Israele 2010– parte 1
La possibilità di un viaggio in Israele: una terra dove la storia, quella con la S maiuscola è da sempre di casa, a cui le tre principali religioni monoteiste del mondo attuale guardano come il luogo più santo.
Eppure, appunto, non è così scontato prendere un aereo, arrivare e visitare una terra in cui affondano le radici della civiltà occidentale.
Israele è indubbiamente uno stato moderno, tra i paesi mediorientali il più vicino a standard di cultura e sviluppo occidentali, pur essendo senza dubbio profondamente orientale. In più di 60 anni di vita, 4 guerre devastanti (sin dalla sua fondazione nel 1948, dopo l’olocausto avvenuto nella seconda guerra mondiale verso il popolo di fede ebraica) e un numero infinito di scontri con i paesi arabi vicini, è di fatto lo stato forse più assediato al mondo.
La terra della pace e della fratellanza, è talvolta ancora adesso simbolo di quanto ci sia di più diverso. Ma in realtà nel mio caso ad avermi fatto desiderare da molto tempo una visita in quelle terre è la necessità di vedere, vivere e “sentire” di persona una terra unica. Indipendentemente dall’afflato spirituale generato dall’appartenenza al mondo culturale cristiano ed il richiamo per i luoghi della vicenda terrena di Gesù di Nazareth, mi sono sempre riproposto di affrontare la visita a un paese così affascinante con un approccio il più possibile aperto e diciamo così, imparziale. Credo sia stata la scelta giusta per non perdere molto di quella bellezza e di quella complessità che Israele sa offrire a chi lo visita. Ho colto l’occasione di uno di quei momenti di “tregua” che si succedono nella martoriata storia della regione e del viaggio organizzato da un’associazione culturale che da anni porta appassionati di viaggi in giro per gli angoli più remoti del mondo.
Tel Aviv
L’arrivo all’aeroporto internazionale di Tel Aviv la sera del 24 ottobre segna già un impatto. Sarà che provenendo dal grigio, freddo e uggioso autunno continentale europeo, il caldo e gli odori di un tramonto più vicino ad una nostra tarda estate, stordiscono con un effetto esotico, anche se mettono a dura prova il fisico. Siamo stati fortunati, il clima nel passaggio con l’inverno può essere molto più rigido di quanto si possa pensare…
Fuori dall’aeroporto ci aspetta Vittorio, guida turistica di origini liguri che ha fatto la scelta radicale di trasferirsi in Israele. Una volta recuperati i bagagli e preso posto nel pullman, abbiamo la prima sorpresa. Sulla strada per raggiungere l’albergo, ci fermiamo per visitare la città di Jaffa, il cuore portuale antico della attuale Tel Aviv moderna. Dopo 3 ore circa di volo e mentre si cerca disperatamente di recuperare lo shock climatico potrebbe sembrare azzardato… invece è piacevole camminare nella brezza della sera, tra boulevard pieni di negozi e minimarket multietnici che ti vendono qualsiasi cosa. Qui il melting pot tra le anime semita e camita delle popolazioni sembra riuscito, vista la naturalità con cui convivono persone e attività. Ma Jaffa ha una lunga storia di convivenza tra gruppi etnici diversi, che affonda le sue radici nell’importanza del suo porto sul Mediterraneo, nel passato medievale prima e dell’impero ottomano poi, fino all’amministrazione inglese prima dell’indipendenza. Quindi è luogo dove si vive un’atmosfera un po’ diversa per tradizione storica.
La città medievale coi suoi vicoli stretti domina il porto moderno dalle mille luci nella notte. Dall’altura di un parco la vista è veramente incantevole. E’ diventato da alcuni decenni luogo in cui artisti e artigiani hanno trovato la loro ispirazione, occupando un’intera via. Talvolta “turistica”, talvolta più genuina, si deve però a loro il recupero di una parte di città stupenda e da tempo in decadenza.
