Il 12 giugno 2014 si è tenuta la giornata mondiale contro il lavoro minorile. Poco meno di un mese dopo, il Parlamento di La Paz ha approvato il nuovo Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Código de la Niñez y Adolescencia) che ammette, entro certi limiti, la possibilità di cominciare a lavorare già a partire dai 10 anni.
Due dati nettamente in contrasto tra loro?
Secondo le stime riportate dalla Banca Mondiale nel 2012, la popolazione boliviana ammonta a 10,5 milioni di abitanti. Di questi, secondo uno studio del governo boliviano, 850 000 minori compresi tra i cinque e i diciassette anni sono lavoratori: il 15% della forza lavoro!
La maggior parte di loro, così come accade in tutti i Paesi più poveri del mondo, comincia a lavorare per aiutare le proprie famiglie o nei casi più disperati per provvedere a sé stessa.
Le “professioni” cambiano a seconda del contesto urbano. Infatti, nelle città i bambini vengono impiegati come lavoratori domestici, addetti al confezionamento nei supermercati, camerieri nei ristoranti, lustrascarpe, strilloni, operai nei laboratori tessili o come venditori ambulanti di sigarette, dolci o caramelle. Nelle campagne, invece, sono destinati alla coltivazione dei campi, al pascolo delle greggi o dei lama, nei peggiori dei casi al lavoro nelle miniere. Entrambi i contesti ricordano molto l’Oliver Twist di Dickens o il Rosso Malpelo di Verga!
La Bolivia è parte della Convenzione sull’età minima del 1973 promossa dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Conv. OIL 138/1973), che fissa la soglia minima per l’accesso al lavoro da parte dei bambini a 15 anni. Per la Bolivia, invece, l’età minima è stata fissata a 14 anni (deroga ammissibile dal testo della Convenzione).
Negli scorsi anni, nonostante il divieto legislativo, la realtà mostrava che l’occupazione lavorativa interessava anche bambini ben al di sotto della soglia di liceità. Per questo nel 2003, i diversi movimenti locali (Nats) in difesa dei diritti dei lavoratori-bambini si unirono nella Bolivian Union of Child and Adolescent Workers (Unatsbo), il sindacato nato per difendere i diritti di questi piccoli lavoratori. Ed è stato proprio questo sindacato a battersi negli ultimi anni per abbassare la soglia dell’età consentita per accedere al mondo del lavoro.
Come? Nel più vecchio dei modi: scendendo in piazza, ottenendo l’attenzione dei media nazionali e obbligando il Presidente Evo Morales, già loro “simpatizzante” poiché anch’egli ex-baby pastore, ad ascoltarli.
Perché? Non per impedire il lavoro minorile … bensì per fermarne lo sfruttamento! Già, poiché riconoscere legislativamente la realtà significa anche rendere tutelabili in maniera più efficiente situazioni che altrimenti sarebbe difficile portare alla luce. Riconoscendo questa nuova categoria di lavoratori li si rende anche meno vulnerabili rispetto ai loro datori di lavoro.
Grazie al nuovo Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza viene garantita una tutela più ampia: ai bambini tra i 10 e i 14 anni che lavorano in proprio, quindi essenzialmente nel contesto familiare, a patto che il lavoro non ne pregiudichi la formazione educativa, e a quelli tra i 12 e i 14 che lavorano per altri, dove l’orario di lavoro sarà ridotto da 8 a 6 ore.
I limiti inderogabili? Il lavoratore deve essere volontario, deve esservi il consenso dei genitori e l’autorizzazione dei Difensori dell’Infanzia, organismi dipendenti dai diversi municipi.
Non solo! Il governo boliviano si è impegnato a varare un nuovo testo normativo a protezione, questa volta, dei bambini-lavoratori più a rischio: quelli delle piantagioni e delle miniere, dove spesso la linea di demarcazione tra “impiego” e “schiavitù” non è così netta.
Eppure, un altro fattore che sembra aver giocato a favore di questo allentamento delle briglie sembra essere anche il contesto culturale, come si desume dalle parole dello stesso Presidente boliviano Morales: «Vietare il lavoro ai bambini è come negargli una coscienza sociale».
In questo senso, il lavoro viene visto come strumento di coesione sociale e soprattutto di crescita personale. E gli esempi non mancano: da bambini che lavorano nelle miniere o nei campi solo d’estate all’esperienza di studenti universitari e dirigenti politici, tra cui lo stesso Presidente, in passato a loro volta bambini lavoratori.
Difficile scegliere tra l’etica e il bilanciamento del “male minore”, eppure alcuni dati del UNDP (United Nations Development Programme) possono aiutare a riflettere:
- il tasso di alfabetizzazione del Paese (età > 15) è del 91,2%;
- il tasso di popolazione con almeno un’istruzione secondaria è del 53,1%.
Preoccupazione arriva, invece, dall’Unicef, dall’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell’attuazione e adozione delle norme internazionali del lavoro, e da diverse organizzazioni non governative, tra cui la Human Rights Watch che rimprovera al governo boliviano di supportare il lavoro minorile, invece che investire in politiche volte a porvi fine. Preoccupazione piuttosto fondata. Ci si chiede: come può un bambino che ha già lavorato sei ore, stare attento in classe e trovare il tempo di fare i compiti? O ancora: nella fase di transizione dall’infanzia all’adolescenza, dove i bambini sono più recettivi, è giusto confinarli a svolgere attività ripetitive e per nulla stimolanti?
Forse, bisogna guardare a queste misure come meri palliativi in una situazione di transizione.
E un barlume di speranza che un domani ogni bambino avrà il diritto alla propria infanzia arriva dall’ultimo report del 2013 dell’OIL, secondo il quale dal 2000 il fenomeno del lavoro minorile è in calo del 32% . Eppure ancora una volta è una vittoria agrodolce: i bambini tuttora impiegati in attività lavorative sono 168 milioni, di questi 85 milioni lo sono in lavori pericolosi.
di Giulia Pavesi
Linkografia:
http://www.treccani.it/magazine/piazza_enciclopedia_magazine/societa/Lavorare_a_dieci_anni.html
http://www.theguardian.com/world/2014/jul/08/bolivia-legal-working-age-10
http://www.hrw.org/news/2014/01/24/bolivia-don-t-lower-age-child-labor