Eurotunnel : come cambiare la storia scavando un buco sotto il mare.
Quando il 6 maggio 1994, alla presenza della regina d’Inghilterra Elisabetta II e del presidente della Repubblica Francese François Mitterrand, fu inaugurato il tunnel sottomarino che collegava Francia e Gran Bretagna, si compiva un evento incredibile, non solo dal punto ingegneristico. Erano circa 8.500 anni che l’isola di Albione non era collegata al continente, cioè dall’ultima era glaciale.
Sciolto il ponte naturale di ghiaccio, che aveva consentito agli animali e ai cacciatori preistorici di passareda un lato all’altro, nessun altro era mai riuscito ad attraversare il canale della manica senza ‘bagnarsi i piedi’ e fino a quel fatidico giorno, l’inviolabilità delle isole Inglesi è rimasta un fatto storico assoluto.
Neppure l’invenzione più strabiliante del secolo scorso, l’aeroplano, era mai riuscita a metterla in forse, almeno dal punto di vista militare e strategico.
Oggi invece si può andare e venire liberamente sotto la superficie del mare, con un discreto (ma attento) controllo doganale, secondo gli accordi stabiliti fra Parigi e Londra, mentre il traffico di mezzi e persone nelle due gallerie ha il solo limite nella tecnologia e nelle misure di sicurezza.
50 chilometri di via sotterranea, il percorso più lungo al mondo sotto la superficie marina.
Ma per arrivare a tutto questo la strada è stata lunga.
I precursori
Il sogno di collegare le due sponde del mare tra Francia e Inghilterra erano state accarezzate più e più volte nel corso dei secoli. Materiali e tecnologie lo fecero rimanere tale, così come i rapporti politici fra l’isola e la terraferma, instabili e burrascosi come talvolta sono le acque del Canale.
E’ nel 1802, all’alba della rivoluzione industriale, che l’ingegnere Albert Mathieu – Faviér propose ad entrambi i governi il progetto avveniristico di un tunnel per carrozze, con stazioni di riposo e illuminazione con lampade ad olio. Il costo astronomico per l’epoca (un milione di sterline, pari a 64 milioni odierni) con la mancanza di tecnologie all’altezza chiusero la partita.
Ma non ultime anche resistenze politiche e timori strategici (si era in pieno periodo delle guerre napoleoniche) ebbero il loro peso.
Nel 1856 Aimé Thomé de Gamond, geologo francese convinto che si potesse fare, presentò all’imperatore Napoleone III un progetto frutto di 30 anni di ricerche geologiche sugli strati rocciosi del fondo della Manica e sui lati dello stesso, accettato ufficialmente nel 1867, con un costo stimato non superiore ai 170 milioni di Franchi. Già nel 1834 de Gamond aveva presentato un progetto per una ferrovia interrata, dopo aver lavorato in Olanda alle bonifiche e alla difesa delle terre poste al di sotto del livello del mare.
Ma ancora una volta le considerazioni politico – strategiche successive alla disastrosa guerra Franco – Prussiana del 1870 misero fine ai progetti.
Calmatesi relativamente le acque agitate della politica europea, sul versante inglese nel 1875 Peter William Barlow, che aveva fatto esperienza nella costruzione di ‘walks’ e ferrovie sotterranee, presentò un progetto per collegare le rive opposte con un tubo d’acciaio galleggiante. Ancora una volta problemi realizzativi, manutentivi e politici (il famoso senso di isolamento ed indipendenza inglese) lo pregiudicarono sin dall’inizio, assieme a costi stratosferici che nessun investitore, privato o pubblico che fosse, fu disposto a sostenere.
La concessione da lui ottenuta per gli studi di fattibilità semplicemente scadde e ancora una volta l’idea finì nell’oblio. Due pozzi con relativi tunnel esplorativi erano stati scavati a partire dal 1870 su entrambi i lati, rimasti visitabili per molti anni (uno dei primi casi di turismo moderno) e i cui resti vennero ritrovati durante alcuni lavori di cantieramento del tunnel di oggi.
