Quando l’arte tradizionale si contamina con quella dei folli e trova il suo scopo. Un mostra ne ripercorre i processi.
Arte alla ricerca del Visionario
Molti artisti dei primi anni del Novecento, ricercano lo scopo della propria arte nella conoscenza della realtà autentica, nascosta dietro l’aspetto sensibile di ciò che li circonda, perché “la meravigliosa complessità del mondo comporta che esso includa molto più di ciò che è alla portata della visione comune” (C.W. Leadbeater).
Secondo questi artisti, infatti, la realtà è deformata dalla cultura e dall’educazione e vincolata dalla società in cui viviamo. L’artista, soffocato da un tale prospettiva, ricerca quindi l’irrazionale e l’istintuale, riconoscendo la necessità di una immaginazione che renda visibile la realtà invisibile.
C’è qualcosa d’altro dietro a ciò che si conosce (o si crede di conoscere), qualcosa a noi ignoto, e l’artista del Novecento si fa messaggero di questo altro; egli aspira al potere dello sciamano, del santo, del chiaroveggente: del visionario.
Ma come?
La risposta dellArt Brut
Jean Dubuffet (Le Havre, 31 luglio 1901 – Parigi, 12 maggio 1985), fu artista, pittore, scultore e teorico e, dopo essersi dedicato all’attività di commerciante di vino, delineerà la corrente artistica che proprio dal vino “grezzo” prenderà il nome di Art Brut.
Nel 1923, svolgendo il servizio militare presso l’ufficio nazionale di meteorologia della Tour Eiffel, si ritrova a selezionare i materiali per un concorso fotografico che ha come soggetto il cielo. Scopre così i quaderni di una certa Madame Ripoche che ogni giorno disegna le nuvole viste dalla sua finestra. Dubuffet ne rimane folgorato e riconosce in lei un’autentica visionaria. Quei disegni diverranno lo stimolo per la sua ricerca iniziatica: nel 1944 l’artista intraprende un viaggio presso gli ospedali psichiatrici elvetici, nei quali viene a contatto con i disegni dei pazienti, fonte preziosa di ispirazione e aspirazione artistica che lo condurranno a elaborare l’innovativo pensiero alla base dell’Art Brut.
Gli autori di Art Brut sono coloro che riescono a vedere “oltre”. Artisti visionari, autodidatti, “grezzi”, che creano non per un fine estetico, quanto per necessità, guidati da una forte pulsione emotiva. Sono uomini e donne che lavorano per se stessi, al di fuori del circuito tradizionale, talvolta affetti da disturbi della psiche e residenti in strutture di igiene mentale.
Durante il viaggio nei manicomi, Dubuffet conosce le opere di moltissimi malati di mente, fra cui Adolf Wölfli e Alöise Corbaz.
Alöise Corbaz (1886 – 1964) è una visionaria che vive per oltre quarant’anni in un istituto psichiatrico vicino a Losanna. Disegna su fogli di carta da pacchi che assembla con ago e fili di lana per creare grandi formati; utilizza tecniche miste, servendosi di strumenti che trova sotto mano.
I suoi disegni sono mondi popolati da cavalieri, principi e uomini galanti che gravitano intorno alla figura femminile, sempre centrale. I colori forti, vivi, intensi, restituiscono la passione e il trauma che la pervadono. “Voi sapete che il rosso è bello per gli schizofrenici”, dice.
Adolf Wölfli (1864 – 1930) è un visionario affetto da schizofrenia, ricoverato presso il manicomio di Waldau, vicino a Berna. La sua infanzia è segnata da un padre violento, alcoolizzato, che presto abbandona la numerosa famiglia lasciandola in crisi economica. In età adulta la predisposizione violenta e i tentati abusi sessuali saranno il motivo della sua incarcerazione e, in seguito, reclusione in manicomio. Proprio qui scoprirà e darà voce alla propria vocazione per le arti, quella figurativa in particolare. La poetica di Wölfli è molto caratteristica: immagini tratte dalla realtà vengono da lui moltiplicate, distorte, ingrandite o ridotte, per creare un mondo immaginario e allucinato, ossessivo e decorativo allo stesso tempo.
Dubuffet vede in tutto ciò un’espressività non corrotta dalla società e dalle sue convenzioni, lasciata aperta all’immaginazione del malato, alla chiaroveggenza di un disegno che riproduce un mondo distrutto e ricostruito: autenticamente visionario.
Egli aspira all’arte manicomiale, la cerca e la ricrea. La sua poetica, i quadri e le sculture dagli anni ’40 in avanti ne sono la dimostrazione.
Un ponte fra Arte e Psichiatria
Il lavoro intellettuale e artistico di Jean Dubuffet, è debitore a più generazioni di studiosi che hanno indagato con spirito pionieristico, e non senza ostacoli culturali, il sottile confine tra psicologia e storia dell’arte. Questi studi prendono avvio all’inizio del ‘900 con la psicanalisi di Freud e successivamente con quelli di Jung, e permetteranno a intellettuali e ad artisti delle avanguardie di interessarsi all’inconscio e all’onirico.
