La tortuosa realtà dei diritti dei popoli.
Tra land grabbing e autodeterminazione.
La questione relativa all’autodeterminazione dei popoli e ai loro diritti è molto cambiata nel giro degli ultimi secoli. Ad ogni modo, in particolare negli ultimi anni, è cresciuta la necessità di definire con maggiore chiarezza i diritti di quei popoli che hanno dovuto lasciare la propria terra, posseduta e vissuta per consuetudine e passata nelle mani di investitori esteri.
Ciò che risulta interessante chiedersi è: in che modo il diritto all’autodeterminazione dei popoli e, più in generale, i diritti dei popoli, si sono modificati nel corso della storia dell’umanità e, soprattutto, dei diritti umani, assumendo le moderne configurazioni di diritti comprendenti le sfere della cultura e dell’ambiente? Stabiliti e sanciti tali diritti, appaiono essi oggi confermati e rispettati?
Per capire al meglio come sia possibile formulare una risposta a questa complicata questione, appare necessario stabilire alcuni riferimenti storici che aiutino nell’analisi dei principi esposti in alcuni noti trattati e dichiarazioni. Attraverso l’evoluzione del concetto di autodeterminazione dei popoli e l’evolversi dei diritti di questi ultimi (in relazione ai diritti umani e ai diritti ambientali), sarà possibile constatare quanto accade in un caso concreto: quello relativo alla comunità Guaranì, popolazione indigena brasiliana.
Breve riflessione sulla storia dei diritti dei popoli.
Il principio di autodeterminazione dei popoli – il diritto di un popolo di poter scegliere autonomamente il proprio regime politico o la propria indipendenza – trova già alla fine del XVII secolo i primi spunti, i primi ‘germi’, da cui trarrà sviluppo.
Infatti, trattati come quello di Westfalia (1648), quello di Oliva (1660) e quello di Ryswick (1697) hanno un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione delle problematiche delle minoranze. Ma, i diritti dei popoli cominciano ad affermarsi solo più avanti, con l’affermazione dei diritti umani durante le rivoluzioni del XVIII secolo. Gli esempi più significativi sono la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, la francese Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 e la conseguente Declaration des Droits de Gens, sottoposta dall’Abbè Gregorie alla Convenzione del 19/11/1795, ma non adottata dall’Assemblea. Nelle tre dichiarazioni appena citate si sottolineano in diversi passaggi il diritto del popolo alla ribellione contro l’oppressione, dal momento che l’insurrezione è vista sia come un diritto, che come un dovere. Inoltre, viene ribadito il diritto dei popoli ad autogovernarsi, liberi dalla tirannia.
Ad ogni modo, dato il particolare contesto storico, la ‘libertà dei popoli’ è collocata, e probabilmente ridimensionata, nel concetto di ‘Nazione’, intesa come rappresentante dell’insieme ‘umanità’, in cui l’individualità trova collocazione. In questo senso, vi è un’analogia tra individuo e Nazione, la quale viene vista come obiettivo primario e riconosciuto dalla politica internazionale.
L’allineamento tra popolo e Nazione porta però ad una concezione non del tutto universale dell’umanità, poco attenta alla diversità tra minoranze e maggioranza.
Ne è esempio il caso della schiavitù negli Stati Uniti d’America. Infatti, gli schiavi non rientrano negli uomini che Dio ha dotato di diritti inalienabili: quegli stessi diritti affermati dai ‘padri dell’indipendenza’ nella già citata Dichiarazione americana del 1776.
Un altro momento storico risulta importante per l’argomento in questione: la stesura della Carta delle Nazioni Unite del 1945. In essa appaiono alcune importanti connotazioni relative al diritto degli individui. Questi ultimi sono considerati senza distinzioni di razza, sesso, lingua e religione e i rapporti tra di essi, riuniti in comunità, devono avvenire senza conflitto, in modo da favorire l’autodeterminazione dell’identità dei popoli.
Inoltre, in correlazione allo scenario storico-politico, appare come il principio di sovranità degli stati ‘ceda il piedistallo’ al principio di sovranità dell’essere umano, in quanto tale.
In seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale viene stipulata la Dichiarazione dei Diritti Umani (1948): in essa si stabilisce come il rispetto per la cultura dei gruppi umani e quello per la personalità dell’individuo siano parimenti importanti, in quanto l’essere umano dev’essere considerato come individuo e come appartenente ad un gruppo sociale. Quindi, l’individuo dev’essere tutelato in quanto uomo, in quanto cittadino, in quanto appartenente alla società, in quanto membro di un popolo, portatore di diritti politici, economici, sociali e di libertà nelle differenti società.
Questi aspetti da una parte sottolineanola crisi del sistema coloniale, dall’altra aprono a un nuovo modo di intendere i diritti dell’uomo e dei popoli.