La rivoluzione industriale avanzava ormai assieme all’idea di progresso nelle opinioni pubbliche, e nelle visioni di imprenditori ambiziosi, tanto che nel 1876 venne sottoscritto un protocollo di intesa fra Londra e Parigi per riprendere l’idea.
E nel 1881 Sir Edward William Watkin, imprenditore e parlamentare inglese, assieme a Alexandre Lavalley, imprenditore impegnato nel Canale di Suez, fondarono ‘the Anglo – French submarine railway company’ prima società ‘joint venture’ per costruire una ferrovia veloce che collegasse
Parigi con Londra. Furono dei veri precursori dell’opera odierna: una avveniristica trivella modello Beaumont, antenata delle ‘talpe’ moderne, scavò un tunnel-pilota di 1.893 metri e largo circa 2,13 metri sul versante inglese, partendo da Shakespeare Cliff.
Mentre su quello francese una macchina identica e alcune centinaia di operai sfidarono i terreni più limacciosi e acquitrinosi scavando una galleria di 1.669 metri partendo da Sangatte. Ma nel 1882 una nuova campagna isolazionista della destra inglese mobilitò l’opinione pubblica contro il progetto del tunnel. A darle man forte vi fu anche la forte opposizione dei vertici delle reali forze armate, preoccupati che lo sbocco del tunnel sul territorio britannico avrebbe potuto compromettere la difesa del paese.
A onor del vero, ci fu anche chi propose di costruire un lungo viadotto ferroviario a cavallo della Manica: questa sarebbe stata una opzione più praticabile, perché avrebbe comportato l’uso di tecnologie più consolidate e avrebbe reso il collegamento più controllabile militarmente. In caso di una crisi o di una guerra fra Inghilterra e Francia, o un’altra nazione europea, il viadotto sarebbe stato facilmente bloccato o anche distrutto con l’artiglieria. Ma l’idea ebbe anche minor successo, se possibile, di quella di un tunnel….
Anche questa volta, nonostante i soldi spesi e la dimostrazione evidente di fattibilità, finì tutto in un nulla di fatto. Nelle pubbliche opinioni, ma soprattutto nelle classi dirigenti, dei due paesi doveva farsi ancora strada la consapevolezza di quanto velocemente i tempi stessero cambiando, sia per la politica che per l’economia.
Fu solamente durante la conferenza di pace di Versailles del 1919, dopo il bagno di sangue della prima guerra mondiale, che il primo ministro britannico David Lloyd George sostenne di nuovo la necessità del tunnel fra Francia e Inghilterra non solo come mezzo di integrazione economica e politica fra i due popoli che avevano combattuto alleati, ma anche come sistema strategico qualora in futuro si fossero trovati di nuovo ad affrontare la minaccia tedesca.
Ma a Versailles le preoccupazioni e gli interessi in gioco erano ben altri, per cui l’idea non venne presa sul serio dai rappresentanti francesi.
All’inizio della seconda guerra mondiale invece l’idea i vertici politico – militari inglesi considerarono più seriamente l’idea: nell’estate del 1940 l’Inghilterra si preparava a combattere la battaglia più importante per la propria sopravvivenza, fronteggiando le forze tedesche provenienti dalla Francia occupata. I tecnici britannici previdero che i tedeschi avrebbero potuto scavare una galleria fino in prossimità del territorio inglese in 18 mesi, obbligando al lavoro forzato di grandi masse di civili dei territori occupati. Una previsione non credibile in frangenti normali, ma che poteva sembrare realistica agli occhi di una nazione assediata su tutti i lati dalle forze di Hitler.
Nel 1955 l’Inghilterra stava faticosamente cercando di riprendersi dal disastro economico della guerra e faceva i conti con la fine del suo impero. Nel 1957 con il trattato di Roma la Comunità Economica Europea iniziava il suo cammino e nessun altro paese dell’Europa Occidentale poteva essere considerato ancora un potenziale nemico militare.
