dati a famiglie turche o curde, convertiti e cresciuti come tali o venduti agli arabi per riempire i bordelli della regione. Ovviamente con una opportuna legge varata il 10.6.1915 i beni dei deportati vengono dichiarati “beni abbandonati” e quindi confiscati dallo Stato e riassegnati a turchi e curdi.
Anche per gli armeni rifugiati in Russia il destino fu spietato. Con la Rivoluzione d’Ottobre l’esercito russo si ritirò dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia. Lasciandoli alla merce dei turchi che occuparono nuovamente i territori.
In Georgia vennero massacrati 30.000 armeni dalle minoranze mussulmane tartare e cecene. Le barbarie furono ampiamente documentate dai rapporti dei diplomatici stranieri, compresi quelli italiani, operanti in Turchia prima e dopo il conflitto. Persini alcuni ufficiali tedeschi inorriditi si adoperarono per limitarle o assistere il popolo armeno.
Con la fine della guerra e la sconfitta dell’Impero Ottomano i principali dirigenti dei Giovani Turchi responsabili del massacro fuggirono prevalentemente in Germania o vennero arrestati dagli Inglesi e incarcerati per un breve periodo a Malta. Nel 1919 un tribunale militare turco condannò a morte in contumacia i componenti del triunvirato, ormai fuggiti all’estero, ed altri funzionari. Nessuna condanna fu eseguita e nessuna richiesta di estradizione fu avanzata e successivamente vennero annullate tutte le sentenze. Lo scopo politico del processo fu quello di addossare tutte le responsabilità dello sterminio ai Giovani Turchi.
Taalat Pascià, componente del triunvirato fu assassinato da uno studente armeno a Berlino il 15 marzo 1921. L’anno successivo un altro componente, Ahmed Gemal, venne ucciso in Georgia. Il terzo, Enver Pascià, morì capeggiando una rivolta turco-mussulmana contro i Russi nella regione di Bukhara.
Altri 30.000 armeni persero la vita durante la guerra Greco-Turca (1919-1922) in quella che è passata alla storia come il “massacro di Smirne”. In seguito, alla fine dell’URSS, nel 1991, la Repubblica Sovietica Armena ha ottenuto l’indipendenza dando vita alla Repubblica Armena, benché il 90% dei territori armeni originali resti ancora in mano turca. La frontiera tra Repubblica Armena e Turchia nella zona curda è tuttora chiusa per la paura che armeni e curdi facciano fronte comune contro il governo di Ankara.
Non è ardito pensare che senza il genocidio armeno, nell’indifferenza della comunità internazionale, forse si sarebbe potuto evitare anche il genocidio ebreo per mano nazista.
Hitler, nel 1939, durante una riunione di preparazione pochi giorni prima dell’invasione della Polonia raccomandò ai suoi ufficiali di essere duri, spietati, più veloci e brutali degli altri, concludendo con “Chi, dopo tutto, parla oggi dell’annientamento degli Armeni?”. Hitler conosceva sicuramente i fatti e i metodi di quanto successo in Turchia in quanto uno dei suoi primi collaboratori nella fase di ascesa al potere fu Erwin von Schneuber-Richter, ex viceconsole tedesco a Erzurum, uno dei luoghi ove si consumò la tragedia armena. Il genocidio armeno è ormai riconosciuto da tutti i principali paesi mondiali, Stati Uniti, Russia, Unione Europa in primis, l’Italia l’ha riconosciuto nel 2000.
A memoria del loro dramma gli armeni ricordano il 24 aprile, giorno di inizio delle deportazioni, come la “giornata della memoria del genocidio” e hanno costruito un mausoleo a Deir el-Zor. Questo è stato abbattuto nell’autunno del 2014 dai miliziani dell’ISIS. Il governo turco nega da sempre il genocidio con argomentazioni pretestuose e nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha chiesto alla Turchia di uscire dal solco negazionista perché non ci può essere riconciliazione senza verità condivise. Il 24 Aprile di quest’anno alle cerimonie del centenario saranno presenti a Erevan solo i presidenti delle commissioni Esteri, di Camera e Senato.
Forse un tweet da parte italiana “centenario genocidio armeni, presente”, sarebbe stato apprezzabile.
di Marco Pavesi
Linkografia: