Negli ultimi anni, complice soprattutto la crisi economica, sempre maggior risalto è stato dato al tema degli sprechi. Uno degli ambiti in cui questo argomento però è stato spesso sottaciuto è quello degli sprechi alimentari, in particolare per quanto attiene alla grande distribuzione organizzata. A questo riguardo, gli ultimi dati a disposizione derivano da uno studio del 2014 svolto dal Politecnico di Milano, che ha calcolato come le eccedenze alimentari all’interno della distribuzione ammontino a 770 mila tonnellate l’anno, una cifra sicuramente importante in termini assoluti, ma che corrisponde solo all’11,6% delle eccedenze totali prodotte all’interno dell’intera filiera, dalla produzione alle tavole dei consumatori. Al contrario, l’ultimo anello della catena, ossia proprio quello dei consumatori, produce eccedenze pari a 2,5 milioni di tonnellate ogni anno, vale a dire ben il 41,6% del totale.
Le eccedenze di prodotto e lo spreco vero e proprio
Quest’ultimo dato, già impressionante di per sé, lo diventa ancora di più se si considera la necessaria distinzione tra eccedenze e scarti. Con eccedenza si indicano solo tutti quei prodotti alimentari che restano invenduti o che comunque non vengono consumati. Lo scarto, invece, sta ad indicare quella parte delle eccedenze che effettivamente non viene riutilizzata in alcun modo e viene quindi sprecata del tutto. Se si tiene conto di questa distinzione, il dato relativo al comportamento dei consumatori risulta ancora più impressionante, in quanto pressoché il totale ammontare delle eccedenze in quest’ambito diviene scarto e quindi viene buttato via, a causa delle scarse possibilità di reimpiego. Al contrario, la grande distribuzione organizzata destina l’8% delle proprie eccedenze (percentuale pari a 60 mila tonnellate) a donazioni a favore di enti benefici. Secondo gli ultimi dati di Federdistribuzione, questa quantità di cibo donata corrisponde a 200.000 pasti al giorno, un risultato sicuramente molto importante, ma al contempo migliorabile, dato che solo il 36% delle aziende destina le eccedenze alle Onlus presso tutti i propri punti vendita e appena il 18% lo fa presso più della metà dei propri negozi.
I motivi che portano agli sprechi alimentari
A una prima occhiata, quindi, il problema sembrerebbe facilmente risolvibile tramite la richiesta, se non addirittura l’imposizione, alle aziende di impegnarsi maggiormente sul fronte delle donazioni. Tuttavia la realtà è un’altra e i motivi che portano alla creazione di una così grande quantità di prodotto in eccesso sono diversi. Innanzitutto bisogna considerare quella che è una mera logica commerciale a cui i punti vendita della grande distribuzione devono per forza attenersi: se si vuole trovare alle 21 di sera la stessa varietà e freschezza dei prodotti che si trova al mattino, bisogna mettere in conto qualche perdita. In secondo luogo, vi sono oggettive difficoltà alle donazioni, sia a causa dei molti adempimenti burocratici da svolgere a riguardo, sia perché servono mezzi adatti alla conservazione e al trasporto degli alimenti. Infine, va considerato che le aziende che donano le eccedenze, invece che gettarle via, non ricevono alcuno sgravio fiscale, in particolare per quanto riguarda la tassazione sui rifiuti, strumento che invece potrebbe funzionare da buon incentivo.
Obiettivi per il futuro e possibili soluzioni per raggiungerli
Va considerato comunque che, negli ultimi tempi, la sensibilità sulla questione da parte degli addetti ai lavori e delle istituzioni sta crescendo, tanto che sono diverse le iniziative già messe in piedi e gli obiettivi fissati per il futuro. In primo luogo, va segnalato come alcune aziende abbiano applicato in maniera autonoma diverse misure per ridurre gli sprechi: si va dall’eliminazione delle promozioni (che comportano spesso accumuli di prodotti che poi non vengono utilizzati, in particolar modo dai consumatori), al riutilizzo delle eccedenze come nutrimento per gli animali o come elemento per la produzione di fertilizzanti (in questo caso non si ha sicuramente un recupero virtuoso al 100%, ma quanto meno viene evitato un totale spreco). A livello istituzionale, invece, si stanno ponendo le basi per una nuova regolamentazione del settore, che comporti anche la cooperazione degli enti pubblici locali e nazionali. Si è infatti calcolato che, per ogni euro investito da un organismo pubblico all’interno di questa filiera, si può avere un recupero di 20-30 euro di prodotto. D’altra parte, nella vicina Francia l’intervento istituzionale sulla materia si è già avuto alcuni mesi fa, quando è stato introdotto il reato di spreco alimentare per i supermercati che occupino una superficie superiore ai 400 metri quadrati: la legge emanata prevede, da un lato, pene fino a due anni di carcere per i trasgressori e, dall’altro, interventi da parte del settore pubblico per facilitare le donazioni e sensibilizzare la popolazione. Da noi è al momento in discussione, presso la Commissione Affari Sociali, la proposta di legge “Spreco Zero”: il testo, a firma dei parlamentari Maria Chiara Gadda e Massimo Fiorio, ha come obiettivo principale quello di eliminare i diversi ostacoli alle donazioni da parte dei punti vendita della grande distribuzione, in modo anche da raggiungere l’obiettivo, ritenuto possibile da istituzioni e associazioni di categoria, di 1 milione di tonnellate di alimenti donati nel 2016.