Stupenda l’opera di un artista israeliano, l’arancia sospesa: si tratta di un albero di arance, contenuto in un vaso di terracotta che ricorda vagamente un’arancia un po’ allungata, tenuto sospeso da tre cavi di acciaio in una piccola piazzetta tra le case di tufo. Ricorda il prodotto più famoso delle colline attorno alla città, gli agrumi divenuti famosi in tutto il mondo. Peccato non potersi fermare più a lungo per provare le famose ciambelle di Jaffa, fatte di pan di Spagna con cioccolato e arance candite… la fame incomincia a farsi sentire.
Raggiunto l’hotel, dopocena ci concediamo una passeggiata sul lungomare di Tel Aviv, un susseguirsi di locali e negozi ritrovo della “movida” giovane ma anche luogo dove fare jogging e attività all’aria aperta fino a tarda ora. Sul mare il rumore e le luci di elicotteri militari che passano di frequente, però ricordano che non c’è mai un vero momento di spensieratezza, c’è sempre chi vigila sull’apparente normalità….
Cesarea di Palestina
La mattina di buon’ora tutti pronti, Vittorio ci ha già organizzati bene (si vede che è riservista nell’esercito israeliano…), si parte verso nord per la prima vera giornata piena di viaggio. Prima tappa è l’antica città di Cesarea Marittima o Cesarea di Palestina. Città romana, fu però costruita per ordine del re israelita Erode il Grande tra il 22 e il 10 avanti Cristo ed in seguito divenne sede politica dei governatori mandati da Roma. Porto tra i più grandi dell’intero Mediterraneo, fu città di lusso, una delle prime “stazioni balneari” di cui sia abbia notizia, dotata di un doppio acquedotto che portava le abbondanti risorse idriche del monte Carmelo.
Fu sede dei governatori di Roma (il quinto fu Ponzio Pilato, durante il governo dell’imperatore Tiberio) e prima capitale imperiale della Giudea.
Fu anche testimone di sanguinose repressioni verso le frange più intransigenti del popolo ebraico, fino a raggiungere veri e propri eccidi, a testimonianza del difficile rapporto fra culture profondamente diverse (i romani erano politeisti, gli ebrei monoteisti, questo già rendeva difficile la comprensione reciproca). I romani non vennero meno mai al proprio ruolo di padroni, le popolazioni locali, specie quelle di fede ebraica, mai digerirono il dominio straniero sulla “terra promessa”, fino ad arrivare al dramma della diaspora, l’ennesimo allontanamento degli ebrei dalla Palestina.
Oggi resta un grande parco archeologico, con l’anfiteatro rimasto tra i più integri ancora oggi esistenti. Molto però è stato disperso dall’attività incessante del mare e dai frequenti terremoti susseguitisi nei secoli. Dall’altro capo della baia si intravede la città costruita dai Crociati, proprio utilizzando gli abbondanti materiali edili lasciati dalla città romana, così come gli strati inferiori del terreno, di solida roccia vulcanica. Fino al 637 fui città bizantina, poi la conquista araba.
Nel 1251 la città venne fortificata, ma nulla poté contro la riconquista definitiva, questa volta a opera dei sultani Mamelucchi. Nel corso del 1800 profughi musulmani provenienti della Bosnia vi eressero una moschea, ancora oggi esistente, abitandovi assieme a gruppi di pescatori. La città venne definitivamente abbandonata durante la prima guerra arabo-israeliana del 1948. Da allora è oggetto di continue campagne archeologiche e di restauro che la stanno restituendo agli occhi del mondo in tutta la sua magnificenza.
Haifa
Mentre ci spostiamo verso la prossima meta, lungo l’ampia superstrada che costeggia il profilo del monte Carmelo un susseguirsi di serre e coltivazioni ordinate ricordano come gli israeliani di oggi abbiano fortemente creduto nelle risorse di una terra all’apparenza poco generosa anche qui, vicino alla costa, per non parlare dell’interno dove è il deserto il vero padrone. Arriviamo alla moderna Haifa, dove ci concediamo una sosta sulle alture che la dominano.
