Da sempre la scienza ci stupisce rendendo possibile quello che avremmo giurato fosse impossibile. Ebbene questa volta è lo scienziato francese Grégoire Courtine, professore presso l’École Polytechnique Fédérale di Losanna, ha lasciarci a bocca spalancata riuscendo a far correre una scimmia con una lesione al midollo spinale!
Parliamo dello sviluppo di impianti cerebrali in grado di ‘bypassare’ lesioni del midollo spinale. Nel caso specifico, si trattava di una scimmia macaque a cui è stato reciso a metà il midollo spinale paralizzandone la zampa destra. Per permetterle di camminare nuovamente Courtine e il suo team hanno impiantato sulla corteccia motoria dell’animale un dispositivo in grado di registrarne gli impulsi trasmessi alle cellule dei nuclei dei nervi cranici e alle cellule delle corna anteriori del midollo per l’esecuzione di movimenti volontari, mentre attorno al midollo spinale, sotto la parte lesionata, hanno impiantato degli elettrodi collegati al primo dispositivo tramite una connessione wireless. Il risultato sarebbe quindi un sistema in grado di interpretare l’intenzione di movimento della scimmia e di trasmetterla immediatamente alla spina dorsale sotto forma di scarica di stimolazioni elettriche.
L’esperimento è riuscito perfettamente, infatti la scimmia molto presto ha iniziato a muovere la zampa destra, estendendola e flettendola a ripetizione. A fianco a lei, l’esultante Grégoire Courtine che ricorda esaltante l’evento così: “Un istante prima la scimmia stava pensando e quello dopo, boom, stava camminando”.
L’intero progetto si è svolto a Ginevra all’intero del Wyss Center for Bio and Neuroengineering, un centro di ricerca finanziato dal miliardario svizzero Hansjörg Wyss che ha investito più di 100 milioni di dollari nella ricerca di soluzioni agli attuali ostacoli della neurotecnologia, come il bypass del midollo spinale. All’interno del centro sono state allestite camere bianche, o clean room, dove è possibile stampare fili d’oro all’interno di elettrodi elastici in grado di allungarsi insieme al nostro corpo. A capo e fondatore dell’istituto è John Donoghue, neuroscienziato americano che ha sviluppato uno dei primi impianti per l’interfaccia cervello-computer, BrainGate, volti a rirpistinare le capacità motorie di soggetti paralizzati. Al momento, tra le priorità di Among Donoghue troviamo lo sviluppo di un dispositivo wireless ultra compatto, neurocommI, in grado di immagazzinare dati dal cervello a una velocità pari a quella di Internet. “Una radio all’interno della vostra testa”, come la definisce lui stesso, che si rivelerebbe “il comunicatore celebrale più sofisticato al mondo”. Gli attuali prototipi hanno le dimensioni di una scatola di fiammiferi e vengono realizzati in titanio biocompatibile con un’apertura di zaffiro. Cortine ha adoperato una versione più grossa e vecchia di questo dispositivo nei suoi test sulle scimmie.
Recentemente altri ricercatori hanno sperimentato su animali da laboratorio o esseri umani impianti cerebrali collegati a macchinari esterni per il controllo di cursori o braccia robotiche. Tuttavia, nessuno di questi prevedeva un ‘Bypass’ neurale, come lo definisce Courtine, in cui le informazioni dal cervello vengono trasmesse direttamente al corpo. Questa tecnologia ha significato un balzo in avanti nella ricerca volta alla cura della paralisi una volta per tutte.
Nel Cleveland presso la Case Western Reserve University, un paziente tetraplegico di mezz’età ha acconsentito all’impianto nel suo cervello di due dispositivi di registrazione, uguali a quelli utilizzati da Courtine nei suoi esperimenti con le scimmie. I dispositivi in questione erano più piccoli di un francobollo, realizzati in silicio e ricoperti si centinaia di sonde metalliche, della dimensione di un capello, in grado di ‘captare’ i comandi inviati dai neuroni. A completare il bypass, 16 elettrodi sono stati impiantati nei muscoli della mano e del braccio del paziente, che prima dell’operazione era in grado di muovere solo le spalle e la testa. Robert Kirsch e Bolu Ajiboye erano a capo dell’intera sperimentazione che fortunatamente è andata a buon fine. Infatti, il paziente in questione è riuscito lentamente ad alzare il braccio, con l’aiuto di un braccio meccanico a molla, e a ordinare alla mano di aprirsi e chiudersi. Addirittura è riuscito a bere da una cannuccia avvicinandosi una tazza alla bocca.
Una tecnologia come questa permetterebbe di curare altre patologie oltre alla paralisi, come la cecità. Infatti, i ricercatori sperano di usare le ‘protesi neurali’, insieme a chip impiantati direttamente negli occhi, per restituire la vista o cercare di ricostruire la memoria di persone affette da Alzheimer.
Se pensate agli impianti cocleari, una simile rivoluzione non sembra così lontana. Per quelli di voi che non sapessero di che si stia parlando, un impianto cocleare, o orecchio bionico, è un dispositivo elettronico che sostituisce la coclea patologica, inviando direttamente al nervo acustico informazioni sensoriali. Viene adoperato in caso di soggetti affetti da profonda sordità ed è considerato già un neuroprotesi, per la sua capacità di comportarsi come una vera e propria coclea, in quanto sia traduce sia agisce da filtro acustico.
L’impianto cocleare è costituito da una parte esterna ed una interna. La prima consiste in un microfono-ricevitore, posizionato dietro l’orecchio, che trasforma i suoni in segnali elettrici e li invia a un processore di linguaggio, il quale trasmette le informazioni più importanti per il riconoscimento dello stesso. La parte interna di questo impianto viene innestata mediante un intervento chirurgico e consiste in un ricevitore-stimolatore e una serie di elettrodi. Il primo non è altro che un’antenna ricevente e un microchip all’interno di un modulo realizzato in titanio o ceramica. Le informazioni provenienti dal processore esterno vengono prima elaborate e decodificate dal microchip, poi questo le trasmette agli elettrodi intracocleari alla disposizione tonotopica stimolando le fibre del nervo cocleare.
Sicuramente molti di voi avranno visto in rete video virali nei quali bambini quasi del tutto sordi sentono per la prima volta la voce della loro mamma dopo che gli sono stati impiantate queste protesi. Ad oggi questo impianto è riuscito a curare più di 250000 casi di sordità.
Ovviamente sviluppare protesi neurali in grado di aiutare soggetti paralizzati è di gran lunga più difficile. L’attuale tecnologia è ancora troppo complessa e radicale per poter essere adottata al di fuori di un laboratorio, e sicuramente questa condizione non cambierà nei prossimi 10-15 anni. Lo stesso Courtine ribadisce che loro continueranno a cercare di superare le attuali barriere, ma non vi è alcuna garanzia che in futuro questo porterà a un prodotto disponibile a tutti.
Tuttavia vale sicuramente la pena investire tempo, soldi e risorse in una tecnologia che domani potrebbe permette a una persona bloccata da sempre su una sedia a rotelle, o in un letto, di provare la gioia immensa di camminare, correre, vivere di nuovo.
Sara Pavesi
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