Introduzione
Nel presente manifesto le associazioni, le startup a vocazione sociale e liberi cittadini hanno riunito argomenti, idee e prospettive sull’ampio tema della disabilità.
Nei paragrafi seguenti sono stati approfonditi i temi considerati più salienti oggi, temi che toccano direttamente e non i cittadini e le cittadine con disabilità nel loro quotidiano e nella loro integrazione nella società italiana. Vi invitiamo alla lettura con un pensiero attento al contesto e vi invitiamo ad una riflessione che, siamo certi, sarà utile per tutti noi.
In ultimo, ricordiamo che i due concetti cardine, che ritroverete in molti dei paragrafi seguenti, riguardano:
● L’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia nel 2009)
● La lotta all’abilismo: forma di discriminazione, più o meno velata, nei confronti delle persone con disabilità
CURA E ASSISTENZA
Caregiver
Con il termine “caregivers” ci si riferisce a coloro che assistono e si prendono cura di un proprio caro malato o disabile. Questa stretta connessione è evidenziata dal diritto antidiscriminatorio (in particolare dal Trattato sull’Unione Europea), che equipara la condotta discriminatoria perpetrata ai danni del caregiver con quella che si concretizza in danno della persona disabile.
Per questo motivo è bene precisare che ogni punto politico e programmatico del presente manifesto è da intendersi applicato ed applicabile anche nei confronti dei caregivers di riferimento di ogni persona disabile.
Il 3 ottobre 2022 il Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità ha condannato l’Italia per la mancanza di tutela giuridica dei caregivers, accertando in questo modo la violazione degli obblighi internazionali assunti con la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006.
L’Italia ha tempo fino a marzo 2023 per adeguarsi e adottare una normativa garantista e tutelante. In particolare, riteniamo necessari alcuni provvedimenti:
● l’istituzione di un reddito di assistenza familiare complementare alle pensioni di invalidità e di accompagnamento;
● la previsione di pensionamenti anticipati;
● una maggiore flessibilità nei permessi (anche oltre i limiti della legge 104/1992);
● la valorizzazione dello smart working e la promozione di spazi di co-working con aree di assistenza per le persone in necessità (con una logica analoga agli asili nido presso le scuole con ragazze madri);
● l’aumento del monte ore per l’assistenza domiciliare integrata (ADI).
Chiediamo inoltre l’applicazione uniforme sul territorio nazionale della legge 112/2016 (cosiddetta del “dopo di noi”), per il superamento delle discriminazioni legate all’abitazione singola e indipendente rispetto alla sola previsione di co-housing di alcune regioni e interventi integrati per alleggerire il carico di cura dei cari, sostenendo l’accompagnamento a uno spazio terzo che dia respiro a relazioni molto spesso simbiotiche e di reciproca dipendenza nella coppia accudito – accudente.
Dopo di noi
Nelle condizioni attuali è molto difficile sviluppare un ragionamento complessivo sul “dopo di noi”. Gli obiettivi che si intendono raggiungere sono determinati dalle situazioni singole delle persone, soprattutto, in situazione di gravità.
Attualmente le famiglie si fanno carico di una serie di problematiche che dovrebbero essere risolte da un intervento pubblico intelligente ed oculato. La realtà delle cose è che la fine del percorso di vita dei genitori di persone con disabilità gravi o gravissime porta al ricovero in struttura dei loro cari. in pratica, al di là degli sforzi fatti, la normativa in essere non permette ancora di progettare una permanenza non reclusiva in RSA ma aperta a presenza in appartamenti con più persone con disabilità massimo con 6 utenti assistiti full-time.
L’obiettivo che ci siamo posti e per il quale operiamo è quello di rendere una vita post mortem genitori vivibile e per quanto possibile inclusiva. Alla base di questo sviluppo va valorizzato e, quindi, codificato in modo omogeneo il progetto individuale di vita che comprenderà un percorso socio-assistenziale e/o socio-sanitario coerente ed elastico secondo le diverse necessità rispetto alla vita complessiva dell’assistito. Ricordiamo che attualmente sono bloccate le autorizzazioni per l’apertura ed il riconoscimento di queste microstrutture che, con i propri limiti, potrebbero permettere una assistenza adeguata alle necessità dei singoli ed un risparmio delle risorse investite.
