Categoria | Politica-Economia

Giorgio Galli, Scacco alla superclass

Pubblicato il 14 gennaio 2017 da redazione

globalizzazione

Oggi tre quarti del mondo vive ancora in aree rurali ed è in quelle aree che viene prodotto l’80% del cibo del nostro pianeta. La gestione della produzione, la distribuzione e il mercato di queste risorse alimentari è però in carico, soprattutto, alle grandi multinazionali.

In Europa, la situazione non è ancora così diffusa e il 50% del mercato agricolo è ancora gestito a livello famigliare o individuale.

La carta vincente delle multinazionali è la grande distribuzione che sta azzerando quella locale, contribuendo così a disperdere i micro tessuti economici che alimentavano e sostenevano intere popolazioni da diverse generazioni, senza alcun argine da parte di istituzioni pubbliche locali o internazionali.

Le questioni in campo sono diverse e complesse, perché oltre al monopolio della filiera produttiva e della catena distributiva, le multinazionali hanno dato corso a una massiccia colonizzazione di grandi aree agricole, ingabbiando e assoggettando irreversibilmente, non solo le culture, gli allevamenti tradizionali e le risorse idriche, ma anche le popolazioni locali che di queste risorse ne facevano un uso limitato solo per le proprie necessità e che ora, invece, ne sono state quasi totalmente private.

Le metodologie e sistemi intensivi di sfruttamento messi in campo, stanno inoltre impoverendo rapidamente i terreni e in alcuni casi anche snaturandoli, senza che nessuno ne chieda un eventuale risarcimento, non solo per i danni ecologici, ambientali, ma più in generale per lo sconsiderato sfruttamento di risorse alimentari destinate potenzialmente a tutta l’umanità, che nel frattempo cresce rapidamente e deve spartirsi quello che rimane.

La situazione appare incontrollabile, o meglio sembra non esistano ancora organi giuridici sovranazionali preposti a monitorare e vigilare l’operato di questi colossi planetari, che nel loro incedere prosciugano ogni cosa.

Anche da un punto di vista economico e politico, i sistemi liberali e democratici tradizionali sembrano incapaci nel trovare soluzioni che tengano a bada i nuovi dominatori del globo, complice anche una economia finanziaria che preferisce attori trasversali e stabili invece dei vecchi capitalisti modello occidentale.

Nel vecchio Continente, padre della Democrazia e delle Libertà i cittadini, invece, partecipano sempre meno alle decisioni importanti che li riguardano e ancor meno alla spartizione delle risorse del mondo.

Nel suo ultimo libro del 2016, “Scacco alla superclass”, Giorgio Galli (G.G.), per oltre trent’anni docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, e uno dei più affermati politologi italiani, ipotizza una gestione delle Multinazionali dal basso, con l’elezione diretta dei Consigli d’Amministrazione di ogni loro sede territoriale.

Galli sostiene infatti che: «I cittadini potrebbero eleggere quote dei consigli di amministrazione delle 376 multinazionali più importanti, nei paesi in cui hanno sede, perché è lì dove ci sono le risorse. Gli organi di Governo dei singoli Paesi, chi più chi meno, ha ancora il potere di fare le leggi, ma le leggi più che altro oggi le fanno gli uffici legali delle multinazionali»

Ecco una breve intervista che abbiamo rivolto a Giorgio Galli sui nuovi potenti della terra.

 

Giorgio Galli_2015_Massacritica_light

A.P. La finanza internazionale orienta ormai le scelte politiche dei diversi paesi e solitamente lo fa solo a scopo speculativo. Controparti attive, rappresentanti delle diverse pieghe sociali, che contrastino il passo di questa economia iper-liberista, non sembrano esserne rimaste. Dal 1985 si è assistito una forte polarizzazione della ricchezza e una drastica riduzione delle garanzie sociali che ha visto un solido Welfare State rapidamente dismesso. Pensa che la politica, non chiamiamola più di classe, ma di Ceto, sia ancora possibile?

