I veicoli ad alimentazione puramente elettrica non hanno ancora trovato una collocazione precisa nell’immaginario collettivo, ed ecco profilarsi all’orizzonte un’altra rivoluzione tecnologica, quella relativa alle driverless cars (vetture che non necessitano dell’intervento umano per muoversi su strada). Qualche assaggio di come potrebbe cambiare il paradigma della mobilità ordinaria lo si è già avuto grazie ai prototipi Next Two di Renault e James 2025, esempio di plancia futuribile presentato dal Gruppo Volkswagen all’ultimo CeBIT di Hannover. Non c’è che dire, il decennio 2010-2020 appare candidato ad occupare un ruolo di primissimo piano nella storia dell’industria automotive. Un settore che, al pari di molti altri di natura commerciale, ha risentito della crisi economica globale che ha preso avvio nel 2008. Una flessione nei volumi di vendita cui le Case costruttrici stanno cercando di ovviare investendo in ricerca e sviluppo.
La prima a crederci fu Renault
Con la Risoluzione 6 maggio 2010 del Parlamento Europeo sui veicoli elettrici, gli Stati membri dell’Unione furono invitati a “creare le condizioni necessarie per l’avvento di un mercato interno” riservato alle vetture zero emissioni (v. in proposito il contenuto dell’art.2). La sollecitazione fu raccolta in breve tempo da molti marchi del settore, europei e non. Fece, e fa tuttora, eccezione quella che una volta era l’italianissima Fiat. La Casa che ha legato il suo nome alla città di Torino ha infatti portato per altra via il suo contributo alla salvaguardia dell’ambiente, spingendo sull’alimentazione a metano.
Capofila della mobilità totalmente green, divenuta di stringente interesse avuto riguardo alle limitazioni in materia di emissioni inquinanti dettate dal Protocollo di Kyoto (firmato nel 1997, ma entrato in vigore solo nel 2005), è stata la francese Renault, che ha sul mercato ben 4 modelli elettrici, a coprire le esigenze di una clientela sia privata sia business. Si va dalla piccolissima Twizy, equiparata ad un quadriciclo leggero, salendo nelle dimensioni, alla berlina Fluence, alla speciale Mégane e al Kangoo Express Electric, un veicolo commerciale. In verità solo i primi due sono nati già come vetture puramente elettriche. Gli altri (Mégane e Kangoo Express) rappresentano invece adattamenti di prodotti che erano sul mercato. Sulle orme del Marchio della Losanga (altro nome con cui si designa il costruttore transalpino) si sono poi posizionate, solo per citare gli esempi più conosciuti, le connazionali del Gruppo PSA (etichetta coniata per la partnership tra Citroën e Peugeot), rispettivamente con la C-Zero e la iOn; la Mitsubishi iMiev, che con i modelli appena citati condivide la piattaforma; il Gruppo Daimler con l’ultimissima generazione della Smart; nonché l’Ampera firmata da Opel e la Volt di Chevrolet, che però in realtà ampliano il concetto iniziale, essendo “ad autonomia estesa”. È infatti un generatore a benzina a ricaricare le batterie. Oltreoceano, nella assolata California, brilla invece l’attività di Tesla, un marchio di alta gamma che dal 2003, anno della fondazione, disegna e costruisce auto a zero emissioni come la sportiva Roadster, uscita però dalla catena di produzione, o la più recente berlina Model S.
Una battaglia alla pari
I volumi di vendita relativi alle vetture elettriche sono ancora purtroppo circoscritti a causa di alcuni problemi peraltro noti. I principali riguardano il prezzo, che è molto alto discendendo in larga misura dai costi legati alle batterie, e l’autonomia garantita con il 100% di carica, che si aggira generalmente, ad oggi, intorno ai 100-120 km. Gli EV (acronimo inglese per “Electric Vehicles”) sono tuttavia attesi ad una grande crescita, almeno a giudicare dai risultati ottenuti dal gruppo di lavoro della Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), pubblicati nella monografica “E…-muoviti! Mobilità elettrica a sistema”. Le previsioni ivi formulate dicono che entro il 2020 sarà possibile, grazie ai progressi in tema di batterie, arrivare ad un pareggio tra le prestazioni e i costi connessi ad un’auto ad alimentazione tradizionale (benzina o gasolio) e quelli relativi ai veicoli zero emissioni. Tempo ancora un decennio, si legge ancora nello studio della RSE, e nel 2030, sempre che in Italia una vettura su quattro sia elettrica (parliamo di circa 10 milioni di mezzi), si potrebbe avere, in un solo anno, una sensibile riduzione delle importazioni di energia primaria, con un risparmio pari a 1,8 miliardi di euro.
Partita per la salute del Pianeta
Nessuno di noi può purtroppo dire quanto lo scenario appena prospettato sia realistico o meno. Ad oggi sappiamo solo che l’industria automotive è chiamata ad una sfida impegnativa, sia per la propria sopravvivenza (il settore vive, come detto, da anni una situazione di sofferenza, con vendite che non hanno ancora ripreso il livello ante-crisi), sia, soprattutto, per la salute del nostro Pianeta e, di conseguenza, di ogni suo singolo abitante.
