La rappresentazione dell’omosessualità in televisione.
Il termine “eteronormatività” esprime il modo in cui la società odierna considera come normale espressione delle relazioni sessuali e sentimentali solo l’eterosessualità. In poche parole, le persone sono eterosessuali fino a prova contraria.
Basta guardarci intorno per trovare un riscontro di questa definizione nella vita di tutti i giorni: le pubblicità che mostrano coppie innamorate o famiglie rappresentano solo l’eterosessualità, i biglietti di San Valentino sono quasi esclusivamente indirizzati a coppie eterosessuali, persino i vari set di asciugamani, tazze, e oggettistica per la casa varia indicano l’eteronormatività della nostra società, con i classici “lui” e “lei” stampati sopra. Nelle librerie, i libri a sfondo omosessuale sono relegati in una minuscola sezione a parte, solitamente vicina a quella della letteratura erotica.
Negli ultimi anni la lotta per i diritti delle coppie omosessuali è diventata molto più accesa e di spicco che in passato. In sempre più Stati, i matrimoni gay sono diventati legali e alle coppie omosessuali vengono riconosciuti gli stessi diritti delle coppie etero.
Proprio per questo motivo, in un periodo in cui essere gay non è più un tabù come poteva esserlo in passato e in cui gli omosessuali stanno cercando di farsi valere e di rivendicare il loro diritto di essere trattati come degli esseri umani a tutti gli effetti, senza distinzioni, è triste constatare che in televisione, l’eteronormatività è ancora molto accentuata.
Quello che vediamo in televisione influenza, volente o nolente, il nostro modo di rapportarci alla vita e alla società, perchè la televisione (e non solo quella, anche il cinema, la letteratura, ecc) vuole essere una rappresentazione più o meno romanzata della realtà. È molto comune che gli spettatori (soprattutto giovani) si identifichino con i personaggi rappresentati in serie tv, film, libri e fumetti. È un modo per sfuggire alla realtà pur restandoci attaccati. È un modo per sognare e sperare, ma anche per sentirsi “normali”, per sentirsi come parte di un qualcosa.
Per gli omosessuali, questo processo di identificazione è molto più complicato che per gli eterosessuali. Inizia sin da quando siamo piccoli, quando leggiamo le storie di principesse e principi e sognamo, se siamo femmine, di trovare il principe azzurro con cui vivere per sempre felici e contente, e se siamo maschi, di trovare la nostra principessa da salvare con il bacio del vero amore. Ci viene insegnato sin dall’infanzia che è “normale” ricercare l’amore nel sesso opposto. Ogni favola, ogni libro per bambini, ogni cartone animato per l’infanzia ci impone l’idea che il vero amore è quello tra un uomo e una donna. E crescendo, la situazione cambia di poco.
Immaginate di accendere la televisione e di dover cercare attraverso tutti i programmi per trovare un personaggio in cui vi identificate. E molto spesso, non riuscirci. Quando si sta già lottando per accettare la propria sessualità, e farla accettare alle persone intorno a noi, il non avere un modello in cui ritrovarsi può essere molto doloroso.
Prendiamo in considerazione la televisione americana. Le serie tv sono una parte estremamente rilevante della loro cultura. Ogni anno, su quasi tutti i canali della televisione USA, vanno in onda decine di telefilm di ogni genere. Persone di tutto il mondo seguono queste serie tv e, soprattutto per i ragazzi, sono una vera e propria passione, da cui scaturisce la creazione di blog e siti a tema, di video, di fanfiction, ecc.
Nel suo diciassettesimo resoconto annuale intitolato “Where are we on TV”, la GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation) ha riportato che nella stagione televisiva 2012/2013, il 4.4% degli attori che appaiono nelle serie tv che vanno in onda su canali digitali (quelli, per intenderci, che possono essere visti ovunque senza bisogno di un abbonamento) interpretano personaggi omosessuali, bisessuali e transgender. Sul totale di 701 personaggi che appaiono in questa stagione televisiva, 31 fanno parte della comunità LGBT. Questa percentuale, nonostante possa sembrare estremamente bassa, è però la più alta mai registrata.