Nel 1099 i Crociati alla conquista della città annientarono l’intera popolazione, sia ebraica che musulmana. Uno degli eventi terribili che hanno generato nel mondo musulmano il ricordo di Crociate ben diverse dai valori evangelici a cui i cavalieri avrebbero dovuto ispirarsi. Nella tersa giornata di sole, al termine della baia si stagliano le bianche colline, che segnano il confine col Libano. Si vedono bene anche le losanghe degli ostacoli anti carro armato, altro segno che ci riporta all’altrettanto cruda realtà dei giorni nostri. Haifa è conosciuta perché sulle sue alture si rifugiarono alcuni eremiti religiosi seguaci del profeta Elia, che nelle grotte naturali fondarono l’ordine monastico dei Carmelitani, diffusosi poi in Europa e nel resto del mondo.
Akko
Di seguitosi arriva abbastanza velocemente Akko, l’antica San Giovanni D’Acri ed attuale Acco, dichiarata dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità. Buona parte della popolazione arabo-israeliana abita ancora edifici e strade che si sono incredibilmente conservate nel tempo. Il suo suk, il mercato tipico arabo semicoperto, è ancora un mercato vero, non un’assieme di venditori di souvenir, come in altre località. La città posta sulla cima di un promontorio forse deve il suo nome proprio al termine greco aké, che significa punta, ma se ne trovano tracce già in alcuni passi della Bibbia.
Durante l’età delle crociate divenne capitale della Galilea e luogo di grandi scambi commerciali. I cavalieri di San Giovanni vi sbarcarono dopo la caduta di Gerusalemme e vi fondarono una chiesa, da cui la città cambiò nome in San Govanni D’Acri.
Sulla sommità è visitabile la grande moschea di Al Jazzar, dalla grande cupola di smeraldi. Costruita alla fine del 1700 da un governatore Turco, Jazzar Pascià, in realtà venne costruita su una precedente moschea risalente alla riconquista da parte mamelucca del 1291.
Il sultano mamelucco Al Malik Al Ashraf Khalīl fece radere al suolo tutte le strutture e la fortificazione portuale, come segno chiaro per i Crociati che la presenza del potere occidentale in Terrasanta era finita per sempre. Di fronte, la cittadella costruita dagli Ottomani con funzione di guarnigione e prigione, dove tra gli anni 20 e 40 dello scorso secolo vennero detenuti e anche giustiziati appartenenti alle organizzazioni combattenti ebraiche, in lotta con l’amministrazione britannica per la fondazione di uno stato a maggioranza ebraica ed il ritorno dei figli d’Israele alla terra promessa. Ma il vero gioiello è la città templare che si estende al di sotto di queste costruzioni e della città araba odierna. Nel 1229 Acco era da tempo approdo dei pellegrini che venivano dall’Europa per visitare i luoghi di Gesù a Gerusalemme.
Gli Ospitalari, cavalieri e religiosi, costruirono con le offerte di nobili e mercanti una città sotterranea stupefacente, in cui operare la propria missione di cura dei malati e di accoglienza dei viandanti. Il tentativo di evasione di un prigioniero durante il governo inglese consentì di scoprire questa città nella città dimenticata nel tempo, il cui scavo è iniziato dopo la dichiarazione di indipendenza del 1948. Sale ampie sorrette da imponenti colonne, numerose delle quali sono ancora in corso di recupero da parte degli archeologi. Ma le numerose riconquiste della città e le sue ricostruzioni furono possibili solo con l’apporto delle potenze commerciali e navali dell’epoca: le repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa ottennero quartieri commerciali, magazzini e approdi privilegiati, come numerosi reperti ancora oggi testimoniano.