Nonostante certe resistenze, parte dell’identità anglosassone, anche l’opinione della società inglese stava cambiando orientamento, sentendo i tempi maturi per iniziare l’integrazione economica e (per certi versi) politica con gli altri paesi europei.
Si tornò allora a parlare il progetto del tunnel sottomarino, più fattibile sia dal punto di vista delle tecnologie e delle conoscenze ingegneristiche dei tempi, sia per i vantaggi politico – economici di cui la Gran Bretagna avrebbe goduto. Il trasporto elettrico su rotaia avrebbe eliminato uno dei grandi limiti nella progettazione dell’opera: i grandi sistemi di ventilazione, fino a quel momento necessari per evacuare i fumi e il calore generati dalle caldaie a carbone dei treni a vapore.
Lo sviluppo del trasporto aereo, che stava allora entrando nell’era del motore a reazione, non avrebbe potuto coprire tutta la richiesta di mobilità a basso costo, specialmente quella di merci.
Anche il cartello “Flexilink”, creato dalle società che gestivano i traghetti tra la costa belga – francese e quella inglese, non riuscì a esercitare una pressione unitaria sui governi. Buona parte di queste società in passato aveva goduto di aiuti fiscali o finanziari pubblici (l’inglese Sealink ad esempio era proprietà del Ministero dei Trasporti di Londra).
E sul versante francese questa volta vi furono orecchie altrettanto attente: nel 1964-65 un accordo di massima tra i governi francese e inglese fu concluso per dare il via agli ennesimi studi di fattibilità. Come ovvio, la posizione prevista del tunnel, tra il Pas de Calais in Francia e Dover in Inghilterra, risultava scelta obbligata, essendo il punto più vicino fra le due terre emerse. Venne realizzato un attento monitoraggio degli strati geologici del fondo marino lungo il tratto interessato dalle escavazioni e nel 1974 finalmente due pozzi di trivellazione incominciarono a realizzare gli ingressi del tunnel a Folkestone e a Coquelles.
Ma nel 1975, il nuovo governo laburista guidato da Harold Wilson gelò i soci francesi e il resto della Comunità Europea con l’annuncio del ritiro della Gran Bretagna dal progetto: una decisione che ci si sarebbe aspettati più da un governo conservatore.
In realtà la scelta del governo inglese era quasi obbligata, alle prese con i conti pubblici fuori controllo e una situazione economica senza precedenti, tanto che la Gran Bretagna, un tempo patria della rivoluzione industriale e capitalista moderna, appariva allora il grande malato d’Europa.
Il sistema di progettazione economica creato nel corso degli anni attraverso la concertazione fra le parti sociali, l’ampio intervento del capitale pubblico nelle industrie e nei servizi strategici avevano rappresentato un esempio di stato sociale moderno. Ma aveva anche portato a un eccessivo peso delle organizzazioni sindacali e professionali, all’immobilismo decisionale e a scarsi investimenti nell’innovazione e nelle infrastrutture.
Sotto pressione del suo elettorato che si aspettava la difesa dei servizi e del tenore di vita, il governo Wilson non poteva fare di meglio dei suoi predecessori: di fronte a costi del progetto lievitati del 200%, semplicemente annunciò il ritiro.
Prima dello stop agli stanziamenti, la macchina scavatrice inglese arrivò a realizzare un tratto iniziale di 300 metri.
La partita decisiva
Nel 1979 il panorama politico era ancora una volta cambiato: a guidare il governo inglese era di nuovo il Partito Conservatore e per la prima volta nella storia del Regno Unito il primo ministro era una donna, Margaret Thatcher. Lo schieramento Tory aveva vinto le elezioni con una ricetta per il ‘malato inglese’ basata su dosi da cavallo di privatizzazioni, deregolamentazioni e riforme economiche. Un cambio di rotta epocale, a cui gli altri governi europei, in buona parte sostenuti da maggioranze socialiste, guardavano con scettica attenzione e, talvolta, con malcelata sufficienza.
L’inesperienza della Thatcher e della sua squadra in campo internazionale aveva indotto i leaders europei a pensare che sarebbe stato possibile ammorbidire eventuali prese di posizione euroscettiche da parte inglese.