Vita indipendente
Vita Indipendente è un servizio erogato a livello territoriale per cui, grazie ad un budget erogato dai servizi sociali, la persona con disabilità ha la possibilità di assumere una o più assistenti personali che aiutino a compiere tutte quelle azioni che la disabilità impedisce di svolgere autonomamente. Vita Indipendente è sia un movimento che una filosofia. Autonomia è diverso da indipendenza.
Essere persone indipendenti, per questa filosofia, significa poter decidere del proprio quotidiano e della propria vita: grazie a questo movimento si evidenzia l’interdipendenza di tutti gli esseri umani. Infatti, si può essere indipendenti solo grazie alla dipendenza da altre persone ossia gli/le assistenti personali. Attualmente la situazione in Piemonte è frammentata poiché ogni Consorzio, e più raramente l’ASL, decide in autonomia il proprio regolamento su Vita Indipendente. Questo significa discriminazione anche all’interno della stessa regione di residenza.
In accordo col Titolo Quinto della Costituzione italiana le singole Regioni hanno adottato leggi per supportare il diritto ad una vita indipendente. In Piemonte (Legge regionale n. 1/2004), per garantire il diritto al benessere psico-fisico della persona con disabilità e alla promozione sociale, avvia Piani di zona, con conseguente finanziamento, in cui sono contemplati diversi interventi di sostegno, tra cui i Progetti di Vita Indipendente.
La recente legge regionale 12 febbraio 2019, n. 3 “Promozione delle politiche a favore dei diritti delle persone con disabilità”, all’art. 6, comma 3, promuove Progetti di Vita indipendente sulla base di progetti personalizzati affinché le persone con disabilità possano programmare e realizzare il proprio progetto di vita all’interno o all’esterno della famiglia e dell’abitazione di origine.
In questo contesto tali Progetti sono attivati nei limiti di quelli finanziabili all’interno delle risorse regionali trasferite agli enti gestori per interventi in favore di persone con disabilità, annualmente stanziate nel Bilancio di previsione finanziario sul capitolo n. 153722 (Missione: 12 “Diritti sociali, Politiche Sociali e Famiglia”, Programma: 02 “Interventi per la disabilità”).
Le risorse statali dedicate sono ad oggi insufficienti a coprire i costi reali che devono sostenere le persone disabili per l’assunzione di assistenti personali. Inoltre, non si tratta al momento di un diritto esigibile poiché i fondi per l’assistenza vengono destinati ancora in gran parte alle RSA.
Una persona disabile non ha quindi il diritto di scegliere se vivere presso il proprio domicilio o in una struttura. Senza contare che a causa dei fondi praticamente insufficienti viene incentivato il lavoro nero. Infine, oltre a non essere garantito il diritto di vivere a casa propria non esiste neanche un contratto specifico per assistente personale. Chiediamo uniformità di erogazione nel territorio e fondi adeguati affinché sia davvero una vita indipendente.
Chiediamo di poter scegliere dove vivere e come vivere ogni giorno.
Ausili, nomenclatore tariffario + LEA
I Livelli essenziali di assistenza (LEA) prevedono l’accesso a dispositivi, ausili e protesi adeguati alle proprie esigenze specifiche, diritto fondamentale per una buona qualità della vita. Nonostante questo, le persone con disabilità non riescono a ottenere una fornitura appropriata. Chiediamo pertanto di rimuovere immediatamente ogni ostacolo che impedisce a chi ne ha bisogno di ricevere i dispositivi, ausili e protesi consoni alla propria situazione individuale. A tale scopo è necessario un aggiornamento costante nei nomenclatori tariffari e l’adeguamento ai LEA.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
PEBA
I Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA) sono strumenti che hanno lo scopo di monitorare l’accessibilità e il livello di mobilità del territorio, e quindi di progettare e pianificare interventi finalizzati a rendere gli spazi pubblici fruibili a tutti i cittadini. Seppure siano previsti sin dal 1986 con la legge 41 e siano stati integrati nel 1992 dalla legge 104, pochissimi Comuni li hanno redatti e applicati. In questo modo continua e continuerà a sussistere una grave situazione di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità.
Chiediamo pertanto di verificare l’attuazione dei PEBA nei Comuni della Regione e di nominare un commissario qualora non sia stato redatto alcun piano, secondo quanto previsto dalla legge 41/1986. Uno degli aspetti più importanti e urgenti riguarda senz’altro l’accessibilità ai trasporti. In aggiunta sollecitiamo la realizzazione di un registro telematico regionale che permetta ai cittadini di essere informati sull’andamento dei lavori e invitiamo a considerare l’istituzione della figura del Disability Manager regionale.
