La sentenza sull’Italicum (emessa il 9 febbraio 2017), dalla Corte Costituzionale, precisa che la Costituzione Italiana non “impone” di avere due sistemi elettorali perfettamente uguali, un “tot” di differenza può essere consentita, anche se invita, in sintesi, il Parlamento a fare un po’ d’ordine nella materia, perché se tutto rimanesse tale e quale, ovvero contraddittorio e confuso, in futuro la Corte potrebbe essere costretta a intervenire.
Non lo ha fatto questa volta solo perché nessun tribunale ha sollevato la questione in maniera puntuale e corretta, ma domani chissà…
La sentenza quindi conclude che la Costituzione non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di Governo, i sistemi adottati seppur differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee.
Perciò il “Partito delle Elezioni Subito”, non viene impedito nel tornare al voto se non con pochi ritocchi. Mentre quello delle “Elezioni nel 2018” può ribattere anche forte della sentenza della Corte che lascia intendere che comunque sarebbe meglio armonizzare.
Nella sentenza, di ben 59 pagine, ci sono anche alcune novità, tra cui un punto molto importante, che ha ottenuto risposta favorevole, ed è la possibilità di presentare ricorso in materia elettorale, nei vari tribunali provinciali, prima ancora che una legge venga applicata, come è stato appunto il caso per l’Italicum, poiché non è indispensabile che un danno ci sia già stato, ma basta il presupposto di un pericolo in tal senso.
Il coautore e coordinatore di ben 22 ricorsi contro l’Italicum, che ne hanno provocato l’annullamento in alcune parti caratterizzanti è l’avvocato Felice Carlo Besostri, già della Commissione Affari Costituzionali del Senato della XIII Legislatura e docente di Diritto Pubblico Comparato nell’Università di Milano, che qui intervistiamo.
Adriana Paolini – Nella sentenza n°35 del 2017 della Corte Costituzionale, che si è espressa su 5 ordinanze di supposta incostituzionalità della Legge 52/2015, conosciuta comunemente come Italicum, da un lato conferma i principi della sentenza n°1 del 2014 e dall’altro ne rafforza altri. Sul premio di Maggioranza al 40% la Corte ritiene che “non appare in sé manifestatamente irragionevole” anche perché è una decisione che esercita a sua discrezione il Parlamento, in quanto sua prerogativa. Cosa ne pensa?
Felice Carlo Besostri – Io penso che questa sentenza sia molto importante. Da un lato perché conferma dei principi già espressi su un altro ricorso contro un’altra legge elettorale il Porcellum, la n°270 del 2005, ma la rafforza notevolmente. I motivi dei ricorsi erano molti: 14 di cui 13 relativi all’Italicum e il 14° che riguardava una parte non ancora annullata del Porcellum, che è quella della “differenza delle soglie d’accesso”, che diventa molto importante adesso per armonizzare le due leggi. Nel Senato, che è la metà dei membri della Camera, le soglie d’accesso erano il doppio, l’8% rispetto al 4% per le liste singole e il 20% per le coalizioni rispetto al 10% della Camera. Di queste ne sono state decise favorevolmente soltanto due, ma non perché le altre siano state dichiarate infondate, ma semplicemente perché le ordinanze che le avevano poste, fra l’altro appena due sulle 5 che hanno esaminate, non avevano espresso con chiarezza quali erano le censure di costituzionalità. Purtroppo in Italia, a differenza di Spagna e Germania, non si può ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale, ma bisogna porre i problemi a un Giudice che li deve ritenere fondati e che poi fa un’ordinanza. Ma l’ordinanza la fa il Giudice e non gli avvocati che hanno fatto ricorso. Perciò spesso delle motivazioni di incostituzionalità molto fondate, se sono state espresse male non vengono giudicate dalla Corte ed è quello che è successo. Ed è successo in particolare per quanto riguarda il Premio di Maggioranza. Cioè nessuna delle ordinanze contestava il Premio di Maggioranza in quanto tale e non che fosse il 40, il 35 o il 37 o il 50%. Ecco questa eccezione di costituzionalità non è ancora data, ma ci sono ancora 12 Giudici che si devono pronunciare e noi speriamo che uno di questi Giudici, nei prossimi mesi, mandi anche questa questione alla Corte Costituzionale.
