Da qui a due settimane l’Europa andrà alle urne per rinnovare i membri del suo parlamento. Potenzialmente trecentocinquanta milioni di elettori potrebbero esprimere il loro voto. In realtà il rischio flop per astensionismo è molto elevato. Nel 2009 nel nostro paese l’affluenza è stata del 65%. Queste dovevano essere le elezioni della transizione dall’Europa tecnocratica all’Europa politica, così come era stato ratificato nella convenzione firmata a Lisbona tra gli stati membri. Purtroppo diversamente da quanto si vuole far credere agli elettori l’indicazione del candidato a commissario europeo è solo formale. Il trattato prevede che il candidato verrà indicato dal Consiglio d’Europa, formato dai primi ministri di ogni paese membro, tenendo conto delle indicazioni della tornata elettorale. Se la candidatura non verrà approvata dalla maggioranza del Parlamento Europeo entro un mese ne dovrà essere indicato un altro. Il meccanismo dell’indicazione del candidato è quello visto alle ultime elezioni politiche italiane, solo che da noi in Presidente della Repubblica è fortemente orientato a dare l’incarico a chi vince le elezioni. In Europa non è cosi. A rimarcare il ruolo dominante del Consiglio d’Europa ci ha pensato nelle scorse settimane il Cancelliere tedesco Angela Merkel che ha dichiarato che ci vorranno almeno un paio di settimane di consultazioni, dopo il risultato elettorale, per avere il nome del candidato a Commissario. Secondo le previsioni i popolari dovrebbero riconfermarsi primo partito, in questo caso potrebbero reclamare quasi a colpo sicuro l’incarico di commissario. Il loro candidato è l’ex premier del Lussemburgo ed ex presidente dell’eurogruppo, Jean-Claude Junker che ha spuntato la propria candidatura con un margine risicato rispetto agli altri competitori del suo schieramento. Alcuni giornali indicano Catherine Lagarde, francese, ex ministro di Sarkozy ed attuale presidente del fondo Monetario quale vero candidato di Angela Merkel. Come compensazione per Junker ci sarebbe la presidenza del Parlamento europeo. Se invece vincesse la sinistra con S&D con il suo candidato Schultz, da noi famoso più per l’infelice battuta di Berlusconi su di lui che per altro, la signora Merkel avrebbe qualche problema in più. Schultz conosce molto bene i meccanismi europei e nel suo programma c’è un potenziamento della funzione politica dell’Europa. Questo è esattamente ciò che la Germania non vorrebbe, ma poiché Schultz è della SPD che ha dato vita alla Grosse Koalition con la CDU della Merkel difficilmente potrà essere accantonato senza ripercussioni interne. Oltretutto la Germania non ha mai spinto per avere suoi rappresentanti ai vertici europei, l’ultimo commissario tedesco risale al periodo 58-67, preferendo influenzarla senza esporsi troppo. Un’altra criticità è la percentuale che otterranno le formazioni euroscettiche fiorite in tutti i paesi comunitari e che non sono riusciti a trovare un candidato comune. La stessa LePen, nonostante il successo nelle amministrative francesi, si è defilata dalla competizione. Se la loro presenza supererà globalmente la soglia significativa del 20-25% potrebbero ritardare e condizionare pesantemente lo svolgimento delle funzioni del parlamento.
In sostanza chi credeva che queste elezioni avrebbero visto la nascita di una vera Europa con una propria identità politica rischia di dover rimandare di cinque anni il suo sogno. In questo modo aumenteranno le tensioni interne con conseguente rafforzamento delle componenti euroscettiche. Nello scenario mondiale si presenterà divisa al confronto con i ben più agguerriti competitor internazionali, in primis Cina e Stati Uniti senza riuscire a trovare risposte comuni a situazioni di emergenza come la gestione dei migranti o la soluzione di crisi internazionali, vedi Ucraina.