Per non trascurare l’edilizia privata, chiediamo che sia avviata una campagna di sensibilizzazione tramite ordini e albi professionali, affinché siano segnalati studi/uffici accessibili e, laddove possibile, siano avviati lavori di abbattimento delle barriere architettoniche.
Accesso a materiale culturale
Non è soltanto una rampa a rendere accessibili luoghi e contenuti della cultura. Non sono soltanto omaggi e riduzioni sui biglietti a rendere accessibili gli spettacoli. Non sono soltanto le aree disabili a rendere fruibile da tutti un contenuto. Dai piccoli ai grandi eventi, mancano consapevolezza, confronto e progettazione. Nel nostro paese abbiamo bisogno di rivisitare e rivoluzionare la partecipazione alla vita sociale e culturale, poiché prima di tutto essa rappresenta possibilità di incontro, di scoprire che, dove spesso la mentalità abilista più diffusa vede un ostacolo, si apre un mondo di opportunità.
Esiste una figura professionale con il compito di prevedere e provvedere a tutte le esigenze strutturali per far si che una persona partecipi ad un evento, semplicemente per sua scelta: il Disability Manager. Dalla nostra esperienza sul campo, dal dialogo con cittadini, associazioni e istituzioni, dai nostri errori e dal nostro desiderio di sperimentare, abbiamo compreso che è necessario che questo ruolo sia ricoperto da persone competenti e creative, trasversalmente in tutti gli ambiti lavorativi, soprattutto nel settore dello spettacolo.
Chiediamo al mondo della cultura e dello spettacolo a tutti i livelli di prevedere nei loro gruppi di lavoro tale figura, di attivare corsi di formazione per operatori e volontari, di aprire i palchi a spettacoli ideati e messi in scena da persone disabili, di semplificare l’acquisto dei biglietti, di mediare tra le norme di sicurezza e il bisogno di poter godere di uno spettacolo come tutti.
Chiediamo, insomma, di diventare attori e spettatori sempre più eterogenei ed evoluti, affinché non si parli più in termini di ostacoli, ma di risorse.
Accessibilità dei teatri ad artisti con disabilità.
I teatri italiani sono per la maggior parte edifici storici di grande bellezza, ma difficilmente accessibili alle persone in carrozzina a causa delle numerose barriere architettoniche non solo in platea, ma soprattutto sul palco e nei camerini.
Il problema esiste anche per molti teatri più moderni ma non ristrutturati di recente. Per gli spettatori spesso ci sono solo 1 o 2 posti riservati alle persone che si avvalgono di una carrozzina, spesso in posizioni oltremodo scomode, in ultima o prima fila o laterali. Non consentire la scelta del posto ad una persona con disabilità motoria significa limitare la libertà e la fruizione dello spettacolo, a cui spesso si preferisce rinunciare.
La situazione è anche peggiore per i ballerini in carrozzina. Come associazione e compagnia di danza integrata, abbiamo spesso dovuto rinunciare ad esibirci in contesti aperti a tutti per l’impossibilità di salire sul palco, di accedere ai camerini ed ai servizi. Spesso ci siamo adattati a cambi di costume in un angolo senza alcuna privacy o in luoghi di fortuna, separati da tutti gli altri artisti; ci siamo adattati a salire sul palco portati a braccia in situazioni pericolose ed avvilenti, dato che non ci erano state fornite indicazioni esatte sull’accessibilità.
Vogliamo scardinare la mentalità e i pregiudizi che vivono le persone con disabilità solo come soggetti da studiare e da curare, chiusi in casa e senza interessi. Vogliamo che gli artisti con disabilità possano essere riconosciuti come protagonisti delle arti performative, che possano esibirsi su qualunque palco insieme ad artisti senza disabilità e che possano intraprendere delle carriere professionali come lavoratori dello spettacolo.
Chiediamo di rendere i teatri, ma anche gli edifici storici e culturali, accessibili al pubblico e ai performer, attuando le opere di adeguamento necessarie, anche se l’edificio non è oggetto di ristrutturazione. Riteniamo infatti che i teatri accessibili a tutti siano un servizio di pubblica utilità, di civiltà ed inclusione e che la disabilità sul palco sia utile al superamento della ghettizzazione delle persone con disabilità che una cultura abilista non si accorge nemmeno che esista.