I numeri, quindi, non solo certo consolanti, e lo è ancor meno la consapevolezza che in quei 31 personaggi, sono molto pochi quelli non stereotipati o rappresentati negativamente.
Personaggi gay e stereotipi
Persino gli show che ruotano intorno a personaggi omosessuali come personaggi principali riescono a cadere in questi stereotipi.
Prendiamo ad esempio Will & Grace, sitcom andata in onda dal 1998 al 2006 che ruota intorno alla vita di Grace Adler, del suo migliore amico gay, Will Truman e degli altri due personaggi principali: Karen e Jack (anche lui gay).
Nonostante sia apertamente gay e questa sua caratteristica sia uno dei fondamenti su cui si basa la trama, Will non fa mai sesso. Viene rappresentato come un affascinante, attraente trentenne di successo che non riesce a trovare un uomo non solo per costruirsi una relazione, ma neanche per fare sesso. Questo è estremamente conveniente per gli sceneggiatori, perchè permette loro di essere innovativi, basando lo show su un personaggio gay, ma senza effettivamente mostrarne l’omosessualità. Dall’altra parte, invece, Jack è spesso descritto come vanitoso, egocentrico e promiscuo, incarnando perfettamente lo stereotipo dell’uomo omosessuale e viene usato quasi come caricatura, alla tregua di un personaggio comico.
Parlando della stagione televisiva in corso, due sono stati gli show che hanno introdotto nei ruoli principali degli omosessuali: The New Normal e Partners (cancellato dopo qualche episodio).
The New Normal tratta di una coppia gay che si serve di una madre surrogata per avere un figlio e le vicende ruotano intorno a questa particolare famiglia allargata, composta dai due partner, la madre surrogata, sua figlia pre-adolescente, la sua nonna estremamente conservatrice e l’assistente personale di uno dei due protagonisti. I due personaggi principali sono i due poli opposti degli stereotipi sugli uomini gay: Bryan è un produttore televisivo fissato con la moda, che non capisce niente di sport, idolatra Lady Gaga, sogna di avere una figlia per poterla vestire come una Barbie, adora i gossip e arriva, addirittura, a comprare un gilet munito di seno prostetico per poter provare in prima persona l’esperienza dell’allattamento. Il suo partner David, invece, è un dottore “macho”, che ama lo sport e non ha il minimo interesse per la moda e le celebrità.
Allo stesso modo, Partners, sitcom incentrata sui due migliori amici di infanza Joe (eterosessuale) e Louis (omosessuale), introduce un personaggio gay egocentrico, vanitoso, geloso della relazione del suo migliore amico, ossessionato dalle celebrità e dai gossip, capace di causare scenate se le cose non vanno come le vuole lui.
Insomma, nonostante siamo nel 2013 e la televisione stia cercando di evolversi introducendo un numero sempre maggiore di personaggi gay, rimaniamo sempre ancorati agli stereotipi e alla rappresentazione degli omosessuali come personaggi comici o negativi, o semplicemente degli strumenti per l’evolversi della trama dei personaggi eterosessuali (per citarne uno: Alex Kelly, rappresentata da Olivia Wilde, in The OC, che è stata un diversivo per la protagonista Marissa, prima di ritornare insieme al presunto amore della sua vita, Ryan).
Fortunatamente, vi sono delle eccezioni. Sempre all’inizio di questa stagione è andato in onda il nuovo show Chicago Fire, in cui uno dei due personaggi principali femminili è apertamente lesbica e non viene sfruttata per la sua sessualità, ma viene trattata come tutti gli altri personaggi. Leslie Shay non è uno stereotipo, non è una macchietta, ma è un personaggio a tutti gli effetti.
Lo stesso vale per Arizona Robbins e Callie Torres, rispettivamente lesbica e bisessuale, personaggi del popolarissimo telefilm medico Grey’s Anatomy. Arizona e Callie sono rappresentate come personaggi a tutto tondo, non come incarnazioni della loro sessualità. La loro è una delle relazioni portanti del telefilm ed è descritta come una relazione solida, stabile, sana. Nel corso delle stagioni hanno dovuto affrontare diverse difficoltà, più o meno legate al loro orientamento sessuale (Callie che scopre la sua sessualità, la reazione dei genitori, il matrimonio non legale, ma simbolo del loro amore, i figli, eccetera), e non vengono mai ridotte a uno stereotipo o sfruttate per la loro sessualità. Non sono le lesbiche che servono a far felici il pubblico o i personaggi maschili, non sono le ragazzine che esperimentano. Sono due donne adulte che si innamorano e decidono di passare la loro vita insieme e di costruire una famiglia, esattamente come accade agli altri personaggi eterosessuali.