Stupefacente opera ingegneristica il tunnel a due corsie costruito sotto la città dagli Ospitalari, una sorta di metrò dell’epoca, che metteva direttamente in comunicazione con il porto e la sua fortezza. Un ingegnoso gioco di vasi comunicanti impediva che le acque del mare invadessero il tunnel al crescere delle maree. E’ attraverso questo sottopassaggio che buona parte degli abitanti cristiani riuscì a guadagnare la salvezza ed a sottrarsi all’assedio dei mamelucchi del 1291. Sempre nel quartiere portuale si staglia il grande caravanserraglio, oggi purtroppo pericolante: istituzione classica dell’impero ottomano dove i mercanti potevano trovare ristoro per se e gli animali da soma, nonché un deposito sicuro per le proprie mercanzie…e non di rado combinare affari fra commercianti stessi… attualmente è ancora in stato di abbandono, inagibile per buona parte. Non è un caso che la parola abbia finito per indicare proverbialmente un luogo grande confusione.
Kibbutz Lavi
Lasciamo la Galilea e ci addentriamo tra le colline dell’entroterra, verso il lago di Tiberiade. Pernotteremo nel kibbutz Lavi, che in lingua ebraica significa piccolo leone. Sono molto curioso di poter visitare un’istituzione che ha significato molto nella costruzione di Israele: il kibbutz, ovvero una comunità di lavoratori che si associano per vivere e lavorare assieme, nacque durante i primi anni del secolo scorso ad opera di israeliti europei che si ispiravano ai principi del nascente idealismo socialista, attraverso una gestione strettamente egualitaria dei compiti e dei frutti del lavoro, bandendo la proprietà privata. Erano per lo più comunità agricole che miravano nel quadro del movimento sionista al ritorno del popolo ebraico alle terre a cui appartenevano. Nessuna concessione ai principi del profitto privato.
Il primo kibbutz nacque nel 1909. Tuttavia ci aspetta una sorpresa: il kibbutz Lavi in realtà assomiglia di più a un albergo moderno o a un agriturismo, con tutti i comfort. Chiacchierando con varie persone scopro che è anche un luogo di vacanza e ristoro per gli israeliani di città, che vogliono tornare per un weekend alla tranquillità della vita in campagna: l’impresa turistica si è affiancata qui alle prime attività agricole e manifatturiere, ma ci sono anche kibbutz dove si applica l’elettronica e l’informatica. Nel kibbutz Lavi in particolare si fabbricano mobili e suppellettili per sinagoghe. Dopo una cena abbondante, con carni bianche, pesce,verdure, riso e dolci molto invitanti (come in molti altri luoghi, dall’hotel più lussuoso al piccolo bistrot, ho notato esser molto diffusa la formula a buffet libero) Vittorio ci dice che è riuscito a organizzare un incontro con alcuni degli abitanti più anziani del Kibbutz, arrivati negli anni della sua fondazione. In una piccola saletta incontriamo alcune gentili persone che rispondono alle nostre curiosità.
Innanzi tutto il kibbutz Lavi sin dalla sua fondazione nel 1949, avvenuta grazie a fondi raccolti nelle comunità ebraiche inglesi, è stato un kibbutz religioso, differenziandosi dalla grande maggioranza degli altri kibbutzim (così si esprime il plurale del nome kibbutz in israeliano), essenzialmente laici, se non apertamente atei, dove si applicavano inizialmente forme di organizzazione socialista/comunista più integralista. Ad esempio, i figli, potevano risiedere e dormire con le famiglie, normalmente in quelli laici i giovani sin da piccoli avevano una casa a parte dove gli abitanti del villaggio a turno si occupavano delle loro esigenze, una formula educativa comunitaria più vicina all’antica Sparta. Ora capisco perché l’assenza di formaggi grassi dalle portate o di panna nei dolci, dato che qualsiasi prodotto della fermentazione è vietato dalle norme religiose, alcool in primis… Nessuno viene pagato in danaro: se qualcuno dovesse averne bisogno, si fa richiesta all’amministrazione che può concedere somme fino al valore teorico della quota di partecipazione dell’abitante alle attività e ai proventi del kibbutz. Ma a quasi tutto pensa il kibbutz. Ad esempio, se un figlio vuole andare all’università, persino l’appartamento dove abiterà in città viene pagato dal kibbutz. E fino alle scuole superiori, ogni ragazzo frequenta la scuola interna.