In realtà anche in questo campo la ‘Lady di Ferro’ riuscì a sorprendere tutti, sostenendo con tutta la determinazione e l’abilità politica di cui era capace che l’Inghilterra non era contraria a un’idea di integrazione europea in sé, come comunità di stati, ma si opponeva alla creazione di organi sovrastatali, di una burocrazia europea a cui cedere parti di sovranità nazionale, specie in materia economica e monetaria. Fu un brutto risveglio per gli altri leader europei.
La questione del collegamento sotto la Manica non fece eccezione: il governo di Londra riconosceva il valore del progetto del tunnel e si dichiarava disponibile a riprendere i lavori.
Ma a una condizione irrinunciabile: l’opera doveva essere finanziata completamente con fondi privati. Questo collideva con la filosofia francese sostenuta dal presidente François Mitterrand, che voleva l’impegno pubblico e mal tollerava di lasciare in mano privata un progetto strategico per gli interessi di Parigi.
Il braccio di ferro proseguì, sia in sede comunitaria europea, sia nei contatti diretti, così come nella vita politica interna dei due paesi fino al 1981, quando il primo ministro inglese e il presidente francese riuscirono a creare un gruppo di lavoro destinato a valutare progetti presentati da gruppi privati.
Nell’aprile 1985 la gara venne ufficialmente aperta. Per la fine dell’anno, quattro le proposte progettuali presentate più convincenti, ciascuna sostenuta da una cordata di investitori.
Eurobridge proponeva un ponte sopra la Manica di circa 4,5 chilometri, su cui sarebbe passata un’autostrada chiusa in un tunnel per essere protetta dalle intemperanze climatiche del Canale.
Il progetto Euroroute similmente prevedeva un’autostrada esterna di circa 21 chilometri che sarebbe passata su un sistema di ponti e isole artificiali. Channel Expressway prevedeva un vero e proprio tunnel autostradale subacqueo con grandi torri di ventilazione esterna.
Infine il gruppo anglo – francese ‘Channel Tunnel Group – France Manche, CTG – F-M’ riprendeva il vecchio schema del progetto intergovernativo del1974 -75 con due tunnel ferroviari sotto il fondale della Manica, uniti da un tunnel di servizio-assistenza. Dietro al gruppo, un polo di due banche d’affari inglesi e tre francesi, assieme a dieci imprese attive nel campo delle grandi opere pubbliche.
Fu infatti quest’ultimo a prevalere, in virtù di un impatto ambientale ben studiato e inferiore alla concorrenza, oltre che per la maggiore sicurezza rappresentata dal trasporto di persone e cose esclusivamente su rotaia. Una volta appurata la solidità del progetto e della copertura finanziaria, la proposta del gruppo ‘CTG – F-M’ fu dichiarata vincitrice e il 12 febbraio 1986, con una cerimonia ufficiale Margaret Thatcher e François Mitterrand sottoscrissero il Trattato di Canterbury nella omonima storica cattedrale inglese, con cui i due paesi si impegnavano a facilitare le imprese costruttrici per la realizzazione del tunnel e a monitorare che l’opera venisse realizzata secondo il progetto approvato. Le imprese del consorzio CTG – F-M si organizzarono nel TransManche Link per controllare e standardizzare i lavori tra loro.
Mai si era andati così vicini a un’opera su cui si dibatteva da almeno due secoli e che non aveva alcun precedente paragonabile al mondo: in Francia la ratifica del progetto in sede parlamentare e referendaria pubblica non ebbe particolari problemi (la votazione al Senato francese ottenne l’unanimità), sostenuta da un convinto appoggio dell’opinione pubblica. Entro il giugno 1987 i lavori al cantiere di Coquelles erano ripresi a pieno regime.