In aggiunta a Callie e Arizona, Shonda Rhimes, creatrice non solo di Grey’s Anatomy, ma anche di Private Practice (spin-off della serie sopracitata), Off the map (serie medica ambientata in una clinica nella giungla sud-americana, cancellata dopo solo una stagione) e il nuovissimo Scandal, ha creato altri personaggi omosessuali che soddisfano il pubblico. Che siano personaggi principali o storyline della durata di una puntata, la Rhimes riesce a non cadere nel banale e nello stereotipato. Quando su Twitter le è stato chiesto il motivo per cui ha l’abitudine di introdurre così tante storyline omosessuali, la sua risposta è stata: “Perchè credo che ognuno dovrebbe avere se stesso rappresentato in tv. OGNUNO. E perchè amo i miei amici gay. E perchè penso che i matrimoni omosessuali siano la lotta per i diritti civili della nostra epoca e ai tempi in cui essere una persona di colore era una battaglia per i diritti civili, persone come Normal Lear ha inserito personaggi neri in televisione e ha aiutato qualcuno a cambiare idea. Quindi sapete, ripagherà in futuro. Finchè siamo disposti a rimanere immobili davanti a una persona che non è libera, nessuno di noi sarà veramente libero. E infine, perchè finchè ci sarà qualcuno che pensa sia giusto fare la domanda ‘perchè tutti quei personaggi gay nei tuoi show’, vuol dire che c’è un GROSSO problema che deve essere risolto. È come chiedere ‘perchè tutti quei personaggi di colore nei tuoi show’. (Ed è appunto il perchè nei miei show ci sono così tante persone di colore. Perchè le persone continuano a chiedermelo, come se fosse qualcosa di insolito. Abbiamo ancora TANTA strada da percorrere).”
La domanda posta alla Rhimes fa capire quanto ancora sia inusuale vedere personaggi omosessuali rappresentati in televisione. E purtroppo, non tutti i produttori e sceneggiatori sembrano mostrare il “coraggio” di Shonda Rhimes. Sono ancora moltissimi i telefilm senza neanche un personaggio omosessuale nel cast.
“Subtext” e “Shipping”
In questo panorama così desolante, i ragazzi omosessuali trovano comunque personaggi e relazioni in cui immedesimarsi, tramite il subtext. Prendono cioè tutte le scene e le battute che possono essere ambigue o che potrebbero nascondere un significato romantico, la chimica tra gli attori, gli sguardi, eccetera, e ci si aggrappano per creare nuove coppie, diventandone “shipper”. Il fenomeno denominato “shipping” (derivante dalla parola inglese relationship, relazione) consiste nel coinvolgimento emotivo dei fan in una coppia fittizia (che sia di telefilm, film, libri, fumetti, eccetera) ed è soprattutto in uso nelle comunità virtuali. Comprende qualsiasi tipo di rapporto, eterosessuale e omosessuale, di natura romantica o puramente di amicizia. Può essere un coinvolgimento per una coppia esistente nell’opera di rierimento o puramente inventata. Da questo coinvolgimento nascono una serie di opere da parte dei fan, tra cui fanfiction (racconti con protagonisti personaggi già esistenti di una serie tv, libro, ecc), fanart (disegni, dipinti, fotomontaggi, lavori di grafica) e fanvideo.
