Categoria | Scienza e Tecnologia

Acciacchi Spaziali

Pubblicato il 08 aprile 2015 da redazione

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Dai tempi di Jurij Alekseevič Gagarin abbiamo fatto passi da gigante in ambito spaziale sia a livello tecnologico che a livello scientifico. Tuttavia siamo davvero sicuri che ad oggi l’uomo è in grado di effettuare un viaggio nello spazio per lunghi periodi? Purtroppo non è così semplice rispondere a una domanda tanto delicata, in quanto il corpo umano è sì in grado di adattarsi, ma ciò comporta cambiamenti a volte pericolosi. Ma vediamo nel dettaglio i possibili sintomi e patologie dovute alla mancanza di gravità.

 

Gli effetti dell’assenza di peso

Il corpo umano riesce ad adattarsi perfettamente alle condizioni fisiche necessarie ad abitare la superficie terreste, di conseguenza in assenza di peso si innescano dei cambiamenti nel sistema fisiologico che, in certi casi, possono portare all’atrofia. Fortunatamente questi effetti sono solitamente temporanei; solo in pochissimi casi gli effetti si prolungano per lungo tempo compromettendo parzialmente la salute dell’astronauta.

A seguito di un’esposizione alla microgravità, anche per brevi periodi, possono presentarsi effetti spiacevoli come nausea, illusioni visive e disorientamento; questo stato dura solitamente qualche giorno. Questo malessere prende il nome di ‘Sindrome da Adattamento dello Spazio’ (SAS, Space Adaptation Syndrome) e colpisce circa metà dei soggetti che si vengono a trovare in uno spazio privo di gravità, o con valori di gravità diversi da quelli terrestri (i sintomi vengono classificati scherzosamente secondo la ‘scala Garn’, così chiamata in onore dell’astronauta Jake Garn che nel 1985 ha riportato il più grave caso di nausea spaziale). La principale causa di questo fenomeno  è lo squilibrio del sistema vestibolare; per questo una lunga esposizione all’assenza di gravità può portare a molteplici problemi di salute, tra i più significativi la perdita di tono muscolare e l’indebolimento delle ossa. Questi effetti di decondizionamento possono compromettere le performance degli astronauti e peggio ancora aumentare il rischio di lesioni, ridurre la loro capacità aerobica e rallentare il loro sistema cardiovascolare.

 

Perdita di tono muscolare e indebolimento delle ossa

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Come già accennato il principale effetto  di una prolungata esposizione alla microgravità compromette la normale funzionalità di ossa e muscoli. Senza l’effetto della gravità, i muscoli scheletrici che solitamente il nostro corpo utilizza per il mantenimento della postura diventano inutili, come anche quelli della schiena e delle gambe, usati solitamente per camminare, che non vengono minimamente caricati durante il movimento. Ciò provoca un indebolimento dei muscoli e in certi casi la loro riduzione. Conseguentemente alcuni muscoli si atrofizzano rapidamente e, senza un regolare esercizio, un astronauta può perdere fino al 20% della massa muscolare in soli 5-11 giorni!

Addirittura può anche cambiare la fibra muscolare predominante in un muscolo. Fibre contrattili in grado di sopportare lunghe e lente contrazioni (solitamente adoperate per il mantenimento della postura) vengono sostituite da altre adatte a contrazioni veloci, inadatte per qualsiasi lavoro ‘pesante’. Al momento l’unico rimedio consiste nel fare esercizi mirati, assumere integratori ormonali e medicinali che aiutano a mantenere la massa muscolare e corporea.

Purtroppo si verificano cambiamenti anche nel metabolismo osseo. Normalmente le ossa si dispongono in direzione della sollecitazione meccanica a cui viene sottoposto il nostro corpo sulla Terra, tuttavia in assenza di gravità questa sollecitazione è minima. Ne risulta una perdita del tessuto osseo (circa 1.5% al mese) soprattutto nelle vertebre inferiori, anca e femore. Il rapido cambiamento della densità ossea ha effetti catastrofici, in quanto rende le ossa molto fragili e provoca sintomi molto simili a quelli dell’osteoporosi. Sulla Terra le ossa cambiano e si rigenerano continuamente grazie a un sistema ben bilanciato in cui sono fondamentali i segnali inviati da osteoblasti e osteoclasti. Quando un osso è malconcio, gli osteoclasti provocano una disgregazione della matrice ossea di modo che grazie agli osteoblasti si formi una nuova matrice ossea (ogni anno circa il 10% della nostra massa ossea viene rinnovata, tramite meccanismi fisiologici di neo-formazione e riassorbimento). Nello Spazio, invece, aumenta l’attività degli osteoclasti (specialmente nella zona pelvica) causando la rottura delle ossea in minerali che vengono in seguito riassorbiti dal corpo; visto che l’attività degli osteoblasti rimane invariata le ossa non fanno altro che ridursi. Tuttavia fino ad oggi gli astronauti hanno riacquistato la loro normale densità ossea una volta tornati sulla Terra, anche se rimasti nello spazio per soli 3-4 mesi, ci  sono voluti 2-3 anni per riavere la densità ossea persa.