Accesso a materiale culturale in ambito turistico
L’accesso al materiale culturale non solo è un diritto sancito dalla convenzione dell’ONU per i diritti delle persone con disabilità, ma secondo noi è essenziale per il miglioramento della qualità della vita delle persone e la loro crescita personale.
Rendere accessibile il patrimonio culturale del nostro territorio contribuisce anche ad una società più equa ed inclusiva perché permette a tutti di migliorarsi riducendo le disuguaglianze.
Rendere accessibile la cultura non vuol dire solo abbattere le barriere architettoniche ma anche quelle sensoriali, cognitive e soprattutto sociali.
Chiediamo quindi alle attività pubbliche e private di incrementare l’impegno che la formazione delle competenze professionali richiede includendo i seguenti punti nella propria offerta al pubblico:
● L’accessibilità dei luoghi non deve determinare la scelta della vacanza: si deve poter scegliere una meta o struttura turistica perché piace e non perché essa è l’unica accessibile.
● L’informazione sull’accessibilità non può ridursi a un simbolo, ma deve essere oggettiva, dettagliata e garantita, onde permettere a ogni persona di valutare in modo autonomo e certo quali strutture e servizi turistici sono in grado di soddisfare le sue specifiche esigenze.
● Poiché l’accessibilità riguarda non solo aspetti strutturali e infrastrutturali, ma anche i servizi offerti ai turisti, occorre promuovere la qualità dell’accoglienza per tutti, ovvero incentivare un cambiamento culturale che generi profondi mutamenti dei modelli organizzativi e gestionali, ancora prima che strutturali.
● E’ necessario incentivare la formazione delle competenze e delle professionalità, basata sui principi dello Universal Design e che coinvolga tutta la filiera delle figure professionali turistiche e tecniche: manager, impiegati, aziende, imprese pubbliche e private. Occorre inoltre aggiornare i programmi di studio degli Istituti per il Turismo, Tecnici, Universitari, dei Master e dei Centri Accademici a tutti i livelli.
BARRIERE DIGITALI
Accessibilità di applicazioni e software
Per accessibilità digitale si indica la capacità di un sito web o di un’applicazione di essere fruito efficacemente (alla sua interfaccia e al suo contenuto) da utenti diversi in differenti contesti. Rendere un sito web accessibile significa permettere l’accesso all’informazione contenuta nel sito anche a persone con disabilità fisiche di diverso tipo e a chi dispone di strumenti hardware e software limitati.
Le Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) 2.0 contengono una ampia gamma di recommendation studiate per rendere i contenuti del Web maggiormente accessibili.
Seguendo queste linee guida è possibile creare contenuti accessibili alla più ampia gamma di persone con disabilità, tra cui la cecità e l’ipovisione, la sordità e l’ipoacusia, limitazioni cognitive e dell’apprendimento, ridotte capacità di movimento, disabilità della parola, fotosensibilità e combinazioni di queste. I criteri di successo per le WCAG
2.0 sono scritti come dichiarazioni testabili che non sono specifiche per la tecnologia utilizzata.
Le indicazioni riguardo il soddisfacimento del criterio di successo per specifiche tecnologie, nonché informazioni generali sull’interpretazione del criterio stesso, vengono fornite in documenti distinti.
Il rispetto di linee guida spesso rende i contenuti Web più usabili per tutti gli utenti in generale. Nonostante ciò, la maggior parte dei siti web della pubblica amministrazione nazionale risulta completamente o parzialmente inaccessibile a moltissimi utenti.
Vogliamo un adeguamento a questi criteri da parte di siti delle Pubbliche Amministrazioni per permettere ai cittadini di informarsi adeguatamente e di poter eseguire prenotazioni e altri servizi annessi.
Chiediamo che i siti web e le applicazioni di aziende private (sia quelle inserite nella legge 4/2004, sia non) vengano rese accessibili per clienti e utenti con disabilità.
Chiediamo inoltre un’applicazione più stringente della legge 4/2004 (altrimenti detta “Legge Stanca”) da parte degli organi di supervisione preposti. Nonostante tale legge abbia più di 20 anni, infatti, questa non viene rispettata da buona parte dei soggetti in essa coinvolti.