Per quanto mi riguarda, penso che un Premio di Maggioranza debba innanzitutto non entrare in contraddizione con un principio della nostra Costituzione che dice che il voto deve essere “personale” e “diretto”. Se noi abbiamo un Premio di Maggioranza di carattere “nazionale”, che si spalma su tutto il territorio sui collegi, succede che possono risultare eletti dei candidati che nel loro collegio non hanno avuto il consenso necessario ovvero la loro elezione dipende non da chi li conosce, e che deve giudicarli cioè gli elettori del loro collegio, ma dal voto dato in carattere generale da altre parti del Paese. Questa è la questione che mette in discussione il Premio di Maggioranza in una legge proporzionale, aggravata dal fatto che insieme al Premio di Maggioranza c’è anche una soglia di accesso. In questo caso la Corte facendo un ragionamento, non decidendo sulla costituzionalità del Premio di Maggioranza ha detto che un Premio di Maggioranza del 40% con una soglia di accesso più bassa di quella precedente, che era del 4-3%, non era tale per alterare eccessivamente la rappresentanza, cosa che invece deve essere evitata. Io ritengo perciò che la Corte sia stata equilibrata, ma soprattutto c’è una parte importante della Corte in cui, in un certo senso, invita i Giudici a porre meglio le questioni di incostituzionalità e di mandargliene delle altre. In particolare ha detto che non poteva occuparsi della incostituzionalità della legge nel suo complesso perché è stata approvata ricorrendo al voto di fiducia e noi avevamo ritenuto che con il voto di fiducia si desse il via a un procedimento speciale, mentre nell’articolo 72 comma 4 della Costituzione prevede che le leggi elettorali e quelle costituzionali devono essere approvate con al procedura normale. Questa questione spero che tornerà presto davanti ai giudici.
Adriana Paolini – Per il Ballottaggio, invece, il meccanismo è reputato valido per i Sindaci, ma non per le elezioni politiche che, in assenza di una soglia minima dichiarata, potrebbe permettere a una lista la possibilità di accesso al Turno di Ballottaggio, pur avendo conseguito al Primo Turno solo un esiguo consenso, e ottenere così il raddoppio dei seggi che gli spetterebbero in proporzione ai suoi voti. Rispetto ad altri paesi per esempio come la Francia, dove il ballottaggio c’è, quale sarebbe la differenza?
Felice Carlo Besostri – Le differenze sono fondamentali. In Francia il ballottaggio riguarda le persone, come anche il Sindaco. Qui invece il ballottaggio è fra liste e questa era una novità in assoluto rispetto ai sistemi elettorali che prevedono il ballottaggio. Poi l’altra questione per cui è molto importante la differenza, e la Corte lo dice, il Parlamento ha dei compiti di controllo sull’attività di Governo, oltre che compiti legislativi, compiti che non ha il Consiglio Comunale e perciò le garanzie di rappresentatività sono molto più importanti per un organismo che deve fare delle leggi rispetto ad un organismo che deve adottare degli atti amministrativi. Questa è la differenza fondamentale. Io ritengo che per altro la legge dell’elezione diretta dei Sindaci, che ha avuto così tanto entusiasmo all’inizio, adesso ci si rende conto che mostra l’usura del tempo. Non si sceglie più un sindaco in base alla sua capacità sperimentata di essere un bravo amministratore, ma unicamente se è abbastanza telegenico o simpatico per vincere le elezioni. Infatti vediamo ci sono dei sindaci che hanno avuto un grosso successo, ma che non sono stati poi capaci di amministrare.