La Francia credeva nel successo del progetto Eurotunnel (dal nome della società che avrebbe successivamente gestito l’opera) perché per tradizione più abituata alle grandi opere pubbliche, ma anche perché aveva un motivo in più. Si stava realizzando in quegli anni il progetto TGV, Train Grand Vitesse, il treno ad alta velocità in grado di viaggiare a medie di oltre i 300 chilometri l’ora, il fiore all’occhiello dell’ingegneria francese negli anni a venire.
Il progetto era stato messo a punto dalla SNCF, Societé National Chemìn de Fer, la società che gestisce le linee ferroviarie francesi, assieme a industrie private e il primo convoglio era stato messo in servizio nel 1981. Nel piano di adeguamento delle strade ferrate francesi era presente d’obbligo anche la realizzazione del collegamento col futuro terminal francese del tunnel. Tra le grandi sfide in mano al consorzio costruttore e ai governi vi era anche quella dell’adeguamento delle linee e delle tecnologie ferroviarie, profondamente diverse fra loro.
Avere la linea ferroviaria pronta ed efficiente (la LGV Nord) già al momento dell’apertura del tunnel sarebbe stata una spinta notevole sui soci inglesi perché adottassero la tecnologia francese, almeno inizialmente per la tratta dal terminal di Folkestone a Londra. Ma sul versante inglese la cosa si fece più complicata….
La commissione parlamentare incaricata di preparare i lavori fece parecchie trasferte nel febbraio 1987 per sentire gli umori delle comunità locali del Kent, preoccupate che la creazione del tunnel incidesse sull’economia della regione, un dubbio che avevano espresso in parallelo anche le popolazioni della costa francese. Per lo più, l’opinione pubblica avrebbe voluto un collegamento diretto via gomma, o misto gomma – rotaia. Ma considerazioni sulla sicurezza e sull’impatto ambientale alla fine portarono la maggioranza del pubblico a accettare il progetto di un collegamento solo su strada ferrata.
A fine febbraio il Channel Tunnel Act, nella sua versione definitiva, venne portato in parlamento. Alla terza lettura alla Camera dei Comuni passò con 94 voti a favore e 22 contrari, ottenendo l’assenso da Sua Maestà britannica il 23 luglio successivo: anche in Inghilterra il progetto era approvato.
Il punto di non ritorno.
Per la prima volta, in due secoli di discussioni più o meno serie, fu chiara la sensazione che il progetto andasse finalmente in discesa. E questo nonostante le incognite e le difficoltà tecniche più grandi iniziassero ad essere affrontate solo in quel momento. Il gruppo di banche anglo-francesi al centro del progetto CGT – F-M iniziarono a erogare i finanziamenti alle imprese fondarono la società Eurotunnel, destinata a gestire l’opera su concessione governativa francese e inglese, inizialmente per un periodo di 55 anni, poi portato a 65.
Anche il finanziamento di un’opera così ambiziosa da parte di fondi privati non aveva precedenti.
Dopo i 45 milioni di Sterline impegnati dal consorzio CGT – F-M per sostenere il progetto, altri 206 milioni vennero versati dagli investitori istituzionali, seguiti dalla stratosferica cifra di altri 770 milioni di Sterline ottenuti attraverso una raccolta pubblica di fondi, ampiamente pubblicizzata dai media delle due nazioni. Nel 1985 i fondi ammontavano a 2 miliardi e 600 milioni di sterline.
Tutto il controllo dei lavori passò alla nuova società, che assorbì sia il consorzio iniziale CGT-F-M, sia il suo braccio operativo TML. Ma tutta l’attività, sia allora che ancora oggi nella gestione ordinaria, fu sottoposto a uno stretto controllo da parte di un organo di sicurezza, la Channel Tunnel Safety Authority (CTSA) composta da 5 membri di nomina governativa inglese e 5 di nomina francese, con la presidenza alternata annualmente fra le due nazionalità.
Primo atto ufficiale della neonata società di gestione fu di concludere con British Rail e Societé Nationale Chemin de Fer, l’accordo per l’adozione delle procedure operative e per l’uso delle infrastrutture, concludendo al contempo un accordo vantaggioso per l’utilizzo fino alla metà della capacità di traffico del tunnel.