BARRIERE CULTURALI
Sessualità e affettività
Sessualità e affettività sono viste come linee parallele che non incontreranno mai la vita di una persona con disabilità. Anche quando si cerca di affrontare l’argomento si cade nello stereotipo per cui la disabilità è un deterrente troppo forte per permettere l’instaurazione di legami affettivi.
Tramite incontri e progetti di divulgazione l’obiettivo sarà quello di abbattere i preconcetti che impediscono alle persone disabili di poter esplorare liberamente le sfumature dell’affettività e della sessualità.
Ad oggi, l’abilismo va a toccare anche questi ambiti, dato che l’etichetta da disabile sembra precludere qualsiasi possibilità di potere avere una vita sessuale o qualsiasi tipo di relazione umana.
Identità di genere e orientamento sessuale sono solo la punta di un iceberg enorme di discriminazioni che affliggono le persone disabili che ad oggi non sono solo sottorappresentate, ma anche emarginate dalla società che impedisce loro di integrarsi appieno con gli altri.
La continua disinformazione fa sì che si incorra in un sommarsi di discriminazioni (es: essere disabile, essere omosessuale, avere una disforia di genere, ecc…) che invalidano la vita di una persona. Si pensi anche ai casi di relazioni amorose, nelle quali il partner, agli occhi delle altre persone, non viene visto come tale ma come mero caregiver della persona disabile.
Ad oggi non possiamo permettere che questo modo di pensare continui a diffondersi nella società rendendo sempre più forti le disparità.
Comunicazione
All’interno della Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 13 dicembre del 2006 e ratificata dall’Italia attraverso la Legge 18 del 3 marzo 2009, gli stati membri si sono impegnati a:
● Incoraggiare tutti i mezzi di comunicazione a rappresentare le persone con disabilità in modo conforme agli obiettivi della Convenzione.
● Riconoscere l’importanza dell’accessibilità (…) all’informazione e alla comunicazione, per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
● Promuovere la ricerca, lo sviluppo, la disponibilità e l’uso di nuove tecnologie, incluse tecnologie dell’informazione e della comunicazione (…) dando priorità a quelle dai costi più accessibili.
● Promuovere programmi di formazione per accrescere la consapevolezza riguardo alle persone con disabilità e ai diritti delle persone con disabilità.
● Adottare misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso (…) all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali.
● Applicare le misure precedenti a edifici, viabilità, trasporti e altre strutture interne ed esterne, comprese scuole, alloggi, strutture sanitarie, luoghi di lavoro, servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi informatici e quelli di emergenza.
● Promuovere l’accesso delle persone con disabilità alle nuove tecnologie ed ai sistemi di informazione e comunicazione, compreso internet.
● Adottare tutte le misure adeguate a garantire che le persone con disabilità possano esercitare il diritto alla libertà di espressione e di opinione, ivi compresa la libertà di richiedere, ricevere e comunicare informazioni e idee su base di uguaglianza con gli altri e attraverso ogni mezzo di comunicazione di loro scelta;
● Mettere a disposizione delle persone con disabilità le informazioni destinate al grande pubblico in forme accessibili e mediante tecnologie adeguate ai differenti tipi di disabilità, tempestivamente e senza costi aggiuntivi.
● Accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso da parte delle persone con disabilità, alla lingua dei segni, al Braille, alle comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e sistema accessibile di comunicazione di loro scelta.
● Richiedere agli enti privati che offrono servizi al grande pubblico, anche attraverso internet, di fornire informazioni e servizi con sistemi accessibili e utilizzabili dalle persone con disabilità.
● Incoraggiare i media, inclusi gli erogatori di informazione tramite internet, a rendere i loro servizi accessibili alle persone con disabilità.
● Riconoscere e promuovere l’uso della lingua dei segni.
Sulla base di quanto sottolineato nella Convenzione, il Manifesto chiede ad enti pubblici e privati di promuovere l’applicazione dei suoi principi, facilitando la partecipazione diretta delle persone con disabilità nei processi e nei sistemi di informazione e comunicazione.
MOBILITA’ E ACCESSIBILITA’
Accessibilità trasporti / barriere / semafori sonori
L’intervento di accessibilità che garantisca un’adeguata interazione con gli spazi circostanti anche in presenza di una disabilità sensoriale, fisica o cognitiva, viene assicurata dal sistema giuridico italiano sin dagli anni Ottanta del secolo scorso e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con Disabilità, in particolare dall’articolo 9. Nonostante ciò, gli interventi di accessibilità vengono limitati da una progettazione che non vede il coinvolgimento diretto delle persone con disabilità, i sistemi di mantenimento e manutenzione delle opere già installate non garantiscono, ad oggi, la valorizzazione di quelle opere già rese accessibili.