Attenta al problema ambientale, la Commissione Europea ha presentato il “Piano 20 20 20”, l’insieme delle misure a suo tempo (parliamo del 2009) studiate per regolare il “post-Kyoto” (il Protocollo è scaduto, come previsto, nel 2012). Tre le linee d’azione, come si evince dal nome scelto per il pacchetto salva Pianeta: riduzione del 20% (in aumento, rispettivamente, di dieci punti percentuali e di 30 punti percentuali entro il 2030 e il 2050) delle emissioni di gas serra; rialzo ad un quinto del totale della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili; incremento al 20% del risparmio energetico. In questo quadro il settore dei trasporti è destinato inevitabilmente a una parte da protagonista. Secondo la Direttiva 2009/29/CE (valida dal gennaio 2013 fino al 2020), che ha trasformato le parole in obblighi vincolanti, il 10% dell’energia utilizzata dovrà infatti provenire da fonti rinnovabili. Quanto alle emissioni di anidride carbonica, i nuovi modelli di auto dovranno limitarle entro il 2020 a 95 g/km (dal 2011 il tetto massimo è già sceso a 130 g/km), con un calo annuale, riferito all’intero parco circolante sul territorio, pari a 15 milioni di tonnellate di CO2.
Anche ibridi e gas per una mobilità più verde
Nel futuro che si delinea per il settore dei trasporti, al di là della formula del motore elettrico che comunque partecipa all’inquinamento atmosferico nel momento in cui viene materialmente prodotta l’energia, non mancano altre soluzioni ecosostenibili. Il marchio Toyota, ad esempio, ha centrato la sua immagine sulla tecnologia ibrida, l’abbinamento di un motore termico (cioè tradizionale) con un pacco batterie che fornisce potenza al mezzo in caso di basse velocità, ed è quindi estremamente utile su percorsi urbani. Ci sono poi i veicoli alimentati a gas naturale come il metano, e quelli a GPL, dove l’acronimo sta per “Gas di Petrolio Liquefatto”. Entrambi consentono una notevole riduzione dei “veleni” immessi nell’aria diminuendo al contempo (elemento non trascurabile in un momento in cui il prezzo dei carburanti è salito notevolmente) le spese alla pompa. Non è un caso che nel 2009, quando vennero votati incentivi “ad hoc”, ci fu una corsa alla riconversione delle auto a gas tramite l’installazione a bordo dell’apposito impianto. Una situazione eccezionale e una spesa che, mancando il requisito fondamentale (l’aiuto statale), non si è più verificata con quella portata. Un vero peccato perché, dando credito allo studio condotto da Deloitte, “entro il 2020 le auto elettriche e le altre motorizzazioni verdi rappresenteranno fino ad un terzo delle vendite complessive nei mercati sviluppati e fino al 20% nelle aree urbane dei mercati emergenti“. La società di consulenza tratteggia per quel momento uno scenario industriale, dove il 90% delle vendite globali sarà ripartito tra sole dieci Case automobilistiche con sedi nei sei principali mercati. Cina e India, infatti, “emergeranno come forti player affiancandosi all’Europa Occidentale, al Giappone, alla Corea e agli Stati Uniti“.
A quando una vettura con pilota automatico?
Come tutte le rivoluzioni tecnologiche, che prima di realizzarsi appieno devono superare la barriera dell’abitudine e della diffidenza – per non dire paura – verso ciò che non si conosce, anche la guida automatizzata (cioè non affidata a un conducente) rappresenta al momento più un ostacolo concettuale che non una difficoltà pratica. Tanto più che uno studio di IHS Automotive ha evidenziato come nel 2050, quindi tra neanche quarant’anni, i veicoli self-driving (dove cioè la conduzione del mezzo è affidata al mezzo stesso) potrebbero rappresentare la quasi totalità del parco circolante. Entro il 2025 (si conti che il lancio dei primi modelli autonomous drive, annunciato dalle Case, avverrà non prima di sei anni) sono ipotizzate 230.000 vetture automatizzare su strada, cifra che sale a 11,8 milioni a fine 2035. A spingere i ricercatori sulla strada di una (quasi) totale deresponsabilizzazione delle persone presenti a bordo sono i possibili risvolti positivi della nuova tecnologia in materia di sicurezza. Secondo gli studi di settore, il 90% degli incidenti mortali è infatti dovuto a errore umano. Al momento una delle Case costruttrici più impegnate sul fronte della guida “con pilota automatico” è la Nissan, che ha addirittura creato un centro-prove riservato allo sviluppo della nuova tecnologia, e che, con una speciale Leaf, ha ottenuto il via libera alla circolazione su strada.
di Ottavia Eletta Molteni
Linkologia:
1 http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0150+0+DOC+XML+V0//IT
2 http://www.rse-web.it/monografie/E—-muoviti-Mobilit-agrave-elettrica-a-sistema.page
3 http://www.camera.it/Camera/browse/561?appro=9&L’attuazione+del+Protocollo+di+Kyoto
5 http://press.ihs.com/press-release/automotive/self-driving-cars-moving-industrys-drivers-seat