Vennero progettati e realizzati convogli, chiamati Le Shuttle, con cui trasportare veicoli a motore e passeggeri con la modalità roll on – roll off, cioè i veicoli salgono e scendono direttamente dai carri ferroviari (i più grandi al mondo) ai terminal ed i passeggeri possono godersi la traversata anche usufruendo di un vagone con bar e ristorante. La versione ferroviaria dei traghetti che navigavano sulla Manica. Per garantire il rapido flusso del trasporto su gomma, vennero costruiti l’autostrada Lille – Fontinettes, che metteva in collegamento diretto il terminal francese con la periferia di Parigi, così come la South Eastern Main Line sul territorio inglese avrebbe garantito il collegamento diretto fino a Londra.
Per i collegamenti con i treni passeggeri, venne fondata la società Eurostar, che avrebbe gestito i treni ad alta velocità in servizio tra Londra, Parigi e Bruxelles : anche la capitale belga entrava nella rete infatti grazie alla partecipazione della SCNBF, la società pubblica di trasporto ferroviario.
Grazie anche al tunnel infatti, la tecnologia dei treni ad alta velocità si espandeva per diventare una realtà ed una priorità nelle politiche di trasporto a livello europeo.
Per i francesi anche se British Rail non acquistarono direttamente i treni francesi, per lo meno vi fu la soddisfazione che i mezzi prodotti in Inghilterra per il consorzio Eurostar in ogni caso vennero progettati seguendo la tecnologia TGV, eccetto gli aggiornamenti in sistemi di sicurezza per poter operare nel tunnel.
Però l’ammodernamento del tratto ferroviario fino alla stazione di St. Pancras a Londra dovette attendere il Channel Tunnel Rail Link Act ed il seguente programma High Speed 1. Fino a quel momento i treni in transito da e verso Folkestone erano autorizzati a viaggiare a una velocità massima di 160 chilometri l’ora. Solo il 6 novembre 2007 la regina Elisabetta inaugurò il nuovo tratto completamente ad alta velocità.
Nel 1994, con un lavoro durato otto anni, l’opera era pronta per l’apertura, incredibilmente con un solo anno di ritardo sulla tabella di marcia. I costi tuttavia erano lievitati a ben 4 miliardi e 650 milioni di sterline, l’equivalente di oltre 14 milioni di Euro attuali, un aumento dell’80% rispetto a quanto previsto dagli analisti. Sommando anche i costi gestionali e finanziari, il tunnel aveva superato del 140% i calcoli degli analisti. Una situazione più che preoccupante per gli investitori.
Per lo più tale vertiginoso aumento fu da imputare a migliorie alle strutture di sicurezza e dalle esigenze di limitare l’impatto ambientale intervenute durante la costruzione.
Durante il periodo più impegnativo erano stati impegnati nella costruzione più di 15.000 persone, con un costo complessivo stimato in 3 milioni di Sterline al giorno.
Le stime sul traffico passeggeri però prevedevano un flusso di almeno 15 milioni di passeggeri nel primo anno di operatività, il che permise a Eurotunnel di mantenere un atteggiamento ottimistico sulla capacità di rientrare sull’eccesso di debito accumulato. Le azioni della società Eurotunnel al momento della quotazione in borsa erano valutate a circa 3,5 Sterline per azione, con un aumento fino a 11 Sterline per azione nel 1989, valore mantenuto circa fino all’inaugurazione del servizio.
Ma le cifre si rivelarono lontane dalle attese: nel 1995, primo anno completo di operatività del tunnel, si sono registrati 7,3 milioni di passeggeri, contro i 15,1 previsti. Nello stesso anno, Eurotunnel annunciò una sospensione momentanea nel pagamento dei debiti, per evitare rischi di dissesto ulteriore del bilancio e bancarotta della società. Negli ambienti finanziari e politici questo fece crescere i dubbi sul futuro dell’opera. Nel dicembre 1997 i governi inglese e francese concordarono un allungamento della concessione a eurotunnel di ulteriori 34 anni, fino al 2086, quale forma di aiuto indiretto alle casse della società e alla sua immagine.