Un esempio importante rispetto a ciò è rappresentato dai semafori sonori: per normativa ogni impianto semaforico che venga sostituito deve essere dotato di segnalazione acustica, ad oggi, nonostante ciò, il numero di semafori sonori è estremamente esiguo e non è disponibile una mappa aggiornata della loro presenza nella città, sottoponendo ogni giorno moltissime persone cieche ed ipovedenti a rischi di vita importanti. Ricordiamo, di fatto, che il semaforo rappresenta un salvavita per i cittadini, e le moltissime persone con disabilità visiva non possono usufruire in sicurezza di molti spazi cittadini. Proponiamo:
● Creare una mappa dei semafori sonori presenti in città, in modo tale da consentire ai cittadini con disabilità visiva di creare percorsi sicuri e accessibili.
● Attuare politiche di manutenzione efficace degli impianti semaforici accessibili già esistenti (ad esempio creando un sistema di feedback di segnalazione degli impianti vandalizzati e non funzionanti).
● Attivare politiche di cittadinanza nelle scuole e in altri enti formativi per prevenire attacchi vandalistici agli impianti semaforici e ad altri strumenti di accessibilità cittadina.
UNIVERSAL DESIGN E CITTADINANZA ATTIVA
Universal Design e cittadinanza attiva
Il legame tra Universal Design e cittadinanza attiva è imprescindibile. Se da un lato la progettazione accessibile fu teorizzata e applicata da un architetto con disabilità per adattarsi alle esigenze della maggior parte degli individui, dall’altro la cittadinanza attiva ancor oggi purtroppo si definisce come un fenomeno che spesso coinvolge le persone disabili solo come soggetti passivi: ciò infatti è dovuto alla mancanza di adesione a questa dottrina del design da parte degli organi statali e parastatali, di cui sembrano fare realmente tesoro solo le grandi multinazionali. Barriere architettoniche,
sensoriali e cognitive impediscono o limitano fortemente la libertà dei cittadini con disabilità di vivere il territorio in modo indipendente e sicuro.
Laddove le associazioni e le iniziative di cittadinanza attiva permettono con molta fatica e dedizione il superamento di alcune problematiche, si da per scontato che le persone disabili possano solo essere destinatari e non fautori del cambiamento. Questa enorme barriera culturale permea prepotentemente la società attuale, nonostante la storia abbia dimostrato il verificarsi di enormi progressi con l’autodeterminarsi delle persone con disabilità e dei loro caregiver. Favorire concretamente l’esercizio della cittadinanza attiva delle persone con disabilità è la forma di abbattimento delle barriere culturali più efficace, coinvolgendo le cittadine e i cittadini con disabilità da medio-grave o gravissima per la progettazione di interventi di riqualificazione urbana e/o di ristrutturazione di ogni locale ad uso pubblico, consultandosi e sviluppando la burocrazia in modo accessibile, come strumento e non come ostacolo.
Concludendo, conciliare Universal Design e cittadinanza attiva significa fare tesoro comune di tutto il lavoro nascosto delle persone disabili, permettendo progressivamente la realizzazione di una società equa e consapevole.
Voto e firme digitali
La possibilità per le persone con disabilità di essere cittadini e cittadine attivi passa, oltre che dalla semplificazione del voto accompagnato e delle relative autorizzazioni, anche e soprattutto da un’implementazione dei servizi digitali. In questo ambito chiediamo:
● di digitalizzare il certificato di iscrizione nelle liste elettorali, rendendolo disponibile nelle proprie aree personali (ad esempio nell’app IO);
● di sollecitare le Regioni perché predispongano una piattaforma online per la sottoscrizione tramite identità digitale (SPID) e carta di identità elettronica (CIE) di petizioni, delibere e referendum di iniziativa popolare, nonché delle liste elettorali per il Consiglio regionale;
● che tale piattaforma sia messa a disposizione dei Comuni per permettere le sottoscrizioni delle candidature per le elezioni del Sindaco e del Consiglio Comunale.
Per tali richieste, chiediamo che le piattaforme di riferimento risultino accessibili ai cittadini con disabilità, per consentire e assicurare la più totale privacy.