La differenza con la Francia poi è fondamentale. Anche lì si tratta dell’elezione diretta di una carica, dove può essere normale che se uno non raggiunge il 50% dei consensi al primo turno vada a un ballottaggio. E lo stesse vale anche per i singoli parlamentari che sono collegi uninominali, però là c’è una bella differenza. Non basta avere la maggioranza dei voti. Occorre che si rappresenti una quota importante della popolazione. Se un candidato che prende l’80% dei voti, ma il suo 80% non corrisponde almeno al 20% degli aventi diritto, deve fare il ballottaggio. Qui invece si andava al ballottaggio con qualunque percentuale al primo turno. Bastava essere il primo o il secondo e andare al ballottaggio senza nessun quorum di partecipazione. Noi abbiamo visto in Emilia Romagna, con il sistema del Premio di Maggioranza, sono andati a votare con il 37% degli aventi diritto e la lista che ha avuto più voti, ma tra questo 37%, ha preso il 60% dei seggi. Si tratta di una sproporzione, di una differenza notevole. Sono organismi rappresentativi , ma quando vengono privilegiati in questo modo, semplicemente chi arriva primo, senza vedere che percentuale ha, è una distorsione eccessiva della rappresentanza.
Adriana Paolini – Tra i 14 punti su cui si è battuto e su cui ha ottenuto una risposta favorevole solo parzialmente, ce n’è uno molto importante ovvero la possibilità di presentare ricorso in materia elettorale, nei vari tribunali di città capoluogo di provincia e di distretto di Corte d’Appello, prima ancora che la legge sia concretamente applicata, come invece per il caso dell’Italicum, poiché non è indispensabile che il danno si sia verificato, ma basta che sia potenziale. Un tempismo lungimirante e un impegno e lavoro perseverante il suo, che hanno permesso alla Consulta di potersi esprimere prima di dar corso all’Italicum, correggendo i punti + discutibili ed evidenti, a meno di 2 anni dall’entrata in vigore dell’Italicum e a 7 mesi dalla sua teorica applicabilità, evitando, così, di votare con una legge di sospetta costituzionalità. Per il Porcellum, invece, si votò 3 volte (nel 2006, 2008, 2013) e l’annullamento intervenne, solo, a più di 8 anni dalla sua entrata in vigore. Un successo quindi?
Felice Carlo Besostri – Un successo che deriva, però, da una strategia. Il Porcellum fù impugnato davanti a un solo tribunale che disse di no e respinse il ricorso. La Corte d’Appello di Milano confermò il diniego all’approvazione del ricorso e si dovette attendere il terzo grado, la Cassazione, per mandarlo. Però proprio quello che era successo col Porcellum che ci convinse che occorreva un’altra strategia. Perché in quel caso l’annullamento era avvenuto dopo le elezioni e i parlamentari eletti con quella legge incostituzionale sono rimasti al loro posto e hanno addirittura fatto una nuova legge altrettanto incostituzionale, l’Italicum, e hanno per di più tentato di cambiare la Costituzione. Non si poteva permettere che questo succedesse. Perciò un strategia diversa, la presentazione di 22 ricorsi, cioè in tutti i Tribunali delle Città capoluogo e di Distretto di Corte d’Appello, che in totale sono 25. Sono solo 3 le città dove, infatti, non abbiamo presentato il ricorso. Su questi 22 Tribunali 3 non hanno ammesso il ricorso, ma siamo già in Appello con buone probabilità di vincere, uno si dichiarò incompetente per territorio e 5 mandarono in Corte Costituzionale e 3 di questi 5, con la stessa motivazione, cioè illegittimità del Premio di Maggioranza al ballottaggio e illegittimità della libertà del capolista, che poteva essere eletto fino in dieci collegi diversi, di scegliere a suo piacimento dove rimanere eletto. E questo è sicuramente importante, perché il voto deve essere “libero”. Se la legge è incostituzionale io non ho la “libertà di voto”. Devo cioè stabilirlo prima di andare a votare e non dopo essere votato. Anche per un’altra ragione, che mentre per i Comuni, le Regioni e il Parlamento Europeo posso fare annullare da un Tribunale le elezioni, questo non è possibile per le elezioni politiche. Perciò che senso avrebbe l’obiezione fatta dall’avvocatura dello Stato per non aver ricevuto un danno. Ma se avessimo ricevuto il danno e poi avessimo ottenuto dopo le elezioni l’annullamento della legge, avremmo ricevuto il danno e le beffe, perché l’elezione era dichiarata incostituzionale, ma chi era stato eletto in maniera incostituzionale restava al suo posto. Questa è la cosa importante di questa sentenza che sul punto è stata chiara: se una legge è incostituzionale, il danno al mio diritto di votare secondo costituzione si verifica con la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, non con la sua elezione, anzi l’elezione va sicuramente evitata, per impedire che ci sia un danno a quel punto irrimediabile.