Nel 1998 furono 18,4 milioni le persone che scelsero di usare il tunnel. Successivamente il totale annuo degli utilizzatori scese, fino al minimo di 16,1 milioni di persone nel 2008, cifra confermata anche nel 2009.
Il numero è tornato finalmente a salire dal 2010, fino a un picco nel 2013 di 20,4 milioni, miglior risultato dall’apertura del tunnel, ma non ancora sufficienti all’obbiettivo che il tunnel diventi un’impresa realmente remunerativa.
Anche l’evoluzione della normativa comunitaria sulla concorrenza necessariamente ha avuto riflessi sulle regole adottate da Francia e Inghilterra (a cui si è aggiunto il Belgio in seguito) circa l’attività commerciale di Eurotunnel: molte sono state le interrogazioni parlamentari che hanno messo in forse affidamenti diretti alla stessa società della gestione di un’opera di valore pubblico strategico a livello europeo, specialmente alla luce delle difficoltà gestionali e finanziarie in cui Eurotunnel si trovava. Perché non tentare di trovare nuove formule gestionali oppure, semplicemente, rivedere la durata della concessione e permettere un ricambio al controllo dell’opera?
Gli analisti, più nell’immediato, per recuperare credibilità verso i creditori e il pubblico hanno raccomandato un aumento delle tariffe: il che, d’altro canto, potrebbe avere un effetto depressivo sul volume di affari in momenti di crisi economica attuali.
Oppure un aumento drastico del volume di traffico, commerciale e passeggeri, quindi della operatività del tunnel. Ma su questo versante ci si scontra con le regole strettissime sulla sicurezza.
Due incendi occorsi il 18 novembre 1996 e l’11 settembre 2008, assieme ad alcuni incidenti minori, hanno sempre messo l’attenzione sulla pericolosità di movimentare materiali potenzialmente infiammabili in un tunnel chiuso. Nell’incidente del 1996 più di 500 metri del tunnel vennero danneggiati e ci vollero oltre 6 mesi di lavoro per riaprirlo. In quello del 2008 il tratto danneggiato dalle alte temperature (stimate oltre i 1000 gradi) fu di 650 metri, ma il tunnel, nonostante la progettazione e i costosi sistemi antincendio, poté riaprire pienamente al traffico il 9 febbraio 2009, peraltro con una spesa per la riparazione di oltre 60 milioni di Sterline.
Il 12 dicembre del 2009 la nevicata anomala che colpì l’Inghilterra causò un blocco nella rete elettrica. La neve portata dai treni nel tunnel si sciolse per l’aria più calda nel traforo e mandò in corto alcuni sistemi: 5 treni Eurostar con quasi 2000 persone a bordo si trovarono per 16 bloccati nel tunnel, senza riscaldamento, fino a che raggiunti dalle locomotive Diesel da manovra furono tratti in salvo.
Certo gli incidenti furono molto limitati nelle conseguenze, solo alcune persone furono ferite o intossicate negli incendi, ma anche se non sembrano avere inciso particolarmente sul volume di traffico in persone e tonnellaggio di merci, certamente non hanno migliorato la situazione deficitaria per la società di gestione.
Sicuramente il tunnel sotto la Manica è una realizzazione dai contenuti tecnologici senza precedenti (nel 1994 fu votato dall’American Society of Mechanical Engineers una delle sette moderne meraviglie del mondo). E’ anche un fenomeno storico, in quanto ha interrotto la più che millenaria separazione delle isole britanniche dal continente. Ha influenzato il costume, perché ha indotto gli inglesi a fare i conti con il senso di isolamento e distacco tradizionali nei confronti degli altri Paesi europei.