La miglior terapia al momento consiste in un mirato esercizio fisico, per questo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) gli astronauti si devono legare a un tapis roulant, COLBERT (Combined Operational Load Bearing External), appositamente progettato per minimizzare le vibrazioni che altrimenti potrebbero interferire con gli esperimenti a microgravità svolti sull’ISS. Grazie al COLBERT gli astronauti possono svolgere esercizi che aumentano la massa muscolare, tuttavia questo sofisticato attrezzo non è in grado di fare nulla per la densità ossea. Sulla ISS si trova anche una bicicletta static aRED (advanced Resistive Exercise Device); ogni astronauta deve adoperare questo equipaggiamento almeno per due ore al giorno. Gli astronauti sottoposti a lunghi periodi di microgravità devono indossare pantaloni con fasce elastiche tra la cintura e le caviglie in modo da comprimere le ossa delle gambe e ridurre l’osteopenia.

 

La ridistribuzione dei fluidi

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ridistribuzione dei fluidi

Il corpo umano è composto per il 60% di acqua, per lo più intravascolare e intracellulare. Tuttavia dopo pochi secondi in un ambiente senza gravità questi fluidi si ridistribuiscono nella parte superiore del nostro corpo con un conseguente rigonfiamento delle vene, della faccia e una congestione nasale ( i sintomi sono molto simili a quelli di un raffreddore). Nello spazio i fluidi si distribuiscono maggiormente per tutto il corpo poiché non è più necessaria la reazione automatica del corpo che mantiene costante la pressione sanguigna; è come se il cuore si atrofizzasse, si indebolisse (per questo aumenta il rischio che il corpo non sia più in grado di inviare abbastanza ossigeno al cervello). Ne risulta una riduzione del 20% del plasma (l’acqua presente nel flusso sanguigno). Questa ridistribuzione può provocare sugli astronauti effetti gravi una volta che questi fanno ritorno sulla Terra. Ne è un esempio l’intolleranza ortostatica sperimentata da astronauti ritornati da lunghe missioni spaziali, i quali non riuscivano più a stare in piedi per più di 10 minuti. Anche in questo caso l’effetto è temporaneo e sparisce massimo in un paio di settimane dal rientro.

 

Disturbi alla vista

A seguito dell’aumento dei fluidi nella parte superiore del corpo, gli astronauti hanno sperimentato un aumento della pressione intracranica che a sua volta ha incrementato  la pressione nella zona adiacente i bulbi oculari provocando un cambiamento di forma di quest’ultimi e schiacciando leggermente il nervo ottico. Questo schiacciamento potrebbe provocare una sindrome conosciuta come papilledema, un disturbo che può portare anche alla perdita completa della vista. La ‘cecità spaziale’ è una sindrome venuta alla luce solo di recente a causa della riluttanza degli astronauti di generazioni precedenti, spaventati dall’idea di poter essere considerati non più idonei per future missioni spaziali. Sembra che questo fenomeno sia proporzionale alla permanenza nello spazio.

 

Disturbi del gusto

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Numerosi astronauti hanno riportato un cambiamento dei lori gusti a seguito dell’esposizione alla microgravità. Alcuni una volta nello spazio trovavano il cibo insipido mentre altri ancora disdegnavano cibi che prima del viaggio ritenevano i loro ‘preferiti’. Ad esempio, è capitato che un astronauta che amava molto bere il caffé, durante la sua missione nello spazio ha cominciato a odiarlo a tal punto che una volta tornato sulla Terra ha smesso di berlo del tutto. Nonostante siano stati condotti numerosi test non si è ancora compresa la ragione di tale cambiamento, anche se alcune teorie includono il degrado del cibo o fattori psicologici come la noia. Spesso gli astronauti scelgono cibi molto saporiti per combattere questa mancanza di sapore.

Dopo circa due mesi nello spazio, la pianta del piede dell’astronauta si spella (lasciando il posto a una pelle levigata e rosea) a causa del loro continuo fluttuare. I calli si spostano dalla pianta al collo del piede che  comincia a diventare più sensibile. Infatti l’unico modo che hanno gli astronauti per restare fermi in un punto è ancorarsi con i piedi alle molteplici maniglie situate sulle pareti della Stazione Spaziale.

Tutti i disturbi fisici sopra citati rappresentano solo una parte dei disagi che dovrà affrontare l’uomo se decider di partire per viaggi interplanetari di lunga durata. Infatti anche il fattore psicologico gioca un ruolo cruciale nella vita di un uomo. Le dinamiche che si creano all’interno di un equipaggio ridotto, costretto a vivere a stretto contatto in un ambiente ristretto e privo di ‘vie di fuga’, sono molto complesse e critiche. Immaginate come vi sentireste se foste lontano dalla vostra famiglia, in un ambiente completamente diverso da ciò a cui siete stati abituati per tutta la vita, con persone che non conosciete così profondamente, sentendo il vostro corpo cambiare per adattarsi a questa nuova realtà e una possibilità di movimento ridotta al minimo. Capite bene quante cose debbano ancora essere sistemate prima che l’uomo inizi la sua avventuara alla conquista dell’universo.

 di Sara Pavesi

 

Bibliografia

http://en.wikipedia.org/wiki/Effect_of_spaceflight_on_the_human_body

http://www.galileonet.it/2012/08/addio-armstrong-tutti-i-rischi-di-una-vita-da-astronauta/

http://www.media.inaf.it/2014/04/02/i-rischi-degli-astronauti-nello-spazio/

 

 

 

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