Fa parte di un campo di lavoro che sta costruendo macchine in grado di fornire aiuto in tempo reale, utilizzando solo dati limitati come input. Gli algoritmi standard di apprendimento automatico spesso devono elaborare migliaia di possibilità prima di decidere su una soluzione, il che potrebbe risultare poco pratico in scenari stressati in cui il rapido adattamento è fondamentale.
Dopo il disastro nucleare di Fukushima in Giappone nel 2011, ad esempio, i robot sono stati inviati nella centrale per ripulire i detriti radioattivi in condizioni troppo pericolose per gli esseri umani. Il problema, dice il professore di robotica Jean-Baptiste Mouret, è che i robot continuavano a rompersi o si imbattevano in pericoli che li bloccavano lungo i loro percorsi.
All’interno dell’iniziativa ResiBots, si sta progettando un robot a basso costo che può resistere per lunghi periodi senza bisogno di costanti interventi di manutenzione umana per le rotture e che è in grado di superare ostacoli imprevisti.
Il team di ResiBots utilizza un algoritmo di apprendimento di micro-dati, che aiuta i robot ad adattarsi in tempo reale, in modo del tutto simile a come gli animali reagiscono a un problema. Un animale, per esempio, è in grado di continuare a muoversi se viene ferito, anche se non sa esattamente quale sia il problema.
Al contrario, la maggior parte degli attuali robot se si autodiagnostica un problema si ferma fino a quando non trova un modo per superarlo.
Ora si sta cercando una via affinché reagisca senza necessariamente aver compreso ciò che c’è o non c’è di sbagliato.
Piuttosto che l’autodiagnosi, l’obiettivo di questi robot è di apprendere in modo proattivo, per tentativi ed errori, quali azioni alternative possono essere intraprese. Questo potrebbe aiutarli a superare le difficoltà e impedir loro di chiudersi in situazioni come quelle verificatesi nella catastrofe di Fukushima. Non si tratta di piena intelligenza artificiale. Avere la conoscenza di tutto non è essenziale per far funzionare un robot.
“Non stiamo cercando di risolvere tutto”, ha detto Jean-Baptiste Mouret. “Siamo più interessati a come possono adattarsi – e, in effetti, adattarsi a ciò che sta accadendo è qualcosa che rende gli animali intelligenti”.
Infanzia simulata
Uno degli approcci più promettenti sviluppati nel progetto ResiBots, è la fase di infanzia simulata dei robot, durante la quale imparano diversi modi per spostare il proprio corpo, utilizzando un algoritmo che cerca in anticipo di raccogliere esempi di comportamenti utili.
Ciò significa che quando il robot cerca un modo per muoversi, lo sceglie tra uno dei circa 13.000 comportamenti disponibili piuttosto che le 1047 opzioni che gli algoritmi standard potrebbero rendergli disponibili. L’obiettivo è che ne provino solo una manciata, prima di trovarne uno che funzioni al loro caso.
La maggior parte dei test di ResiBot attualmente sono sperimentati su un robot a sei zampe che cerca di trovare nuovi modi di muoversi dopo averne persa una o più di una. Negli ultimi studi, il prof. Mouret ha detto che i robot hanno imparato a camminare in uno o due minuti dopo che una delle loro gambe era stata rimossa, il che significa che generalmente devono testare meno di 10 comportamenti prima di trovarne uno che funzioni.
I robot di prova possono imparare a superare una gamba rotta in meno di due minuti.
In totale, i ricercatori stanno lavorando a una mezza dozzina di robot a vari livelli di complessità, tra cui un robot umanoide simile a un bambino noto come iCub. Anche se l’iCub è un progetto più complesso.
“Gli umanoidi hanno il potenziale per essere altamente versatili e si adattano bene agli ambienti progettati per gli esseri umani”, afferma Mouret. “Ad esempio, le centrali nucleari hanno porte, leve e scale pensate per le persone.”
Ci sono, tuttavia, alcune grandi sfide ancora da superare, incluso il fatto che un robot deve essere riportato nella sua posizione iniziale una volta che gli viene rimosso un arto, perché non è in grado di proseguire dal sito della ferita verso il bersaglio.
Ci sono anche problemi di sicurezza più ampi che coinvolgono questi tipi di robot – per esempio, assicurarsi che non danneggino i sopravvissuti a un terremoto mentre li stanno salvando, soprattutto se il robot sta imparando per tentativi ed errori.
Ci vorranno almeno quattro o cinque anni prima che un tale robot possa essere usato sul campo, ma queste nuove tecnologie possono essere impiegate in tutti i tipi di robot – non solo quelli per situazioni di emergenza, disastri e calamità, ma anche in casa e in altri contesti.
Un progetto chiamato AMORE
Ma non è solo la meccanica che può aiutare i robot a spostarsi più agilmente nel mondo reale. I robot possono anche adattarsi meglio se riescono a connettere il linguaggio alla realtà.
La professoressa Gemma Boleda all’Universitat Pompeu Fabra in Spagna, è specializzata in linguistica e sta cercando di applicare la ricerca del suo team all’intelligenza artificiale, per aiutare le macchine a capire meglio il mondo che li circonda, come parte di un progetto chiamato AMORE.
È qualcosa che potrebbe essere utile per rendere tecnologie come il GPS più intelligenti. Ad esempio, quando si guida in auto, il sistema GPS può specificare che si gira a destra dove c’è “il grande albero”, distinguendolo da altri alberi.
Boleda afferma che in passato questo era difficile da fare, a causa della difficoltà di modellare il modo in cui gli esseri umani collegano il linguaggio con la realtà. “In passato, il linguaggio era stato rappresentato in gran parte fuori dal contesto”, ha affermato Boleda.
L’obiettivo di AMORE è quello di far sì che i computer comprendano parole e concetti in un contesto reale anziché come singole parole isolate. Ad esempio, un robot imparerebbe a collegare la frase “questo cane” con un cane realmente presente nella stanza, rappresentando sia le parole che le entità del mondo reale.
Il punto cruciale di questi modelli è che sono in grado di apprendere le proprie rappresentazioni dai dati.
Perciò la prima cosa che i ricercatori devono fare è dire alla macchina come è fatto il mondo.
Dare alle macchine una migliore comprensione del mondo che li circonda li aiuterà a fare “di più con meno”, in termini di quantità di dati di cui hanno bisogno, e li migliorerà nel prevedere i risultati, ha affermato Gemma Boleda.
Potrebbero anche essere di aiuto per le future applicazioni intelligenti su cellulari, a patto di avere abbastanza spazio fisico sul dispositivo.
La necessità di disporre di molti dati è una questione che affligge molti altri domini dell’intelligenza artificiale. Quindi, se si riescono a sviluppare metodi che possono fare di più con meno, allora questi potranno essere applicati anche in molti altri campi”.
la Redazione
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