Di sicuro ormai il tunnel è parte di fatto delle grandi vie di comunicazione europee, i progetti di sviluppo futuro del continente europeo non potranno fare a meno di considerarlo come un pezzo irrinunciabile dei programmi mobilità e integrazione. Realizzare il tunnel è stata una sfida grandiosa: come riuscire a gestirlo, ripensarlo e valorizzarlo in futuro, è già la prossima.
di Davide Migliore
Linkgrafia e Bibliografia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Tunnel_della_Manica
Pagina Wikipedia dedicata al tunnel sottomarino scavato fra Inghilterra e Francia.
http://en.wikipedia.org/wiki/Channel_Tunnel
Pagina Wikipedia in inglese dedicata al tunnel sottomarino scavato fra Inghilterra e Francia.
http://www.eurotunnel.com/uk/home/
Sito ufficiale della società che gestisce il collegamento sotto la Manica.
http://en.wikipedia.org/wiki/Tunnel_boring_machine
Pagina esplicativa di wikipedia inglese sulle grandi macchine scavatrici di tunnel, le cosiddette “talpe”.
http://www.treccani.it/enciclopedia/tunnel_(Enciclopedia_Italiana)/
La pagina della enciclopedia Treccani Online dedicata ai tunnel ed in particolare all’impresa dell’Eurotunnel.
http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1987/53/contents
http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1987/53/pdfs/ukpga_19870053_en.pdf
Channel Tunnel Act, 1987, The National Archives, UK Legislation Board.
http://iltunneldellamanica.wordpress.com/
Andrea Castiglione, “il Tunnel della Manica – due secoli di storia”, 2011, ISBN 978-1-4477-1674-7 (libro disponibile in acquisto su Amazon).
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/01/23/anche-col-tunnel-sotto-la-manica.html
“anche col tunnel sotto la manica, l’animo inglese resta insulare”, Edgardo Bartioli, 23 gennaio 1986, archivi online de “La Repubblica”.
“Dopo 200 anni di tira e molla via al tunnel sotto la Manica”, di Franco Fabiani, 30 luglio 1987, archivi online de “La Repubblica”.
http://history1900s.about.com/od/1990s/p/Channel-Tunnel.htm
“the Channel tunnel”, by Jennifer Rosemberg, About.com , 20th Century History.
http://en.wikipedia.org/wiki/Aim%C3%A9_Thom%C3%A9_de_Gamond
Pagina dedicata da Wikipedia Aimé Thomé de Gamond, geologo francese e fervente sostenitore dell’idea del Tunnel.
http://www.engineering-timelines.com/scripts/engineeringItem.asp?id=1345
Riferimento all’esperienza maturate dall’ingegnere Peter William Barlow nella costruzione di passaggi sotterranei e tunnel e la sua idea per la congiunzione dei lati della manica.
http://books.google.it/books?id=AnU5bZT7gRMC&pg=PA39&lpg=PA39&dq=1882+political+opposition+against+channel+tunnel&source=bl&ots=m2UATRGub-&sig=KMLyabwXLn-UIOCowkd-LXQMTK0&hl=it&sa=X&ei=J1AnU8GWKKW_ygODlYH4BA&ved=0CDcQ6AEwBA
“Channel Tunnel visions, 1850 – 1945” Keith Wilson, 1994, edited by Bloomsbury Academic Publishing.
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/1468-229X.12046/full
“Opposition to the Channel Tunnel, 1882–1975: Identity, Island Status and Security – History Vol. n. 99” by Duncan Redford, edited by Historical Association and John Wiley & Sons Ltd 2014.
http://www.theotherside.co.uk/tm-heritage/background/tunnel.htm
Channel Tunnel: the other side story.
http://andrewadonis.com/2009/01/30/lessons-of-high-speed-one/
Andrew Adonis, “lessons of high speed one: speech for the Chancellor’s Lecture at the University of Kent at Canterbury”, 2011. Considerazioni sullo sviluppo delle ferrovie ad alta velocità in Inghilterra e altri paesi, riflessi della costruzione del tunnel sotto la Manica e adeguamento delle linee ferrate inglesi ai collegamenti alta velocità.
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+E-2009-0558+0+DOC+XML+V0//IT
Atti del parlamento Europeo, interrogazioni parlamentari sulla gestione di Eurotunnel e orientamenti comunitari in materia di Leggi sulla libera concorrenza.