Il tentativo di inserire una prospettiva globale nei contenuti veicolati dalla scuola avviene grazie al coinvolgimento di educatori extrascolastici operanti, per esempio, in organizzazioni non governative che attraverso l’educazione allo sviluppo sensibilizzano gli studenti rispetto alle tematiche degli squilibri tra paesi del nord e del sud del mondo e in rapporto all’interdipendenza tra essi. Secondo la definizione proposta dal Development Education Forum del 2004 “L’educazione allo sviluppo è un processo attivo di apprendimento fondato sui valori della solidarietà, dell’uguaglianza, dell’inclusione e della cooperazione. Essa dà la possibilità alle persone di compiere un percorso, partendo dalla consapevolezza di base delle priorità dello sviluppo internazionale e dello sviluppo umano sostenibile, e passando attraverso la comprensione delle cause e degli effetti delle questioni globali, per giungere all’impegno personale e all’azione informata. Incoraggia la partecipazione piena di tutti i cittadini allo sradicamento della povertà ovunque nel mondo e alla lotta contro l’esclusione. Il suo obiettivo è quello di cercare di influenzare le politiche economiche, sociali e ambientali nazionali e internazionali, affinché siano politiche più giuste, sostenibili e basate sul rispetto dei diritti umani”.
L’evoluzione dell’educazione allo sviluppo consiste in un processo storico con tappe e approcci diversi, che ha dato luogo all’educazione alla cittadinanza globale. La prima generazione dell’educazione allo sviluppo, negli anni ’40 e ’50 del 1900, è caratterizzata da un approccio caritatevole e assistenziale, in cui le organizzazioni principalmente umanitarie e religiose si concentrano sulle situazioni di emergenza e conflitto. L’approccio sviluppista, comparso negli anni ’60, sostiene che i paesi sottosviluppati devono modernizzarsi per raggiungere il livello dei paesi del nord; per questo nascono le ONG di sviluppo che vengono criticate per la loro prospettiva eurocentrica e perché non mettono in discussione il modello di sviluppo, limitandosi a condurre progetti di informazione sui paesi del sud e di partecipazione collettiva della popolazione beneficiaria. Negli anni successivi, l’educazione allo sviluppo critica e solidale, pone in discussione il modello di sviluppo imperante, esigendo un nuovo ordine economico internazionale. Negli anni ’80, nasce il modello di sviluppo umano e sostenibile che mette in dubbio la globalizzazione economica e il modello egemonico. Attraverso il Forum Sociale Mondiale e le mobilitazioni del 2003 contro l’invasione dell’Iraq, milioni di cittadine e cittadini di tutto il mondo esprimono una ferma richiesta di giustizia globale. Quindi l’educazione allo sviluppo deve affrontare la sfida di elaborare proposte educative improntate su una prospettiva globale delle problematiche mondiali. Per questo, attualmente, molte organizzazioni sentono l’urgenza di proporre e sostenere un’educazione alla cittadinanza globale per comprendere gli effetti della globalizzazione. La cittadinanza globale sostiene un nuovo modello partecipativo basato sulla piena consapevolezza della dignità insita in ogni essere umano, sulla sua appartenenza a una comunità globale e locale e sull’impegno attivo per un mondo più giusto e sostenibile.
La proposta di educazione alla cittadinanza globale, condotta in tutto il mondo da molte organizzazioni, aspira a integrare, in una visione coerente, l’educazione allo sviluppo dei diritti umani, l’educazione allo sviluppo sostenibile, alla pace, all’intercultura e al genere, nella loro interdipendenza con gli esseri umani in un pianeta minacciato nella sua sostenibilità. L’educazione alla cittadinanza globale comporta e comprende la difesa della dignità umana come valore di tutte le persone, in una prospettiva di diritti umani, nell’interdipendenza tra il livello locale e quello globale, nel cosmopolitismo e le identità complementari della cittadinanza cosmopolita e planetaria, dell’interscambio con l’altro a favore del bene comune. L’educazione alla cittadinanza globale è una proposta etica e politica di trasformazione della società tramite la costruzione, a partire dalle scuole, di una cittadinanza impegnata, che ponga attenzione all’istituzione scolastica come fattore trasformativo e potenzialità di cambiamento, come spazio di comunicazione, creazione, conoscenza per escludere le dinamiche sociali ingiuste e esclusorie imposte e dettate dalla “tirannia del capitalismo neoliberista e finanziario”[i] e da tentativi di omogeneizzazione culturale.
Così si è sviluppato il concetto di un’istituzione scolastica come “sfera pubblica democratica” prettamente collegato all’idea di insegnanti come “intellettuali trasformatori”, pensatori pubblici, in una concezione della pratica scolastica come forma di politica culturale, impegnata negli ideali valoriali di giustizia sociale e economica, cittadinanza critica, uguaglianza, democrazia. L’educazione alla cittadinanza attiva e globale è una scommessa per la democrazia e il dialogo, in una proposta pedagogica e filosofica che metta in discussione i rapporti tradizionali della scuola tra i suoi vari attori, nella costruzione di una cittadinanza attiva e globale dal basso, nella comunità a livello individuale e collettivo, come componente fondamentale dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento per la convivenza plurale integrando il pensare, il sentire e l’ agire.
Come è scritto all’inizio del Rapporto Delors “di fronte alle numerose sfide della nostra contemporaneità, l’educazione rappresenta uno strumento indispensabile affinché l’umanità possa progredire verso ideali di pace, libertà e giustizia sociale”: è un percorso nonviolento per realizzare uno sviluppo umano armonioso per far retrocedere la povertà, le incomprensioni, l’ingiustizia, le disuguaglianze, l’oppressione e la guerra.
[i] Cfr. Stéphane Hessel, Indignatevi!, ADD Editore, 2011
di Laura Tussi