Una gentile anziana signora di origini svizzere ci dice che la figlia è diventata neurochirurgo e talvolta torna a svolgere attività volontaria. Entrare in un kibbutz non è facile. E’ la comunità democraticamente che decide se ammettere o meno una persona, a giudicare le sue motivazioni, la sua affidabilità.
Spesso la scelta del kibbutz è scelta di vita, che dura per tutta l’esistenza di una persona. O, almeno così è stato fino a poco tempo fa. Tutte le cariche sono elettive e ricoperte a rotazione.
Oggi però l’istituzione kibbutz è inserita nell’economia del paese. Spesso molti abitanti del lavi svolgono lavori all’esterno, i kibbutz comprano normalmente sul mercato privato i beni e i servizi che non possono creare da sé. Di seguito la visita ad una delle prime abitazioni dei coloni ancora conservata ci fa capire quanto dura fosse la loro vita: baracche di legno, molto piccole, con appena una stufa per riscaldarsi dai gelidi inverni in Palestina. Duro lavoro senza interruzioni, se non per le prescrizioni religiose. E spesso si dormiva col fucile, a ricordare che la sopravvivenza per i coloni non è mai stata una cosa scontata, oggi come ieri. Tanta motivazione ma ben poco romanticismo… Dopo l’interessante incontro, vado a sciogliere la fatica della giornata nella piscina coperta, assieme a famigliole di coloni che nuotano e giocano con i loro bimbi.
Safed
Ripartiamo poco dopo l’alba del 26 ottobre, per proseguire il nostro viaggio verso il lago di Tiberiade. Anche se l’aria delle alture è piuttosto frizzante al mattino presto, la vista è veramente spettacolare. Viaggiamo tra colline talvolta brulle e pietrose, talvolta coperte da un’esplosione di verde creata dalle coltivazioni dell’uomo. La strada lascia i villaggi ebraici e arabi, che spesso si trovano vicinissimi gli uni agli altri, divisi solo dalla strada a scorrimento veloce. Arriviamo all’antica città di Safed, posta in cima ad una di queste alte colline, a oltre 900 metri sul livello del mare.
La città storicamente è sempre stata abitata da ebrei ortodossi, che ne apprezzano l’isolamento dalla mondanità della costa. Dopo l’espulsione degli ebrei Sefarditi dal regno di Spagna nel 1492, molti intellettuali e studiosi di quella comunità si stabilirono in quel piccolo villaggio, chiamato all’epoca Zfat o Tsfat, dedicandosi allo studio della Kaballà o Qaballah, l’insieme di insegnamenti esoterici e mistici che Dio stesso avrebbe dato agli ebrei per l’interpretazione e la comprensione più profonda delle verità contenute nella Torah e nelle altre sacre scritture bibliche.
Dopo molte vicissitudini storiche e fatti di sangue, la popolazione ebraica è tornata definitivamente nella piccola città dopo la guerra del 1948 e nemmeno i razzi lanciati dagli estremisti di Hezbollah dal Libano nel luglio 2006 hanno mai messo in dubbio la sua presenza. I suoi vicoli stretti e le antiche costruzioni le danno un aspetto caratteristico, che vi attira oggi molti turisti. Tuttavia la zona ha scarse risorse economiche e il tenore di vita qui è molto più basso che in altre zone del paese. Anche la delinquenza giovanile pare essere una piega più accentuata che altrove.