G.G. Il libro del quale stiamo parlando si intitola scacco alla super class. La superclass è la definizione del Ceto, se vogliamo chiamarlo Ceto, dirigente delle multinazionali, alcune migliaia di persone, definizione di David Rothkopf che ha scritto il libro “Superclass” pubblicato in Italia da Mondadori, Rothkopf è stato un consulente di questa superclass e giustamente la definisce superclass perché a suo giudizio è la classe più potente che la storia abbia prodotto. Quindi è lecito parlare di una politica di classe, condotta a livello planetario, da queste poche migliaia di persone. Invece non si è verificata l’ipotesi marxista o marxiana, di una classe speciale, la classe degli operai salariati che avrebbe acquisito una forza contrattuale tale da poter iniziare veramente a contrastare il predominio di questa superclass e successivamente di proporre un altro modo di produzione. Io credo che questa sia la situazione attuale, una politica di classe, da parte della classe dominante, alla quale non vi sono risposte di classe da parte delle classi o dei ceti dominanti.

 

A.P. Volendo provare a ricostituire un tessuto sociale ormai così disgregato, occorrerebbe ridare benessere a tutte le parti sociali, anche al cosiddetto Capitale, non multinazionale, quello tradizionale di tipo occidentale, entrato fortemente in crisi a causa della Finanza, che non lo ha più sostenuto. Negli anni 1930 le social democrazie cercavano di gestire le proteste dei disoccupati e Franklin Delano Roosevelt lanciava il New Deal. Non pensa che quel percorso, riveduto e corretto, potrebbe ancora essere valido per rivitalizzare un’economia capitalistica tradizionale?

G.G. La domanda presuppone il ruolo di ceti intermedi a proposito della situazione degli anni ’30 e anche di quella attuale tra la superclass e la classe di quella che dicevamo prima, la classe degli operai salariati. Questa politica nel 1930 diede effettivamente buoni risultati. Forse potrebbe essere ripresa anche or,  però siccome nel frattempo il potere della superclass è molto superiore a quello che era il potere dell’alta finanza e delle corporation degli anni ’30, sarebbe utile è potrebbe anche interessare i ceti medi del capitalismo che non siano controllati dalle multinazionali. Credo che sarebbe utili una risposta più drastica di quella di allora e che è proprio quella di conquistare dal basso i vertici delle multinazionali.

 

A.P. Sembrerebbe, quindi, che la Democrazia rappresenti per le Multinazionali il diavolo in persona. E in effetti, se i processi elettivi investissero anche loro, sarebbero perduti. Ora, invece, mancano completamente degli strumenti ostativi che permettono a noi e a loro di frizionare e dunque impossibile raggiungere qualsivoglia compromesso: semplicemente vincono sempre loro. Non crede sia un po’ utopistico anche solo sperare di poter eleggere i loro Consigli di Amministrazione e poi come li convinciamo ad aprirci la stanza dei bottoni?

G.G. Se i consigli di amministrazione comprendessero almeno in parte, degli eletti a suffragio universale da tutti i cittadini, questi potrebbero avere tutte le informazioni necessarie per aprire la stanza dei bottoni. L’importante è capire come ci si può arrivare. Oggi chiedere questa elezione diretta sarebbe come stato chiedere nel 1400 si fossero volute avere delle elezioni a parlamenti che contrastassero il potere assoluto delle monarchie. Allora una impostazione di questo genere non sarebbe stata nemmeno chiamata utopistica, ma addirittura non ci si poteva pensare. Oggi invece ritengo che si possa incominciare a proporla perché almeno a livello di filosofia politica è il punto di arrivo di tutto il pensiero politico occidentale secondo il quale il potere deve essere basato sul consenso. Ora il potere reale è quello delle multinazionali. Quindi seguendo la stessa logica dovrebbe essere basato sul consenso proprio questo potere attraverso modalità di elezione diretta, a suffragio universale. Certo in questa fase può apparire utopistico, però il problema si può anche cominciare a porre nei termini che io definisco di filosofia politica, lungo la naturale linea di sviluppo del pensiero politico occidentale.

 

A.P. Le economie sono in pieno imbarbarimento. Stiamo attraversando una crisi del Sistema e non nel Sistema. Il libro propone una alternativa sia dal punto di vista giuridico, un rapporto di strutture e sovrastrutture, sia dal punto di vista sociale per cercare di superare le differenze di fondo tra socialismo antisistema e destra antisistema, alla ricerca di una soluzione comune. In effetti se si vuole provare a mettere in pratica dei Consigli di Amministrazione eletti dal popolo non si potrà certo farne una questione di bandiera. Le multinazionali però operano non solo in Europa, ma anche nel Mondo e quindi i CDA andrebbero eletti a partire dai popoli in cui operano. In questo senso non si corre il rischio che manchi una coerenza trasversale, a livello globale, degli interessi delle classi più basse, che invece esiste per il sistema finanziario-economico globale?