Adriana Paolini – Se dovesse fare una previsione elettorale, diciamo intorno al 2018, quali scenari riesce a immaginare anche rispetto alle recenti nuove formazioni politiche che partono anche dallo stesso PD?
Felice Carlo Besostri – Il problema è che adesso non abbiamo ancora un testo di legge elettorale. Tra tutti quelli depositati hanno tutti lo stesso difetto dell’Italicum, cioè come aggirare una sentenza della Corte Costituzionale. L’Italicum cercò di aggirare la sentenza Costituzionale della Corte n°1 del 2014, la maggioranza di questi progetti di legge e di riforma della legge elettorale cercano di capire come aggirare la sentenza n°35 del 2017. Ora quando il punto di partenza è sbagliato il risultato è molto negativo. Ci si mette nella logica di vedere qual è la legge elettorale migliore per il proprio partito o addirittura per le proprie probabilità di essere rieletto. Cioè una visione di corto periodo. Noi abbiamo bisogno di avere una legge elettorale che funzioni in ogni tempo e in ogni caso e con quale sistema politico. Io penso che siamo ancora in tempo per fare delle buone leggi elettorali. Una sola notazione. Si era partiti dicendo che l’Italicum sarebbe stato imitato in tutto il mondo, però vediamo adesso che l’ultima proposta pare quella di passare dall’Italicum al Germanicum, così invece di esportare la nostra legge elettorale ne stiamo importando una di un altro Paese.
Germanicum è la legge che c’è in Germania dalla fine del dopoguerra con molti cambiamenti, ma sostanzialmente è questa: metà dei parlamentari sono eletti in collegi uninominali e chi ottiene il maggior numero di voti viene immediatamente eletto e l’altra metà attraverso delle liste di Land con un voto proporzionale. Il totale, però, deve essere corrispondente alle proporzioni prese dalle liste. Là lo possono fare, ma ritengo che se lo importiamo lo importiamo comunque male perché il numero dei parlamentari non è prefissato in Costituzione. Da noi sono 630, là per far tornare i conti della proporzione se uno ne ha eletti molti direttamente ne avrà di meno nel riparto proporzionale. Qui da noi non sarebbe possibile.
Là inoltre non ci sono Premi di Maggioranza, o meglio ce uno limitatissimo che se una lista prende la maggioranza assoluta dei voti, ma non ha la maggioranza assoluta dei seggi gli vengono assegnati tanti seggi quanti ne servono per arrivare a maggioranza assoluta, cioè la metà più 1. Non come da noi che il Premio di Maggioranza corrisponde al 54% dei seggi del Parlamento. Là, però, c’è una soglia di accesso del 5%, cosa che da noi è 3%, e nel Porcellum era il 4%. Il 3% sarà adesso per la Camera, mentre per il Senato ci sono ancora le vecchie soglie d’accesso dell’8% e del 20%. Anche quest’ultima è una cosa che non sta in piedi perché il Senato ha la metà dei membri della Camera. Le soglie d’accesso non possono essere il doppio. Semmai dovevano essere la metà per riflettere lo stesso equilibrio fra le forze politiche. Questa è l’ultima novità che non è stata ancora formalizzata. Spero che non sarà così.
Adriana Paolini.
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