Per gli amanti delle coppie omosessuali, questi lavori dei fan sono spesso l’unico modo per vedere i propri beniamini trovare un lieto fine, perchè nelle opere originali vengono ritratti come eterosessuali. A volte i creatori delle opere originali o gli attori cercano di assecondare le fantasie dei fan, inserendo scene ambigue per fare felice quella porzione di pubblico (come nel caso di Supernatural, i cui autori volutamente hanno scritto battute che possono essere scambiate per romantiche o ambigue. Castiel, ad esempio, viene descritto a Dean come “l’angelo innamorato di te” in una puntata della serie), oppure rilasciando interviste a riguardo (per citarne un esempio, due attrici della serie fantascientifica Warehouse 13, Joanne Kelly e Jaime Murray, hanno spesso sostenuto durante interviste e convention che i loro due personaggi, Myka e Helena, sono innamorate l’una dell’altra, pur non essendo mai stato confermato nel telefilm). A volte, addirittura, la legittimazione di questo “amore” avviene anni dopo la conclusione della serie, come è successo con Xena, Principessa Guerriera. Durante la Xena Convention del 2012, le due attrici principali Lucy Lawless e Renee O’Connor hanno messo in scena un breve epilogo della serie in cui Gabrielle (Olimpia nella versione italiana) confessa a Xena i suoi sentimenti e le chiede di sposarla, e Xena accetta.
Purtroppo, non sempre le persone coinvolte nelle opere originali supportano i fan. Molte volte, produttori e attori non riconoscono il subtext tra due personaggi e altre volte addirittura lo smentiscono. È il caso di Rizzoli & Isles, serie poliziesca che ruota intorno a Jane Rizzoli, detective della squadra omicidi di Boston, e Maura Isles, sua migliore amica e medico legale. Ufficialmente, le due sono solo migliori amiche, ma è difficile non vederci qualcosa di più quando vengono inserite nel telefilm ricorrenti battute a sfondo omosessuale, lunghi e languidi sguardi tra le due e la loro incapacità a sviluppare una relazione duratura con qualunque uomo. Se a questo si aggiunge la tendenza delle serie televisive ad accoppiare i partner (solitamente uomo e donna) nelle serie poliziesche, non è difficile capire come i fan possano aver sviluppato la teoria che tra le due donne ci sia qualcosa di più profondo di un’amicizia. Nonostante tutto, però, la creatrice della serie Janet Tamaro ha sempre smentito ogni possibile sviluppo sentimentale tra le due protagoniste, affermando più di una volta che l’ipotesi che Jane e Maura possano essere viste come coppia la fa ridere. Eppure, durante le tre stagioni andate in onda, i momenti potenzialmente ambigui si sprecano, arrivando addirittura a due puntate in cui le due donne fingono di essere fidanzate per scoraggiare un pretendente di una delle due.
I fan, ovviamente, molto spesso sono offesi da questo tipo di atteggiamento: per quanto sappiano a livello conscio che le loro coppie preferite non diventeranno mai “canon” (parola utilizzata per definire quello che avviene nella realtà del telefilm e non in quella dei lavori dei fan), vorrebbero che fosse accordato loro il rispetto di riconoscere l’ambiguità in una relazione, soprattutto se questa ambiguità viene sfruttata a livello di battuta, solitamente per alzare l’indice di ascolti.
Il caso “Once upon a time” e gli show per le famiglie
Nell’ottobre del 2011 è andato in onda per la prima volta un nuovo show firmato Disney intitolato Once upon a time (C’era una volta in italiano), ispirato alle fiabe popolari. I personaggi delle favole vengono intrappolati tramite una maledizione nel nostro mondo dalla regina cattiva di Biancaneve che si vuole vendicare della sua eterna rivale. L’unica persona in grado di spezzare quella maledizione è Emma, la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro, che è scappata alla maledizione alla sua nascita ed è destinata a salvare tutti al compiersi del suo ventottesimo compleanno.
Once upon a time è, come è facilmente intuibile, un telefilm creato per le famiglie, nonostante vi sia la presenza di elementi spesso eccessivamente oscuri per un pubblico di bambini.
Una delle coppie preferite dai fan dello show è quella formata da Emma e da Regina, la strega cattiva. La chimica tra le due attrici (Jennifer Morrison e Lana Parrilla) è innegabile, e i fan sostengono che se uno dei due personaggi fosse un uomo, sarebbe la coppia portante del telefilm. La loro teoria si basa sul fatto che Emma è colei che è destinata a spezzare la maledizione creata da Regina, e che nello show (così come nelle favole) viene ripetuto spesso che il vero amore può spezzare ogni maledizione. In aggiunta, le due donne dividono anche la custodia di un bambino, Henry, figlio biologico di Emma e figlio adottivo di Regina.