Gli abitanti più ortodossi passano nelle vie con i loro pesanti cappotti neri e le camicie bianche, i loro riccioli pendenti sotto i cappelli, secondo tradizioni che si tramandano da secoli. Si muovono veloci, silenziosi tra i vicoli e danno l’idea di come dovesse essere un villaggio o un ghetto ebraico nel cuore dell’Europa tardo medievale.
Alture del Golan
Di seguito, raggiungiamo le alture del Golan, sul lato nord orientale del lago di Tiberiade. Un tempo confine con la Siria, sono state duramente contese durante le guerre arabo-israeliane. Oggi fattorie israeliane e piccoli villaggi di etnia Drusa abitano questo territorio dall’aspetto piuttosto selvaggio, caratterizzato da torrenti e dolci declivi così come anche aspre distese di rocce vulcaniche e improvvise fenditure nel terreno scavate dall’acqua.
Visitiamo una postazione di bunker da cui i soldati siriani cannoneggiavano i coltivatori del kibbutz Gadot sull’altro lato del fiume Giordano, che attraversa le alture da nord verso sud, lungo la fertile valle di Hullàh, dove si coltiva il cotone. Una situazione che si ripeteva spesso lungo i 55 chilometri del confine con Israele, sin dalla dichiarazione di indipendenza del 1948. Il territorio fu conquistato per circa 1.100 chilometri quadrati dagli israeliani durante la “guerra dei sei giorni” nel 1967 e occupato da altre colonie e fattorie. Nel 1973, con la guerra dello Yom – Kippur le truppe siriane cercarono di riconquistare le alture, che sono strategiche per la sicurezza di Israele, fino alle pendici del monte Hermon. Sebbene attaccato su tutti i confini, l’esercito israeliano riuscì ad approfittare di un rallentamento nell’avanzata siriana per contrattaccare con decisione, mettendo in rotta il nemico ed arrivare quasi in vista di Damasco, la capitale siriana. La diplomazia internazionale fra Unione Sovietica che fiancheggiava gli stati arabi e Stati Uniti che sostenevano Israele riportò indietro l’esercito israeliano sulla linea del “cessate il fuoco” del 1967. Da allora nulla più è successo militarmente su questo fronte, la Siria ha sempre preferito continuare a causare guai a Israele in maniera indiretta, attraverso il turbolento vicino Libano. Peraltro l’ONU non ha mai ratificato la decisione del governo di Tel Aviv di annettere di fatto il territorio conquistato.
In questo piccolo pezzetto di fronte, oggi fortificazioni sbrecciate, rottami di camion e carri armati che arrugginiscono nei campi, cartelli gialli e rossi che indicano vasti campi minati assieme alle lapidi con i nomi dei caduti, ricordano quei combattimenti feroci. Ce ne sono tante, per ogni luogo in cui si è combattuto.
Lago di Tiberiade
Arrivati al lago di Tiberiade, raggiungiamo il monte delle Beatitudini. Il lago che si stende sotto di noi è risorsa idrica ancora oggi importante per queste terre, alimentata dal fiume Giordano e da altri affluenti minori, ma sta subendo fortemente il prelievo per fini agricoli ei cambiamenti climatici che stanno facendo diminuire le precipitazioni sulle montagne a nord. Comunque, siamo nel cuore dei luoghi in cui si è svolta la vita di Gesù, come raccontata nei vangeli. Il luogo dove Gesù ha pronunciato il famoso discorso della montagna, forse il sermone che meglio racchiude la filosofia cristiana, non è del tutto certo. Gli storici hanno individuato una zona a ridosso del lago, sempre nel distretto di Tabhga, ma il luogo in cui si è voluto costruire il santuario è più in alto, con un colpo d’occhio scenografico che coglie tutto il bacino del lago e a nord, fino alle alture del Golan. La chiesa, il santuario vero e proprio, è immerso in un parco lussureggiante, assieme a un convitto per i pellegrini di passaggio. Entrambi