LAVORO E ISTRUZIONE
Accesso al lavoro in base alle competenze
Introduzione di politiche attive nel mondo del lavoro, al di là della legge 68/99 (assunzioni obbligatorie, categorie protette) con valorizzazione delle competenze, affinché il dipendente con disabilità sia una vera risorsa e non solo un costo a carico azienda.
Politiche attive da introdurre nel mondo del lavoro e valorizzare le competenze possono essere:
● Favorire l’incontro di domanda e offerta (centri per l’impiego e convenzioni con agenzie di selezione e/o interinali).
● Corsi di formazione strutturati e mirati (lato operatori e lato persona con disabilità quest’ultima con riserva di legge nazionale).
● Open day con aziende private.
● Sgravi fiscali per le aziende che assumono.
● Istituzione di una certificazione Disability (come la certificazione di parità di genere o ISO 9001), con conseguente aumento del punteggio per la partecipazione dell’azienda ad appalti pubblici.
● Riduzione oneri comunali (tari) per aziende che facilitano l’accesso alle persone con disabilità (sempre tramite certificazione Disability).
● Mobility Manager per organizzare il trasporto di dipendenti con disabilità tramite convenzioni e benefici fiscali tramite cooperazione con le Pubbliche Assistenze.
● Facilitazione, semplificazione e sburocratizzazione della disabilità del dipendente sorta in costanza del rapporto di lavoro (ad esempio a seguito di infortunio o per insorgenza di patologia).
● Introduzione di maggiori permessi e facilitazione dello smart working con particolare attenzione ai dipendenti caregiver.
Più corsi di formazione sui disability studies
Come Collettivo studentesco (MAI Ultimi) di persone con disabilità e neurodivergenti crediamo che il contrasto all’abilismo debba partire dai luoghi di formazione. Se guardiamo alle università all’estero esistono corsi sui disability studies, mentre in Italia questo rimane impensabile.
La formazione sulla disabilità e sul rispetto dei diritti umani dovrebbe partire dalle o con le persone disabili stesse in modo da creare connessioni con il mondo
accademico affinché la visione che si ha della disabilità non risulti distorta dai pregiudizi delle persone senza disabilità.
Inclusività dell’ambiente scolastico
L’esperienza degli Enti del Terzo Settore che seguono percorsi nella scuola primaria supportando bambini con disturbo dello spettro autistico nelle loro capacità di adattamento al “contesto” scolastico o che svolgono attività in Centri Diurni che sono stati progettati per adulti ma, soprattutto dopo la pandemia, hanno visto una progressiva riduzione dell’età media, tanto da accogliere utenti in età scolare, suggerisce una riflessione sul fatto che la scuola, soprattutto la secondaria di II livello, non sia realmente inclusiva, così come la vorrebbe la riforma del 2015 (“La buona scuola”), perché costruisce ambienti di apprendimento non adatti ad alcune disabilità, e forse a tutte le disabilità.
Spesso accessibilità per la scuola vuol dire rampa per le carrozzine o dare un insegnante di sostegno, ma il sapere non è reso realmente accessibile, perché continua ad essere costruito su standard e modalità di apprendimento vecchie. Si forniscono strumenti che non fanno altro che creare distanza tra gli studenti “normali” ed i “disabili” che nel linguaggio della scuola si chiamano ancora “minorati”.
Bisognerebbe creare una cultura della diversità che parta dalla base che tutti siamo abili a fare delle cose e non abili a farne delle altre, valorizzando le specifiche competenze. Bisognerebbe realizzare una didattica di tipo laboratoriale che punti alla collaborazione tra le persone e non alla competizione tra gli studenti.
Per fare questo bisognerebbe ripartire dalla definizione di disabilità fornita che da l’ICF, (che oltretutto dovrebbe essere la base progettuale di ogni Programma Educativo Individualizzato o Piano Didattico Personalizzato): “Difficoltà nel funzionamento a livello fisico, personale o sociale, in uno o più domini principali di vita, che una persona in una certa condizione di salute trova nell’interazione con i fattori contestuali”. Il focus è sull’ambiente che può e anzi deve rendere la persona funzionale, riducendo o annullando la distanza dalla possibilità di apprendere e di apprendere in modo sempre più autonomo. Un passo decisivo sarebbe includere nel monte ore del docente di sostegno la formazione professionale.
Grazie per l’attenzione
Per info: disabilitypridetorino@gmail.com