I fan di questa coppia sono sempre stati molto appassionati nel dare voce alle loro ragioni e sia i produttori sia gli attori sono a conoscenza di questa teoria per cui Emma sia il vero amore di Regina. Purtroppo non tutti si sono dimostrati solidali e rispettosi.
Circa sei mesi fa, durante una sessione di domande e risposte su Twitter, è stato chiesto a Ginnifer Goodwin (che interpreta Biancaneve) se sarà possibile vedere Emma e Regina baciarsi nel telefilm. La sua risposta ha oltraggiato più di un fan: “sfortunatamente, la ABC non ha comprato i diritti per ‘C’era una volta nelle mie mutande’. Prova a controllare i canali a pagamento.”
I fan si sono sentiti insultati dall’attrice, che con la sua risposta sembrava insinuare che una relazione tra persone dello stesso sesso non è appropriata per uno show per famiglie, ma solo per telefilm a sfondo erotico che vanno in onda su canali a pagamento. La Goodwin ha cercato di rimediare al suo errore, dichiarando che lei sostiene l’omosessualità e che la sua affermazione derivava dal fatto che, tecnicamente, Regina è la nonna adottiva di Emma, in quanto la Regina Cattiva della favola è la matrigna di Biancaneve. Questo tentativo di scuse è sembrato, però, molto forzato.
Certo, se Once upon a time fosse veramente un telefilm a target prevalentemente familiare, sarebbe quasi comprensibile (se non si prende in considerazione il fatto che in una scena della seconda stagione, Biancaneve e il Principe Azzurro vengono trovati dalla figlia nel letto, dopo aver fatto sesso). Ma lo show comprende, come già detto, elementi troppo oscuri per essere davvero adatto a un pubblico molto giovane, tra qui menzioni di violenza fisica e sessuale, battute a sfondo sessuale (Capitan Uncino più di una volta fa riferimento alle sue parti intime mentre scherza con le ragazze), scene violente (Regina strappa i cuori dal petto delle persone e li riduce in polvere), e altre tematiche a cui i bambini non dovrebbero essere esposti. L’introduzione di una coppia omosessuale creerebbe davvero così tanti traumi ai telespettatori più giovani? E soprattutto, è giusto che nel 2013 uno show per famiglie debba contenere solo relazioni eterosessuali e che i bambini non debbano venire esposti a una situazione che fa parte della realtà, come quella dell’omosessualità?
I creatori della serie sono spesso stati interpellati riguardo la possibilità di introdurre un personaggio omosessuale nel cast, ma non si sono mai espressi in modo esaustivo. Recentemente, alla critica mossa da un fan che non ci sono personaggi gay nello show, uno dei produttori esecutivi, Adam Horowitz, ha risposto “come fate a saperlo?”, come per fare intendere che potrebbe esserci un personaggio gay, ma non è ancora stato rivelato. La speranza, quindi, è l’ultima a morire, ma considerato che i produttori esecutivi di Once upon a time sono anche quelli di Lost, dove l’unico personaggio omosessuale, Tom Friendly, non solo è quasi irrilevante, ma il suo orientamento sessuale viene solo lievemente accennato durante un flashback in seguito alla sua morte, le prospettive a riguardo non sembrano rosee.
In un momento in cui la lotta per i diritti degli omosessuali e l’accettazione è così accesa, la visibilità è tutto. Inserire un personaggio la cui omosessualità si scopre solo dopo la sua morte non è un buon modo per dare visibilità e supporto alla comunità LGBT.
La rappresentazione degli omosessuali in televisione, insomma, non sembra delle migliori e l’eteronormatività sembra ancora essere la regola in vigore.
Se vivessimo in un mondo migliore, la televisione sarebbe un mezzo per aiutare l’accettazione dell’omosessualità e non sarebbe strano trovare più personaggi e coppie gay negli show e nei film, ma purtroppo, per il momento, bisogna accontentarsi di quel poco che viene offerto e cercare del buono in un mare di stereotipi e mediocrità.
di Simonetta Pastorini