Se pensate che gli astronauti del futuro indosseranno ancora tute spaziali ingombranti, scomode e pressurizzate a gas, vi sbagliate! Il MIT sta infatti cercando di portare a termine un progetto grandioso che prevede la realizzazione di tute spaziali molto più leggere e comode, che aderiscano perfettamente a ogni muscolo del corpo; a capo di questo gruppo di ricercatori, finanziati dalla NASA e dal MIT Portugal Program, troviamo Dava Newman, professore di sistemi aeronautici, spaziali e ingegneristici presso il MIT.
Questa nuova tuta aderente non solo sarà in grado di sostenere l’astronauta, ma gli consentirà molta più libertà di movimento nell’esplorazione planetaria.
Lo stesso professor Newman ci riassume in breve gli obiettivi e i propositi per cui si è creato questo indumento rivoluzionario: “Adoperando le tue spaziali convenzionali, siete come all’interno di un palloncino di gas che vi fornisce un terzo di atmosfera (in termini di pressione) necessaria per mantenervi in vita nel vuoto dello spazio. Il nostro progetto è quello di raggiungere la stessa pressurizzazione attraverso una contropressione meccanica; ossia applicando direttamente la pressione sulla pelle senza adoperare alcun tipo di gas”,”In definitiva il grande vantaggio di questa nuova tuta è la sua mobilità e leggerezza”.
Ovviamente parlando di un indumento aderente quanto una seconda pelle, si deve considerare anche il modo per toglierselo. Ebbene dovete sapere che applicando una moderata forza sulla tuta, questa ritorna alla sua forma originaria larga e comoda da sfilare. Si tratta infatti di un indumento di compressione attivo con incorporati degli avvolgimenti, o bobine, piccoli e leggeri che si contraggono in risposta al calore. Queste bobine sono state realizzate in una lega a memoria di forma (SMA, Shape-Memory Alloy) quindi una volta riscaldate sono in grado di ´ricordare´ una forma prestabilita, anche a seguito di deformazioni. Per produrre questa fonte di calore, i ricercatori hanno sapientemente incorporato le bobine in un polsino, stretto quasi quanto un laccio emostatico, all’interno del quale viene fatta circolare corrente elettrica. A una data temperatura, gli avvolgimenti si contraggono assumendo la loro forma prestabilita, come se fossero una molla completamente arrotolata, mentre il bracciale si stringe sempre più.
Inoltre a seguito di numerosi esperimenti, gli scienziati del MIT hanno potuto appurare che la pressione data da queste bobine è ampiamente sufficiente per sostenere gli astronauti nello spazio.
La progettazione di questi avvolgimenti è opera di Bradley Holschuh, un assegnista di ricerca presso il laboratorio del professor Newman, insieme con il dottorando Edward Obropta.
Come preimpostare la nuova tuta spaziale
Già in passato in molti avevano pensato di realizzare una tuta spaziale ´attillata´ ma si finiva sempre davanti a un ostacolo fino ad ora insuperabile: come infilare e sfilare uno tuta che è progettata per essere estremamente stretta. Ed è qui che entrano in gioco le leghe a memoria di forma: grazie alla loro capacità di contrarsi sotto l´effetto del calore e allo stesso tempo distendersi a contatto con il freddo, sono riuscite a risolvere brillantemente questo problema persistente.
Tuttavia Holschuh ha dovuto scegliere tra diversi materiali attivi prima di trovare quello più adatto da adoperare nello spazio, che infine è risultato essere una lega a memoria di forma in nichel-titanio. Questo materiale, una volta preimpostato per assumere la forma di molle dal diametro piccolo e ben compatte, si contrae quando riscaldato e restituisce una notevole quantità di forza a causa della sua massa ridotta (ideale per un indumento di compressione leggero).
Tuttavia questo materiale viene comunemente prodotto sotto forma di bobine di fibra molto sottile e dritta. Holschuh ha quindi adoperato una tecnica elaborata da un altro gruppo del MIT (ideata per la realizzazione di bobine in nichel-titanio per la progettazione di un verme robotico alimentabile con il calore) per trasformare le fibre dritte in avvolgimenti.