G.G. Certamente, questo è un problema perché, come ho detto prima, il proporre l’elezione diretta di almeno una parte dei componenti dei consigli di amministrazione delle multinazionali è il punto di arrivo del pensiero politico occidentale. Ora questo pensiero politico riguarda una parte molto ristretta del pianeta. La popolazione che oggi è retta a democrazia rappresentativa, sostanzialmente l’Europa occidentale e i paesi di lingua inglese, sono circa 700 milioni di persone. Quindi meno di un decimo dei 7 miliardi di abitanti del pianeta. Però la maggior parte delle multinazionali, come è dimostrato nel libro, opera in quest’area. Se in quest’area i vertici delle multinazionali cominciano ad essere almeno in parte eletti, questa è un’applicazione della democrazia rappresentativa che può interessare anche le aree in questo momento della Russia, la Cina e l’India, Paesi nei quali operano alcune di importanti decine di multinazionali, ma che non conoscono né il pensiero né l’esperienza della democrazia rappresentativa. Quindi se le più importanti multinazionali dell’occidente cominciassero ad applicare questi principi, sarebbe il modo di far presente quanto siano importanti questi principi, molto al di là delle generiche dichiarazioni  sui diritti umani che costellano le dichiarazioni unicamente di principio. Se cioè in occidente si potesse cominciare a dire “Vedete che noi, i cittadini di queste aree culturali controlliamo i veri vertici del potere.” Sarebbe un forte incentivo a suggerire “Provate a farlo anche voi.”

 

A.P. Ciampi, recentemente scomparso, Ministro del Tesoro e Presidente della Banca d’Italia avrebbe dovuto ridurre le spese. Si diceva “Affamando la bestia per renderla più vorace”, quando l’allora debito pubblico era al 60%. Oggi che è al 100% cosa si dovrebbe quindi fare?

G.G. Tutto il sistema creditizio mondiale è un prodotto della politica creditizia delle multinazionali bancarie. Quindi dovrebbe essere rivisto completamente. Perché finora questo tipo di sistema del credito aveva giovato a un relativo sviluppo che aveva consentito come è stato detto prima, dagli anni ’30 in poi, lo sviluppo del Welfare, che pur con ancora ampie aree di povertà, aveva migliorato il livello di vita almeno delle parti occidentali della rivoluzione industriale del Pianeta. Adesso, come è stato detto prima, sembra che la crisi finanziaria iniziata nel 2007, quindi ormai da un decennio, indichi l’inizio di una crisi più che nel Sistema proprio del Sistema. Allora se c’è una crisi del Sistema innestata anche da un sistema Creditizio inefficiente, perché tutte le politiche monetarie e finanziarie, anche quelle di Draghi nella Banca Europea, non hanno rimesso in moto l’economia, credo che tutta l’impostazione del debito pubblico deve essere rivista e quindi le misure che Ciampi poteva ritenere utili una decina di anni fa sono secondo me ampiamente superate. Bisogna discutere tutto un Sistema di Credito che non è più in grado di auto rinnovarsi per modificare una crisi che appunto non è nel Sistema, ma del Sistema.

 

A.P. Le Aste del debito pubblico però sono finite in mano alle Banche. Con il debito pubblico così alto e le politiche economiche all’insegna dell’esproprio chi può fare oggi economia pubblica?

G.G. Oggi nella situazione attuale è impossibile fare una economia pubblica. Quando io parlo di investitura, dal basso a suffragio universale, di almeno una parte dei vertici delle multinazionali è ovvio che nella definizione delle multinazionali, comprendo le multinazionali bancarie e anche quel particolare tipo di multinazionali che sono i fondi di investimento. Quindi è tutto questo Sistema che dovrebbe essere coinvolto in una investitura dal basso. Perché altrimenti, come giustamente detto, con il credito in mano alle Banche e con questo debito pubblico, qualsiasi intervento di economia pubblica, su modello di New Deal degli anni ’30 è assolutamente impossibile.