Lo psicologo e storico dell’arte Hans Prinzhorn, esponente cardine nello studio di questo settore, ha ampliato il campo d’azione nelle ricerche di intere generazioni di studiosi, medici e artisti; ciò ha permesso all’arte dei malati mentali di essere elevata da semplice sintomo a forma d’arte, al pari delle altre.
Jean Dubuffet farà tesoro di questo sentiero aperto, proseguendolo fino a costituire il solido teorema dell’Art Brut.
Borderline: Artisti fra normalità e follia
Dal 17 febbraio al 16 giugno si è svolta a Ravenna la mostra “Borderline. Artisti tra normalità e follia. Da Bosh a Dalì, dall’Art Brut a Basquiat”, curata da Claudio Spadoni, direttore scientifico del museo, e da Giorgio Bedoni, psichiatra e psicoterapeuta, con il supporto della Fondazione Mazzotta di Milano.
Una mostra ricca e interessante che indaga la “linea di confine”, zona intermedia in cui “normalità” e “follia” entrano in contatto, si mescolano e contaminano. Affiancando opere di artisti “ufficiali” e “outsider”, porta alla luce un rapporto di dipendenza di svariata arte tradizionale verso quella visionaria.
La mostra, organizzata per sezioni, si apre con una introduzione introspettiva in cui sono esposti i maestri precursori del fantastico e visionario: Bosh, Bruegel, Goya, Gericault… che anticipano il tema “arte follia” tipico novecentesco.
La successiva sezione “ DISAGIO DELLA REALTÀ” è composta da opere di
Bacon, Dubuffet, Basquiat, Tandredi, Wols… e Federico Saracini, che all’interno della sua cella manicomiale percepisce gli umori nati dai conflitti dell’Europa coloniale di inizio ‘900 e li trasforma in disegni-riflessioni di impronta morale e filosofica.
La relazione fra psiche e fisicità è da sempre oggetto di studio per la psicoanalisi e parallelamente per l’Azionismo Viennese: Brus, Nitsch, sono artisti che si servono
del corpo come mezzo rituale, in quanto estensione della superficie pittorica che da materia organica diventa arte. Si apre quindi la seconda sezione della mostra, “DISAGIO DEL CORPO”. Insieme a loro Rainer, Recalcati, Moreni, Fabbri, Zinelli, Jorn, Corneille…
Nella sezione “RITRATTI DELL’ANIMA” il rapporto fra “sè” e “altro” è indagato attraverso autoritratti e ritratti realizzati da pazienti delle case di cura. Quelli di Gino Sandri sono testimonianza dall’interno della realtà manicomiale, di coloro che la vivono o vi lavorano. Presenti in mostra anche opere di Ghizzardi, Kubin, Ligabue, Moreni, Rainer, Sandri, Van Gogh, Jorn, Appel, Aleshinsky, Viani.
La tridimensionalità artistica è scultura; “LA TERZA DIMENSIONE DEL MONDO” è la sezione che spazia fra le opere scultoree di Art Brut, inediti di Gervasi e manufatti di arte africana e oceanica. L’arte primitiva, infatti, è un modello per alcuni artisti perché prodotta da civiltà autentiche, visionarie come l’arte dei malati mentali, che con essa condivide linguaggi espressivi e contenuti delle opere.
Per finire “IL SOGNO RIVELA LA NATURA DELLE COSE”, è la sezione che contiene opere di Dalì, Ernst, Masson e Brauner… i quali traspongono sulla tela il proprio inconscio ed esperienza onirica partendo dalle teorie psicanalitiche freudiane. Fra di essi vi è Paul Klee autore interessato all’arte infantile, vista come automatismo psichico che razionalizza nel disegno il pensiero innocente del bambino.
di Jessica Ghezzi
Linkografia e Fonti
http://www.women.it/oltreluna/darkladies/aloise.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Adolf_Wolfli
http://www.turismo.ra.it/ita/Eventi/Manifestazioni-e-iniziative/Mostre/Borderline
Giorgio Bedoni, Visionari. Arte, sogno, follia in Europa, Selene Edizioni.
Giorgio Bedoni, Bianca Tosatti, Arte e Psichiatria. Uno sguardo sottile. Edizioni Mazzotta, 2000.
Claudio Spadoni, Giorgio Bedoni, Gabriele Mazzotta, Sarah Lombardi, Francesco Paolo Campione, Borderline – Artisti tra normalità e follia, Edizioni Mazzotta, 2001.
Tutte le immagini presenti nell’articolo sono riproduzioni di quadri esposti nella mostra “Borderline. Artisti tra normalità e follia”.