Nel1966 con i Patti Internazionali sui Diritti Umani delle Nazioni Unite si sottolineano i concetti di sviluppo socio-economico, e, in particolare, di sviluppo culturale e di utilizzo delle proprie risorse naturali. Questo aspetto risulta importante per comprendere come venga messa in risalto la correlazione tra diritti dei popoli e questione culturale e ambientale.
Questa evoluzione dei diritti dei popoli porta nel 1976 alla Carta di Algeri: Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli. Quest’ultima risulta importante in quanto non rappresenta solo un principio individualistico e astrattamente egualitario, ma riguarda anche l’attribuzione di un ruolo giuridico ai popoli in quanto minoranza e entità collettiva radicata nella storia: un ruolo che non necessariamente corrisponde a confini sanzionati dal diritto classico. D’altra parte, le tematiche inerenti i diritti dei popoli permettono di affrontare non solo il problema delle “minoranze”, ma anche quello delle “diversità”. In questo senso, appare significativo l’esempio dei popoli indigeni, da diversi anni sottoposti a forti discriminazioni.
Diritti dei popoli indigeni.
Per meglio comprendere i passaggi fin qui sottolineati risulta utile prendere in considerazione un caso più specifico: quello, appunto, dei popoli indigeni.
Sebbene già nel 1957 la Convention n° 107, tenuta dall’International Labour Organization (ILO), avesse portato alla discussione relativa allaProtection and Integration of Indigenous and Other Tribal and Semi-Tribal Populations in Indipendent Countries, solo il 26 giugno 1989 viene adottata una rivisitazione più dettagliata dei diritti dei popoli indigeni. Infatti, in tale data l’ILO adotta la Convention n°169 riguardante gli Indigenous and Tribal peoples in Independent Countries.
Attraverso essa viene sottolineata l’importanza dei diritti umani come quello all’identità culturale, alla partecipazione dei popoli interessati alle decisioni che li riguardano e alla terra. Ma ciò che appare interessante è il ritorno alla concezione di collettività e comunità, non esclusivamente statale o nazionale. In questi termini, il rapporto tra diritti dei popoli indigeni e sovranità statale ha spesso significato per i governi difficoltà di gestione del territorio e, in tal senso, l’applicazione della Convention risulta complessa e causa di profondi effetti sugli stati e sulle loro disposizioni costituzionali. Per questo, ad esempio, solo 20 paesi hanno ratificato la Convention, ma un numero sempre più alto di stati riconosce, a livello nazionale, che la legge richiede forme di autonomia territoriale per gruppi subnazionali[1].
Il percorso di tutela dei diritti dei popoli indigeni prosegue con laDichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, adottata durante la 62ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi in New York il 13 Settembre 2007. In essa si definiscono ulteriormente alcuni diritti presenti in altre Dichiarazioni già analizzate: ad esempio, la formalizzazione del diritto di autogoverno, dell’autonomia e della cultura per i popoli indigeni. E ancora, sono inclusi il diritto alla partecipazione alla vita politica e, soprattutto, i diritti ambientali, culturali e relativi alla terra e al territorio.
Il caso brasiliano.
Proprio la realizzazione dei diritti legati all’ambiente, alla cultura, alla terra e al territorio appare, tuttavia, sempre più controversa e difficoltosa.
Da questo punto di vista, la questione diventa problematica, soprattutto negli stati africani e sudamericani: in questi paesi, infatti, i terreni vengono spesso venduti a investitori stranieri dai governi in forme di commercio chiamate ‘Land Deal’ (o, con accezione negativa, ‘Land Grabbing’).
Il fatto che i diritti dei popoli indigeni prevedano che tali popoli possano usufruire dei territori che posseggono‘tradizionalmente’ non appare sufficiente per impedire agli stati di far rivalere il proprio possesso ‘legale’. In questo senso, viene a costituirsi un contrasto tra il diritto consuetudinario dei popoli (il quale appare decisamente ‘fragile’ non essendo ‘accompagnato’ da una forte documentazione che certifichi la proprietà) e la formalizzazione dello stato.
Le conseguenze delle cessioni dei terreni abitati da popolazioni indigene sono, evidentemente, legate alla costrizione di tali comunità ad abbandonare territori in cui hanno sempre vissuto.
Questo è quanto si è verificato, ad esempio, anche in Brasile, dove, soprattutto nella regione denominato Mato Grosso do Sul, le popolazioni indigene hanno dovuto abbandonare le proprie terre o hanno visto ridimensionate le possibilità di accedere alle stesse.
Nell’Ottobre 2009, Marina Silva, al tempo Senatore e Ministro dell’Ambiente del Brasile, ha dichiarato che la questione dei popoli indigeni è estremamente seria, dal momento che interessa 45.000 indiani del Mato Grosso do Sul, i quali stanno affrontando una vera ‘apartheid sociale’ conseguente alle gravi privazioni dei loro diritti[2].
Per i popoli indigeni la sicurezza nella consuetudine legata alle terre ancestrali è indispensabile per il diritto di autodeterminazione, di integrità culturale e di identità. Tuttavia, in Brasile, comunità che coltivano e dipendono dalla terra per la propria sopravvivenza hanno perso la possibilità di accedere ad essa.