 

A.P. Marx diceva che la Democrazia Formale era solo una foglia di fico… Ora la Democrazia e il Diritto formali sono entrambi completamente caduti e gli illeciti finanziari sono fatti dalle grandi Banche, che costituiscono una componente essenziale del sistema. Secondo la sua tesi, si potrebbero, quindi, eleggere dal basso anche i CDA delle Banche e cosa cambierebbe?

G.G. Cambierebbe che quelli arrivano al vertice sarebbero i rappresentanti di tutti i cittadini, come per la democrazia rappresentativa. Marx rivolgeva delle critiche, individuando la Democrazia rappresentativa Borghese come una fase transitoria nell’ambito della quale il Movimento operaio, con i suoi partiti e con i suoi sindacati, si sarebbe potuto sviluppare al punto da mettere in discussione il modo di produzione capitalistico per sostituirlo con un modo di produzione socialistico, per la realizzazione finale del comunismo. Era un ipotesi di sviluppo della storia che non si è verificata. E allora dobbiamo rivedere proprio questo punto di vista di Marx dicendo “se la democrazia rappresentativa è soltanto una foglia di fico, la democrazia formale è soltanto una foglia di fico, o come direbbe Bobbio è solo la Democrazia procedurale, allora non ci sono soluzioni al problema. Se pensiamo che invece la democrazia rappresentativa è il punto di arrivo del pensiero e delle esperienze almeno in occidente, bisogna riaffermare il suo principio, che è quello del potere basato sul consenso, consenso che deve essere la base anche del potere reale esercitato oggi, che è appunto esercitato dal potere dei consigli di amministrazione. E’ un ipotesi, diversamente da Marx, che vedeva certezze nella storia, cioè l’economia schiavistica, l’economia feudale, il comunismo primitivo, l’economia capitalista e poi socialismo e comunismo. Questa ipotesi non presuppone affatto un finalismo della storia. Analizza che in una parte del pianeta si è realizzata una particolare esperienza, democrazia rappresentativa, cioè gestione del potere sulla base del consenso, che questo principio che in qualche modo ha funzionato a livello politico è concettualmente possibile che venga esteso a livello economico.

Quindi cosa cambierebbe? Cambierebbe che i rappresentanti dei cittadini eserciterebbero il potere nell’interesse generale e non nell’interesse di un particolare ceto, come sono state le classi nella storia, secondo lo schema marxiano e come è appunto l’attuale superclass, l’ultima classe dirigente della storia , più potente di tutte le altre.

 

A.P. L’Italia e l’Europa sono ancora oggi al riparo dall’imperversare delle Multinazionali. Si tratta di un’esercito di nuovi potenti della terra, 330.000 entità, di cui le più forti sono 376 unità, quasi tutte angloamericane, a cui fanno capo 3/4.000 persone, le più potenti del pianeta, che hanno trovato il modo di stabilizzare la loro economia, e che si apprestano a governare indisturbati il mondo per sempre. La tesi principale del suo libro è quella di scalzare questa super Lobby Globale cercando appunto consenso popolare per arrivare ad eleggere i CDA direttamente attraverso il popolo che abita i territori in cui ciascuna di esse risiede. Per fare questo però occorrerebbe anche il presidio delle istituzioni democratiche che oggi sono ormai più paragonabili a delle oligarchie, osteggiate sia da destra sia da sinistra. Non pensa che la vittoria di Donald Trump sia una risposta populista di rifiuto proprio contro questo sistema oligarchico che sta incancrenendo un po’ tutte le democrazie di stampo occidentale?

G.G. Intanto l’Italia e l’Europa non sono al riparo dall’imperversare delle multinazionali. Molte di queste multinazionali sono europee. In Italia abbiamo quelle che nel libro definisco multinazionali tascabili. Però ce n’è qualcuna che è molto forte. Certamente l’Eni e la Telecom sono a livello internazionale non di dimensioni tascabili. Però siccome appunto la maggioranza delle multinazionali, anche delle 376, di cui si parla, che sono quelle registrate nelle pubblicazioni annuali di Mediobanca in Italia, sono quasi tutte in Europa e nel mondo anglosassone e quindi sono in primo luogo le popolazioni di queste aree, Europa e aree anglosassoni, che dovrebbero persuadersi della possibilità e dell’opportunità di questa rivoluzione democratica, per essere poi di modello e di esempio alle multinazionali di altre aree culturali, come Russia, Cina, India che non hanno esperienza di democrazia rappresentativa. Questo è il modello di un possibile sviluppo storico, non è affatto una certezza, come ho detto prima a proposito di Marx, il quale sosteneva che queste cose, la rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato, socialismo e comunismo, sarebbero state il corso naturale della storia, sarebbero comunque accadute. Io non sostengo affatto questo. Ritengo invece che questa è una possibilità storica che può realizzarsi, ma può anche non realizzarsi. Io credo che sarebbe meglio per l’umanità, per i cittadini della Terra, ma anche per il pianeta stesso, devastato dalla politica delle multinazionali, dalla situazione agricola, che questo sviluppo storico possa realizzarsi, e non che non possa realizzarsi affatto. Ma come ho detto non è un’ipotesi è una previsione ipotetica migliore di altre, perché probabilmente se la crisi è del Sistema e se il mondo continuerà a essere governato dalla superclass di David Rothkopf, le conseguenze future saranno negative per tutti.