Per ‘addestrare’ questa particolare lega a memoria di forma, Holschuh ha per prima cosa avvolto la fibra grezza formando delle bobine estremamente sottili con un diametro millimetrico, che ha in seguito riscaldato a una temperatura di 450°C in modo da fissarle a una forma prestabilita, o ‘addestrata’.
A temperatura ambiente le bobine possono essere allungate o piegate, come se fossero graffette; tuttavia a una certa temperatura di innesto (solitamente 60°C) le fibre ritornano alla loro forma preimpostata, ossia tornano ad essere avvolgimenti molto stretti.
Una volta addestrato il materiale, i ricercatori hanno realizzato un polsino elastico con una serie di bobine attaccando ognuna di esse a un filo del bracciale. Infine hanno collegato i capi del polsino alle estremità opposte delle bobine e hanno applicato una tensione, in modo che si generasse calore. Tra i 60°C e i 160°C le bobine si contraggono tirando di conseguenza anche i fili di tessuto a cui sono attaccate. “Si tratta fondamentalmente di fibbie a chiusura automatica”, spiega Holschuh, “Una volta indossata la tuta vi si fa circolare all’interno corrente, di modo che questa si restringa e aderisca perfettamente alla pelle”.
Questioni irrisolte
Purtroppo c´è ancora un ostacolo che i ricercatori del MIT devono superare: bisogna trovare il modo per mantenere la tuta stretta e aderente a tutto il corpo.
Holschuh ritiene possibili solo due alternative: o si riesce a mantenere costante l´elevata temperatura o bisogna incorporare nella tuta un meccanismo che blocchi le bobine impedendogli di allentarsi. La prima opzione è sicuramente da scartare, poiché provocherebbe un surriscaldamento che potrebbe nuocere all’astronauta e richiederebbe batterie molto pesanti e ingombranti (difficilmente adoperabili nello spazio viste le risorse energetiche limitate degli astronauti).
Per questo motivo Holschuh e Newman hanno deciso di concentrarsi sulla seconda opzione, esaminando tutti i possibili meccanismi in grado di bloccare e mantenere le bobine nella corretta posizione. Anche la disposizione delle bobine all’interno della tuta è ancora incerta, tuttavia Holschuh sta pensando a diverse disposizioni: al centro della tuta, per esempio, si potrebbe collocare una serie di bobine ognuna collegata a un filo, in modo che quando le bobine si attivano ogni singola parte, comprese le estremità della tuta, risulti stretta e pressurizzata. Oppure, si potrebbero disporre diverse bobine in punti strategici della tuta, di modo che qui si creino una tensione e una pressione locale, necessari al mantenimento della compressione di tutto il corpo dell’astronauta.
Al contrario di molti ricercatori, Holschuh pensa che questa nuova tuta rivoluzionaria non debba trovare un’applicazione solo nello spazio; i suoi scopi possono essere molteplici, come ad esempio per indumenti sportivi o uniformi militari. Lo stesso Holschuh ribadisce: “Quest’indumento si potrebbe utilizzare anche sul campo di battaglia nel caso in cui qualcuno si ferisca e cominci a sanguinare; infatti funzionerebbe come un laccio emostatico e fermerebbe l’emorragia”,”Se indossate un indumento con dei sensori, nel momento in cui vi ferite e cominciate a sanguinare questo reagirebbe automaticamente e bloccherebbe l’emorragia senza che voi dobbiate fare nulla”,”E’ eccitante pensare che un indumento simile sarà in grado di migliorare le prestazioni umane”.”Il nostro obbiettivo primario in questo momento è sicuramente riuscire con questa tuta a mantenere in vita, in salute e a dare più mobilità a un astronauta, tuttavia questo progetto non riguarda solo l’ambito spaziale”.
Per concludere, è importante riflettere sulla rivoluzione che potrebbe apportare quest’indumento. Da secoli, l’uomo vuole andare alla conquista dello spazio, ma certamente non riuscirà mai a realizzare questo sogno se l’unico modo che ha per farlo è attraverso una tuta troppo ingombrante e pesante. L’importanza di questo progetto sta proprio nel voler dare una nuova, dinamica e avveniristica immagine dell’uomo nello spazio.
di Sara Pavesi
Linkografia:
Dal sito ufficiale del MIT: http://newsoffice.mit.edu/2014/second-skin-spacesuits-0918