Categoria | Politica-Economia

Bambini in saldo nelle fabbriche delle madri surrogate.

Pubblicato il 25 novembre 2013 da redazione

INDIA-SURROGATES

E’ stato presentato lo scorso 5 novembre a Montecitorio il Comitato “Di mamma ce n’è una sola”, contro l’utero in affitto. Le promotrici del comitato hanno insistito in particolare sull’esigenza di una normativa uniforme “giacchè mancano leggi e regolamenti fra Paesi e continenti, si producono numerosi contenziosi giuridici, perché difficilmente tutti gli attori di questo percorso – committenti, madri in affitto, fornitori di gameti, le cliniche in cui avviene il tutto – si trovano nello stesso stato. E non di rado, purtroppo, il risultato del puzzle di persone e nazioni coinvolte è un bambino legalmente orfano e apolide”.

Specialmente dal momento che le richieste provengono in larga parte da Paesi in cui la maternità surrogata è esplicitamente  vietata per legge, come in Italia e Germania , e dove i Paesi più poveri vengono visti come un’opzione più economica. Già! Perché se è vero che non mancano Paesi Occidentali in cui la gestazione conto terzi è consentita (come, alcuni Stati degli USA, in particolare in California, e il Canada), o comunque “accettata”  seppur con limitazioni (come in Grecia, Olanda e Gran Bretagna) è altresì vero che qui il prezzo è più alto: si parla da un pacchetto variabile dai 70-80mila euro ai 150 000.

Di contro, le tariffe indiane sono decisamente più concorrenziali: si parla di 18 000-22 000 euro per bambino (di cui quasi 6 000 euro alla portatrice), inclusi ovociti, spese mediche, vitto e alloggio delle portatrici, pratiche legali e convenzioni con gli alberghi durante le visite dei committenti. Un mercato che è stato valutato oltre i due miliardi di dollari.

hospital

La pioniera in materia è stata la Dottoressa Nayna Patel che, nella città di Anand (nello stato indiano di Gujarat) ha fondato la Akanksha Infertility Clinic da molti soprannominata la “fabbrica di bambini” , perché da anni importante centro del turismo riproduttivo. La sua clinica ha dato alla luce  e attualmente serve circa 29 Paesi. Fu fondata per rispondere alle esigenze di donne indiane, che dovevano ricorrere a strutture americane per potersi avvalere della maternità surrogata e salì agli onori della cronaca quando dieci anni fa aiutò una donna inglese a dare alla luce i propri nipoti, come surrogato della figlia. Oggi, la dottoressa vive con il marito, anch’egli gestore della clinica, e i propri figli sotto scorta e si prepara a inaugurare nel Marzo 2014 una nuova clinica della fertilità, alla periferia di Anand, con una superficie di oltre 9000 metri quadri,in grado di ospitare più di 100 surrogate, macchinari all’avanguardia e 40 appartamenti per le eventuali coppie in visita. Il tutto condito con medici altamente specializzati! Un resort della fertilità a prezzi “popolari”.

Inutile dire (e la scorta dovrebbe certamente essere un campanello d’allarme) che l’iniziativa della dottoressa Patel  di fare dell’affitto d’utero una professione, ha sollevato pesanti critiche. Sia da parte della comunità scientifica, che da parte del Centre for Social Research (autore del report Surrogate Motherhood: ethical or Commercial), fino ad arrivare all’attenzione, seppure trasversalmente e in chiave di fenomeno più ampio, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La più controversa: quella di sfruttare la povertà di queste donne e delle loro famiglie. Già, perché la maggior parte delle portatrici lo fa proprio per denaro, in particolare per garantire alla propria famiglia una casa e ai propri figli un’istruzione di buon livello. Retribuzione che, invece, non viene chiesta in Gran Bretagna, dove la coppia deve solo garantire alla madre surrogata un rimborso-spese e dove le surrogate sono generalmente amiche o parenti della coppia. E, alla realtà dei fatti, la maggior parte delle candidate proviene proprio da villaggi rurali estremamente poveri. Eppure, le critiche non sembrano scalfire la Dottoressa Patel, che difende il suo progetto alla stregua di un moderno femminismo. Precisa che la scelta di queste donne è libera (seppure molti sociologi pongano l’attenzione sulle pressioni psicologiche esercitata dalle stesse famiglie delle gestanti), tanto che la permanenza delle stesse all’interno della struttura per tutto il periodo della gestazione, salvo il week-end in cui sono consentite le visite dei familiari, viene vista dalle interessate come un provvidenziale escamotage per rifuggire da sguardi indiscreti dei vicini di casa e dalla propria  comunità locale.

Nayana

A questo si aggiunge, la garanzia di medicinali, alimentazione sana durante tutto il periodo della gravidanza e ambienti puliti, seppure gli standard siano innegabilmente diversi rispetto a quelli occidentali (come sottolinea un cliente della clinica, in seguito a una visita alla struttura e alla madre-surrogato della coppia: http://www.telegraph.co.uk/health/women_shealth/10324970/The-British-babies-made-in-India.html). E sempre la Dottoressa Patel aggiunge che durante gli interminabili nove mesi, a queste donne viene data l’opportunità di frequentare, all’interno della casa di ricovero, corsi di ricamo, di cioccolateria e di beauty maker, cui si aggiunge un recentissimo progetto della dirigente sanitaria di creare per le madri portatrici anche un programma di credito Grameen. Senza contare che sono moltissime le testimonianze di donne che hanno “lavorato” per la dottoressa e che ora sono soddisfatte dell’investimento fatto. Già, ma come sottolineano diversi psicologi, soprattutto occidentali, nessuno assiste queste madri una volta avvenuto il distacco dal bambino (momenti che molti dei clienti della clinica hanno definito “imbarazzante”, tanto che spesso le madri indiane non vogliono conoscere l’acquirente), oppure in caso di aborto o di complicazioni. Un lavoro duro, insomma, dove alla fine ciascuno deve sopportare il peso delle proprie scelte.

Per questo di fronte a un vuoto normativo, che nella realtà dei fatti ha colpito proprio questo anello debole della catena, è nato l’INSTAR ( Indian Society for Third-Party Assisted Reproduction), istituzione composta da avvocati, embriologi, esperti di infertilità e operatori sociali. Il tutto a tutela di questa nuova categoria di lavoratrici.

In verità, non si tratta della prima vera regolamentazione in materia, perchè già nel 2010 era stato redatto un progetto normativo, l’Assisted Reproductive Technology (Regulation) Bill, di regolamentazione della materia, in cui almeno qualche paletto era stato fissato: le donne surrogato dovevano avere un’età compresa tra i 21 e i 35 anni, già un figlio alle spalle, il consenso del marito (se sposate), portare a termine massimo un totale di 5 gravidanze (comprese quelle, quindi, dei propri figli) e avere un numero massimo di impianti/tentativi, di tre ovuli per coppia. Il documento era stato, infatti, redatto  per far fronte ad abusi sempre più frequenti da parte delle cliniche, degli agenti che andavano a procacciare le eventuali madri surrogato (dal momento che ogni agente prende una percentuale sulla vendita), e dove spesso giovani donne venivano in pratica forzate a “prestare i propri servizi” o ancora, subivano l’impianto di cinque ovuli tutti in una stessa seduta (quando il massimo consentito è solamente di due!). Bene inteso: alcuna tutela in caso di morte del nascituro o complicazioni mediche. Ma a quanto pare queste linee-guida non sono bastate a fermare gli abusi, ed ecco che a poco a poco l’India si è mossa verso una regolamentazione sempre più capillare della materia. Nelle nuove linee-guida dell’INSTAR, operanti a partire dallo scorso Ottobre, si legge che le gestanti avranno diritto a: un salario minimo, un’indennità alla famiglia della donna in caso di decesso dovuto a complicazioni della gravidanza e il pagamento di cure mediche post-gravidanza (come nell’eventualità di asportazione dell’utero o delle tube di Falloppio).

Inoltre, giacchè in India la gestazione conto terzi viene concordata attraverso un vero e proprio contratto tra la madre surrogato e l’acquirente (sia esso una coppia o un genitore single), contratto quindi impugnabile in tribunale, affinchè la volontà della donna si possa formare pienamente e liberamente, il documento dovrà essere tradotto nella lingua madre di questa o comunque in una a lei comprensibile.

Non solo! Se già dallo scorso Gennaio il Ministero dell’interno aveva messo un filtro alla clientela, escludendo coppie gay, a fronte della prevalenza straniera della“clientela” del turismo riproduttivo indiano, l’INSTAR ha decretato che dallo scorso mese per accedere a questo tipo di servizi sarà necessario essere in possesso di un particolare visto medico (e non più quindi del semplice visto turistico). Nonostante ciò, il visto turistico potrà comunque essere richiesto per visitare le strutture ed eventualmente stabilire un primo contatto con le cliniche riconosciute dal Consiglio Indiano di Ricerca Medica, a patto che alcun tipo di impianto venga effettuato durante “la visita ricognitiva”. Al visto, dovrebbe essere allegata una lettera rilasciata dall’ambasciata in India del Paese dell’acquirente straniero, in cui si specifica che il Paese di provenienza riconosce l’affitto d’utero e considera i figli nati da procedura in vitro, figli biologici della coppia.

di Giulia Pavesi

Linkografia:

http://indiatoday.intoday.in/story/surrogacy-blooming-business-in-gujarat-shah-rukh-aamir-khan/1/301026.html

www.sunday-guardian.com/investigation/indias-baby-factory-catches-wests-attention

http://www.telegraph.co.uk/health/women_shealth/10324970/The-British-babies-made-in-India.html

http://indiatoday.intoday.in/story/surrogacy-commissioning-tourist-visa-india/1/320911.html

http://articles.washingtonpost.com/2013-07-26/world/40862935_1_surrogacy-surrogate-mother-poor-women

http://www.icmr.nic.in/

http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2013-01-18/india/36415052_1_surrogacy-fertility-clinics-home-ministry

http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2013-10-30/india/43526104_1_surrogacy-tourist-visa-medical-visa

http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2013-10-22/ahmedabad/43286989_1_1-lakh-surrogacy-rs-25

http://ivf-surrogate.com/index.php/meet-dr-patel-2

http://csrindia.org/blog/2012/03/05/surrogacy-motherhood/

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