I voti per Trump e i voti per Bernie Sanders.

Sanders si presentava come socialista negli Stati Uniti, dove definirsi socialista è solo poco meglio che definirsi pedofilo, ciò nonostante questo vecchio senatore del Vermont, con proposte di questo tipo, ha ottenuto un larghissimo consenso che l’hanno portato a sfidare la potentissima macchina tradizionale dei Clinton. Quindi vuol dire che questo fenomeno e le sue riflessioni erano che comunque bisognava ridurre il potere delle multinazionali e ridurre il potere delle banche, ma non dice come. La mia proposta è di ridurlo in questo modo, attraverso l’estensione del suffragio. Comunque la sua campagna volta a ridurre questo potere a prodotto un larghissimo consenso nelle aree culturali delle aree di sinistra della complessa cultura degli Stati Uniti. Trump ha avuto un altrettanto successo e ha sconfitto la macchina politica dei repubblicani conservatori tradizionali facendo in parte una propaganda di questo stesso tipo, alla quale ha aggiunto, invece, alcuni elementi propri della cultura di destra degli Stati Uniti: la critica alla immigrazione, l’innalzamento dei muri. Quindi ha avuto un consenso a livello di opinione popolare in parte di destra e in parte di sinistra. Le sue scelte sono poi quelle che ha fatto recentemente, che sembrano tutte orientate nella scelta di persone della cultura di destra. Io non so che se i suoi progetti, impergnati su una sorta di New Deal per le opere pubbliche e per ampliare l’occupazione, migliorando le infrastrutture, come ponti e strade, che sono in condizioni disastrose, diventeranno effettivi e se saranno solo una promessa elettorale mancata, come tante promesse elettorali a volte lo sono. A me sembra più che altro che Trump sia con la sua campagna elettorale sia l’espressione dell’esistenza anche di un anticapitalismo di destra, che come ho scritto nel libro, potrebbe confluire con l’anticapitalismo di sinistra in un progetto politico che non è certamente quello di Trump. Questo per quanto riguarda questa situazione specifica.

 

A.P. Robert Alan Dahl sosteneva che la democrazia dei nostri successori non sarà comunque la democrazia dei nostri predecessori: o si amplia o si restringe. Cambierà in meglio se aumenterà il controllo del potere da parte dei cittadini o in peggio se questo controllo si ridurrà. Quindi il problema è: come cambierà?

G.G. Dahl, mi sembra molto preoccupato. Sembra che ritenga più possibile un cambiamento in peggio che non un cambiamento in meglio. L’immagine finale che egli adotta è quella di Platone.

Platone è partito dalla concezione molto ottimista della Repubblica, del Governo dei Saggi, per poi arrivare alla fine della sua vita a parlare di un Governo dei Custodi, cioè di una Elitte autoselezionatasi che si riunisce in consiglio notturno per decidere del destino di tutti.

Io credo che Dahl, quando dice che cambierà comunque, o cambiamo in meglio, con più potere ai cittadini o cambiamo in peggio con più potere all’Oligarchia. Temo che ritenesse più probabile la seconda ipotesi. Il mio augurio invece è che prevalga la prima.

Adriana Paolini (A.P.)

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Galli

https://en.wikipedia.org/wiki/David_Rothkopf

https://it.wikipedia.org/wiki/Bernie_Sanders

https://it.wikipedia.org/wiki/Donald_Trump

 

scacco-superclass

Lascia un commento

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK