Avete letto bene, anche lo spazio ha bisogno dei suoi spazzini. ‘Ma come?’, penserete voi, ‘lo spazio è infinito e in continua espansione, come può risentire anch’esso del problema rifiuti?’ Le vostre perplessità sono ragionevolissime, ma bisogna fare i conti con quelli che sono gli attuali limiti dellla scienza.
Oggi tutta la ricerca e le operazioni spaziali vengono effettuate in una ridottissima regione dello spazio, più precisamente nelle orbite LEO (Low Earth Orbit) e GEO (geostazionarie). Si generano di conseguenza quantita smisurate di detriti che possono mettere seriamente a repentaglio i sistemi di comunicazione, di geolocalizzazione, di navigazione e anche le semplici previsioni meteo.
Ma vediamo più nel dettaglio il problema.
In meno di un secolo di attività spaziale, sono stati effettuati 4800 lanci e messi in orbita 6000 satelliti, di cui solo poche centinaia sono ancora oparativi. Attualmente più di 12000 oggetti orbitanti vengono regolarmente tracciati dalla US Space Surveillance Network (rete di sorveglianza spaziale degli Stati Uniti), che a sua volta li cataloga a seconda delle dimensioni, comprese tra i 5 e i 10cm in LEO e tra i 30cm e 1m in GEO.
Il 58% di questi elementi sono frammenti di satelliti ormai in disuso, originariamente utilizzati per operazioni in orbite superiori, o di oggetti relativi a missioni spaziali, quali adattatori di lancio, coperture di lenti, etc., registrati dal 1961.
La causa delle collisioni e di conseguenza dell’origine dei frammenti è l’esplosione dei veicoli spaziali a seguito di residui di carburante, usura di materiali e aumento della pressione nelle batterie (solo in rarissimi casi le collisioni sono accidentali o intenzionali).
Vi starete domandando se dei semplici frammenti possano fare tutti questi danni. Ebbene sarete sorpresi nello scoprire che sono stati riconosciuti tra le maggiori cause di fallimento di una missione spaziale: un oggetto piccolo un centimetro che si imbatte in un satellite può liberare un’energia pari a quella di una granata! Capite quindi quanto sia necessario ‘fare pulizia’.
Non si tratta di interrompere le future missioni spaziali, anche se fermassimo tutto, le collisioni non cesserebbero e si avrebbe un inevitabile aumento di ‘rifiuti’ e il conseguente incremento della densità di detriti, già critica nelle LEO. Occorre quindi rimuovere quegli oggetti e controllare attivamente le collissioni.
Possibili Soluzioni
Per risolvere il problema, gli scienziati di tutto il mondo hanno risposto con soluzioni diverse.
La DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency, agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare) ha intenzione di rinnovare e riciclare, attraverso dei robot, i satelliti inutilizzati fluttuanti nello spazio. Nel dettaglio, i nanosatelliti, soprannominati ‘satlet’, verrebbero lanciati in orbita attraverso un PODS (Payload Orbital Delivery System), a sua volta trasportato da un satellite commerciale, che una volta in orbita si unirebbere a un altro sistema per il recupero di veicoli spaziali, il ‘tender’. Insieme rimuoverebbero l’antenna del satellite inutilizzato e vi installerebbero all’interno i satlet, creando così una nuova rete di comunicazione.
DARPA ha programmato la prima missione per il 2015, con l’obbiettivo di ‘resuscitare’ 140 satelliti in disuso.
La Svizzara, invece, ha ideato un satellite, il CleanSpaceOne, il cui unico scopo è quello di ‘rimorchiare’ i detriti e riportarli all’interno dell’atmosfera terrestre, dove bruceranno assieme al satellite stesso. Non si tratta certo di effettuare un recupero unico di tutti i ‘rifiuti spaziali’. Il progetto consiste nella costruzione di parecchi satelliti CleanSpaceOne che verranno lanciati lanciati uno dopo l’altro. Come prima missione, prevista sempre per il 2015, la Svizzera ha scelto di recuperare il suo primo satellite, lo storico Swisscube.