sono opera del senatore italiano Ernesto Schiapparelli, che acquistò parte della collina nel 1907 e promosse la costruzione del convitto per aiutare l’opera dei missionari italiani e i pellegrini in Terra Santa (a quel tempo ancora sotto l’impero ottomano). La sua realizzazione proseguì, dopo la sua morte nel 1928, curata dall’associazione che portava il suo nome. Il santuario fu invece realizzato dall’architetto Barluzzi nel 1938. L’opera non è particolarmente memorabile per il suo stile, ma il luogo emana un fascino profondo, che colpisce anche chi ha un approccio laico e disincantato. Mentre alcuni dei miei compagni di viaggio ascoltano la lettura del discorso della montagna, godendone di tutta la sua immensa spiritualità, il continuo passaggio di jet militari israeliani in esercitazione genera uno strano contrasto intimo, che fa riflettere sulle contraddizioni estreme che si possono trovare in questo piccolo fazzoletto di terra. Visitiamo, più in basso, anche la chiesa costruita sul luogo dove venne operato il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’altare sarebbe stato costruito proprio sopra la roccia originale su cui, secondo la tradizione cristiana, Gesù fece porre i pani e i pesci prima di iniziare il miracolo. Molto pregevoli i mosaici che adornano i pavimenti, quasi sicuramente realizzati da artigiani di origine egiziana. Difatti i panorami, gli animali e gli oggetti raffigurati sono tipici dell’ambiente antico del Nilo. La giornata si conclude in riva al lago, nel parco archeologico dell’antico villaggio di Cafarnao dove spesso visse e operò Gesù nei tre anni della sua vita pubblica e di predicazione. Sopra quella che secondo alcuni studiosi sarebbe stata la casa del primo papa della storia, venne costruita una chiesa che la protegge e dal cui interno è sempre possibile vedere i resti sottostanti. Mentre ci godiamo uno spettacolare tramonto che arrossa le rocce delle colline attorno al bacino, ci spostiamo verso l’albergo per il meritato riposo. Ad attenderci anche una cena a base del famoso pesce San Pietro, tipico delle acque di Tiberiade e protagonista neil Vangelo dell’episodio della “pesca miracolosa”. Dall’aspetto piuttosto inquietante, arrostito e servito con verdure oppure patatine fritte (piccola concessione ai gusti internazionalii) sorprende per il sapore delicato, per quanto bisogna stare molto attenti alle numerose e appuntite lische che abbondano nelle sue carni.
di Davide Migliore
Linkografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Cesarea_in_Palestina
http://198.62.75.4/www1/ofm/sbf/escurs/TS/05b_TSit.html
Breve storia della città di Cesarea di Palestina o Cesarea Marittima.
http://it.wikipedia.org/wiki/Acri_(Israele)
http://www.ecologicworld.it/una-citta-crociata-emerge-sotto-il-porto-di-akko.html
http://www.paesaggiritrovati.it/a-spasso-per-il-mondo/akko-citta-storica-della-galilea
Cenni storici su Acco – S. Giovanni d’Acri.
http://it.wikipedia.org/wiki/Ospitalieri
La storia dei cavalieri Ospitalari.
http://it.wikipedia.org/wiki/Kibbutz
Origine dell’istituzione Kibbutz e la vita della sua comunità.
http://en.wikipedia.org/wiki/Lavi
Descrizione della storia del kibbutz Lavi.
http://hotel.lavi.co.il/HOTEL/2/23/627.aspx
Sito ufficiale dell’Hotel del kibbutz Lavi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Safad
Notizie sulla città di Safed.
https://it.wikipedia.org/wiki/Kabbalah
La cabala ebraica.
http://it.wikipedia.org/wiki/Discorso_della_Montagna
https://sites.google.com/site/viaggiointerrasanta/monte_beatitudini
Il discorso della montagna di Gesù di Nazareth.
http://www.ansmi.it/ospiziodellebeatitudini.htm
Stria del santuario e dell’ospizio per i pellegrini.