Una delle comunità indigene presenti nel Brasile di cui parliamo è quella dei Guarani Kaiowá.
A seguito della visita in Brasile del Novembre 2009, Navanethem Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha dichiarato che i popoli indigeni brasiliani (la maggior parte di essi) non stanno beneficiando del progresso economico del Paese e, anzi, sono vittime di gravi episodi di discriminazione e indifferenza[3].
Molte delle ingiustizie subite dalle popolazioni Guarani violano la Costituzione Brasiliana del 1988, nella quale l’indio non è più considerato ‘inadatto funzionalmente’ ad un processo integrativo nella società, ma si adotta un paradigma di interazione tra comunità nazionale e comunità indigena. E non solo. Ad essere violate sono anche il Brazil’s Indian Statute, la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni delle Nazioni Unite, la International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination, e l’International Labour Organisation’s (ILO) Convention 169, come visto firmata dal Brasile nel 2002.
Di cosa stiamo parlando? Alcuni dati.
A dimostrazione di quanto detto vi sono i numeri delle violenze seguite alla sottrazione delle terre ai popoli indigeni.
Infatti, nel 2007 nel Mato Grosso do Sul sono stati assassinati 44 indiani, aumentando la percentuale di assassinii rispetto all’anno passato del 214%[4].
Nel 2008 sono stati registrati 70 casi di violenza contro persone della comunità Guarani Kaiowá. Nello stesso anno, 60 persone indigene sono state assassinate: tra queste 42 sono appartenenti alla comunità in questione[5].
Violenze razziste e violazioni dei diritti sono una costante nelle vita della comunità Guaranì: a causa di ciò e della mancanza della terra con cui le popolazioni indigene hanno un legame mistico sono incrementati esponenzialmente i numeri relativi ai suicidi (http://www.youtube.com/watch?v=n7tJWKCqS68). Nel 2005, il tasso di suicidi tra indiani Guaranì è stato di 159,9 per 100.000 persone, contro una media nazionale di solo 6,1 ogni 100.000 persone[6].
La sottrazione di terra porta con sé anche malnutrizione e povertà. Il report del 2005 della Commissione per i Diritti degli Indigeni Guaranì Kaiowá ha dichiarato che le politiche pubbliche riguardanti popolazioni indigene non rispettano la Federal Constitution e la Ilo Convention 169[7].
Diritti sanciti, ma non rispettati.
Insomma, il caso dei popoli indigeni brasiliani assume i contorni di un significativo esempio di diritti dei popoli sanciti, ma evidentemente non rispettati e costantemente violati. I popoli indigeni del Mato Grosso sono l’esempio concreto della indissolubile relazione tra diritti umani e diritti dei popoli e, parimenti, della difficoltà di far rispettare gli stessi in contesti ove predomini il diritto legale delle istituzioni sui diritti culturali e ambientali delle minoranze.
Seppur ad oggi i diritti appaiono ben delineati e teoricamente saldi nello stabilire le necessità dei popoli (indigeni, in particolare), tuttavia nel concreto essi sono spesso sottovalutati dalle sovranità statali e multinazionali. Tale sottovalutazione porta, nel dettaglio del caso specifico analizzato, al mancato riconoscimento e rispetto dei diritti delle comunità indigene brasiliane. In tal senso, le norme e le regole sancite nei diritti necessitano di un controllo meno transigente da parte di organi sovrastatali, così da non ricadere in ‘formae mentis’ e concezioni simili a quelle che hanno portato a gravi violenze concentrate in “dottrine disastrose come quella del ‘fardello dell’uomo bianco’, grazie alle quali lo sfruttamento economico si era accompagnato alla negazione alle comunità locali del diritto di controllare i propri affari”[8].
di Tomaso Cimino
[1]dato aggiornato al 15-06-2011: il Brasile ha ratificato la Convention il 25-07-2002. Dato dal sito dell’ILO (www.ilo.org).
[2] Senado Federal (2009), Marina Silva chama atenção para situação do povo guarani-kaiowá.
[3]United Nations (2009), Afro-Brazilians and indigenous groups face serious bias, says UN rights chief, Un News Centre.
[4] Vargas R. (2008), Assassinato de índios cresce 214% em 2007 em Mato Grosso do Sul, Folha de São Paulo: 08/01/2008.
[5] CIMI (2008), Violência contra os povos indígenas no Brasil.
[6] Centers for Disease Control and Prevention (CDC) (2007), Suicide Trends and Characteristics Among Persons in the Guaraní Kaiowá and Ñandeva Communities – Mato Grosso do Sul, Brazil, 2000—2005.
[7] Guarani Kaiowá Indigenous Rights Commission (2005), The Death of our Children: Starvation and our Land, in Survival (2010).
[8]Flores M. (2012), Storia dei diritti umani, Bologna: Il Mulino, Pag. 219.