Nel 2011, l’Agenzia Giapponese per l’Esplorazione dello Spazio ha dichiarato di voler realizzare, con l’aiuto di Nitto Seimo, una rete gigantesca che raccoglierà tutta la spazzatura spaziale e la rimuoverà dall’orbita terrestre. Il piano consiste nel trasportare nello spazio una sottile rete metallica e lasciare che nell’arco di qualche settimana questa raccolga la maggior parte dei detriti. Terminato questo lasso di tempo, all’interno della rete verrà immessa una carica elettrica, che la ridirigerà verso la Terra, dove giunta nell’atmosfera, brucierà insieme a tutto il suo contenuto.
L’Agenzia Spaziale Europea affronta il problema lanciando l’ATV (Automated Transfer Vehicles), navi da carico senza pilota, dotate di sensori ottici in grado di rilevare spazzatura orbitante, raccoglierla, e riportarla sulla Terra.
La NASA, infine, attraverso l’impiego di un Laser, vorrebbe allontanare la spazzatura piuttosto che distruggerla. Poichè un detrito nello spazio si muove incredibilmente veloce, sarebbe estremamente pericoloso sottoporlo direttamente a un laser ad alta potenza perché potrebbe esplodere, generando innumerevoli frammenti. La NASA ha quindi pensato di montare un laser su uno dei poli della Terra, dove l’atmosfera è più sottile, e inviare degli impulsi che ‘gentilmente’ allontanino i rifiuti.
Gli Italiani
La società italiana che si è posta l’obbiettivo di ‘ripulire’ lo spazio si chiama D-Orbit, fondata da Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale con master in sostenibilità strategica. Quest’ultima ha infatti brevettato un dispositivo propulsivo, realizzato nei laboratori tedeschi della Bayern Chemie, che si installa direttamente sui satelliti, e li dirige verso l’atmosfera grazie alla quale sia il dispositivo che il satellite esploderanno distruggendosi senza detriti.
Il dispositivo occupa solo il 5% della superficie del satellite ed è in grado di farlo rientrare, o di spostarlo su di un orbita cimitero, in poche ore. Al momento si stanno progettando tre classi di dispositivi per tutti i satelliti dai 50 chilogrammi in su; per il futuro se ne prevede una quarta per i satelliti più piccoli.
Nel team di D-Orbit ci sono Renato Panesi, otto anni di esperienza in ricerca e sviluppo per Finmeccanica, Thomas Panozzo, program director in Arianespace, e Giuseppe Tussiwand, dieci anni di esperienza come progettista di motori per i razzi.
Il dispositivo verrà lanciato sul mercato a un costo di circa un milione e mezzo di dollari, «una cifra molto competitva se si considera che oggi per spegnere un satellite si anticipa il suo fine vita facendo perdere diversi milioni di euro di trasmissioni dati» spiega in un’intervista Luca Rossettini.
Le proposte sono quindi diverse. Ora occorre solo decidere quale adottare per rendere la nostra parte di spazio più pulita e sicura.
Nessuno vuole aspettare che una massa impenetrabile di detriti avvolga del tutto il nostro mondo, impedendoci di scoprire l’universo che ci circonda. Altrimenti, che senso avrebbero gli sforzi e i passi da gigante fatti in tutti questi anni nella ricerca spaziale? Ha senso abbandonare la ricerca di nuovi mondi abitabili e di popoli diversi dal nostro, solo per i nostri rifiuti?
di Sara Pavesi
Linkografia:
http://mentalfloss.com/article/48606/5-bold-proposals-cleaning-space-junk
http://www.swas.polito.it/services/Rassegna_Stampa/dett.asp?id=4028-151136964
http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Engineering/Clean_Space/What_is_Clean_Space
http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Engineering/Clean_Space/Space_debris_mitigation