Nei periodi di crisi, come sicuramente è quello in cui stiamo vivendo ormai da cinque anni, si sentono spesso inviti ad acquistare prodotti italiani per sostenere il mercato interno e non disperdere ricchezza verso l’estero.
Prendiamo come esempio un cittadino medio italiano che, dopo l’ennesimo invito all’acquisto di prodotti non Made in Italy, decide il giorno seguente di iniziare ad acquistare e consumare solo prodotti italiani, convinto così di fare il bene del nostro Paese.
Si sveglia di buon ora e, dopo aver consumato una colazione a base di latte Parmalat e panettone Motta avanzato dai pantagruelici pranzi di Natale, esce di casa.
Mentre il tram sferraglia per la strada, il nostro italiano qualsiasi si guarda intorno e alcune cose in particolare lo colpiscono piacevolmente.
Proprio mentre nota alcuni negozi di Fendi, Gucci e Bulgari con i primi acquirenti mattutini che approfittano dei saldi invernali, una Ducati fiammante supera di slancio il suo tram, seguita a poca distanza da una Lamborghini.
Sorride. Forse, pensa, non tutto è perduto. Ci sono prodotti che solo noi italiani possiamo fare con così tanta bellezza e classe e che tutto il mondo ci invidia ancora.
E’ solo questione di tempo e gli italiani usciranno dalla crisi, più forti e più industriosi di prima!
Rinfrancato da questi pensieri, il nostro italiano impiega la mattinata lavorativa in modo determinato e produttivo. In pausa pranzo si reca dal macellaio e si fa preparare un panino con prosciutto crudo San Daniele di Parma e formaggio Galbanino, il suo preferito.
Il pomeriggio trascorre tranquillo e alla sera il nostro protagonista raggiunge gli amici allo stadio per seguire la sua squadra del cuore, l’Inter, non prima però di aver mangiato un panino accompagnato con una birra Peroni.
Finita la partita, torna a casa e grazie alla sua rete internet Fastweb controlla gli altri risultati di campionato, dopodiché si corica a letto, esausto, ma contento di aver contribuito, seppur nel suo piccolo, alla ripresa dell’economia italiana.
La realtà, però, è proprio opposta a quella che crede il nostro, ignaro, italiano medio.
La ricchezza italiana, faticosamente accumulata nel Paese, diverrà infatti una voce di entrata, nei bilanci consolidati delle grandi multinazionali, situate in giro per il mondo, tranne che in Italia.
Ma questo, il nostro italiano medio non lo sa.
Le società sopra citate, infatti, fanno parte di quelle 437 aziende italiane che, negli ultimi cinque anni, sono state acquisite da società estere, per un esborso complessivo di circa 55 miliardi “a favore” del nostro Paese, di cui però beneficeranno solo gli imprenditori che hanno venduto le loro società. Le riduzioni di posti di lavoro e perdita di competitività del sistema Italia saranno così inevitabili.
Per quanto riguarda le macro aree che hanno subito le maggiori acquisizioni straniere, il settore alimentare vale il 18% del totale, con vendite per circa 10 miliardi di euro, seguito da quelli dell’abbigliamento, dell’automazione e dell’arredamento.
Spesso le società italiane vengono vendute a un valore inferiore a quello di mercato, a causa della crisi economica e delle difficoltà nel trovare acquirenti con capienza economica sufficiente.
Più spesso queste società sono grandi compagnie extraeuropee che usufruiscono di aiuti statali, oppure grandi multinazionali che, anche se a volte poco conosciute, in realtà controllano nel loro “portafogli prodotto” molte marche famosissime e di uso quotidiano.
L’immagine seguente mostra come moltissime marche siano ormai in realtà di proprietà di un numero ristretto di multinazionali.
Tra i motivi che hanno spinto alla vendita così tante società italiane, da parte di compagnie straniere, ve ne sono di esogeni, cioè esterni, ed endogeni, ossia interni.
Tra i fattori esogeni vi è la tendenza alla concentrazione in poche grandi aziende interessate a numerosi brand, dei quali poter sfruttare la buona reputazione e l’immagine positiva legata al loro (presunto) paese di origine, in questo caso l’Italia, famosa per la sua qualità che ha imposto ormai da tempo con l’etichetta di “Made in Italy”.
La crisi economica, inoltre, ha colpito molto duramente i bilanci e anche le vendite delle società mondali, ma in particolare di quelle europee; ciò ha contribuito a renderle più appetibili agli investitori stranieri.
Fino ad ora abbiamo ricordato due motivazioni tra quelle che hanno favorito le acquisizioni di grandi compagnie, ma non che cosa avvantaggia le compagnie straniere nella grande guerra della competitività mondiale.
Il fattore forse più determinante in queste acquisizioni è il ridotto dimensionamento delle compagnie italiane, le famose piccole e medie imprese sulle quali si basa il nostro tessuto produttivo.
Imprese di piccole dimensioni sono molto indicate per sfruttare piccole nicchie di mercato o per puntare sull’eccezionale qualità dei prodotti offerti, ma nell’economia moderna, sono spesso le più svantaggiate.
La globalizzazione e la conseguente delocalizzazione delle attività produttive da parte delle grandi società nella parte orientale del mondo ha permesso loro, che potevano permettersi questi investimenti, forti ritorni in termini di manodopera a basso costo.
Nell’economia attuale, la qualità intrinseca del prodotto è ben poca cosa rispetto alla qualità percepita dal consumatore, facilmente creabile dalle multinazionali a suon di investimenti pubblicitari e campagne di marketing globali.
Un effetto collegato al ridotto dimensionamento è la difficoltà nel raccogliere finanziamenti da banche o altri investitoti che, in questa crisi economica, sono sempre meno inclini a puntare su investimenti che presentino un ritorno economico incerto.
Le imprese italiane, da sempre sono state, per lo più, imprese familiari che in parte, a partire dal dopoguerra, si sono diversamente sviluppate, fino a costituire veri e propri colossi industriali, ma senza perdere mai il forte tessuto originario delle piccole e medie imprese. Dato, questo, confermato dalle indagini Istat, del 2009, secondo il quale, il 95% delle imprese italiane, aveva meno di 10 addetti e due terzi del totale erano ditte individuali!
Come sempre succede, per quante evidenze empiriche si possano addurre, esistono anche alcune società italiane che acquisiscono imprese estere.
E’ il caso di Barilla con Harry’s, di Luxottica con la marca RayBan e di Fiat che ha recentemente acquisito il 100% delle quote azionarie di Chrysler.
Pochi esempi, però, sono solo la ben nota “eccezione che conferma la regola”, come si può vedere dalla lunga, ma ahimè (ahi noi), molto lacunosa lista seguente:
di Federico Zanoli
gennaio 22nd, 2014 at 22:12
Mentre ti leggevo mi si attenagliava sempre più lo stomaco… e un orgoglio novello di italianità montava… povera Italia chi l’aiuterà?