La proposta di legge “Spreco Zero”
La proposta di legge “Spreco Zero” parte dall’assunto per cui lo sperpero di cibo è un fenomeno negativo in quanto comporta a sua volta lo spreco di risorse naturali nel processo di produzione e aumenta le emissioni di anidride carbonica, dimostrandosi così un provvedimento di ampio respiro. Esso si pone due obiettivi principali:
- dal lato dell’offerta, mira a creare il know how necessario per permettere ai soggetti coinvolti il recupero e la distribuzione gratuita dei beni;
- dal lato della domanda, punta ad ampliare le categorie merceologiche e la platea dei soggetti che possono distribuire senza fini di lucro, creando anche meccanismi premiali.
Per aumentare l’offerta dei beni in donazione, la proposta di legge si prefigge, innanzitutto, di ampliare la platea di soggetti che, accanto alle Onlus, possono dare in beneficenza alimenti e le categorie merceologiche a cui applicare la norma, ricomprendendovi anche farmaci, abiti e giocattoli. In particolare, la legge “Spreco Zero” vuole consentire ai punti vendita della grande distribuzione di cedere a titolo gratuito prodotti invenduti ancora idonei all’alimentazione, fatta eccezione per gli alimenti di pasticceria contenenti panna o creme, i superalcolici e la pescheria fresca. Questa misura vuole evitare che si gettino via alimenti non vendibili a causa della data di scadenza ravvicinata, a causa di danneggiamenti della sola confezione esterna o che abbiano superato il termine minimo di conservazione (corrispondente alla dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro”, che non indica un termine perentorio oltre il quale l’alimento non è più commestibile) da meno di trenta giorni.
Infine, i parlamentati firmatari della proposta di legge, consci delle differenze che esistono tra le varie regioni, propongono di porre standard igienico-sanitari omogenei su scala nazionale, che eliminino le difficoltà nella donazione di cibo e farmaci derivanti da regolamenti regionali differenti.
Tuttavia, come si è visto, molte delle difficoltà nella cessione a titolo benefico degli alimenti dipendono dagli adempimenti burocratici che l’attuale legge richiede agli operatori della grande distribuzione. La proposta al vaglio della Commissione Affari Sociali cerca perciò di eliminare o semplificare alcuni di questi obblighi, prima di tutto innalzando da 5.000 a 15.000 euro la soglia di valore che rende necessaria la comunicazione da parte dell’azienda alla Guardia di Finanza di voler cedere prodotti in beneficenza; in secondo luogo, cancellando l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate e di annotare mensilmente sui registri IVA natura, quantità e qualità dei beni donati.
Anche dal punto di vista degli incentivi, poi, la proposta di legge “Spreco Zero” fa un importante passo in avanti rispetto al silenzio normativo attuale, prevedendo innanzitutto una riduzione della tassa sui rifiuti in misura proporzionale alle donazioni di prodotti che l’azienda dimostri di aver effettuato. A questo sgravio vanno poi aggiunti gli incentivi che verrebbero garantiti alle imprese del settore alimentare che si dotino di sistemi di produzione a basso impatto ambientale. Sono infine previsti aiuti economici per le Onlus al fine di facilitare l’acquisto e l’utilizzo di beni mobili strumentali in grado di garantire la conservazione degli alimenti donati (ad esempio, celle frigorifere e furgoni refrigerati).
Infine la proposta “Spreco Zero” si dimostra di ampio respiro, laddove propone di creare un circolo virtuoso nell’ambito del riutilizzo delle eccedenze a partire dal contesto sociale di base. Infatti, al fianco della creazione di un fondo nazionale per la ricerca scientifica nel campo degli sprechi delle risorse naturali, è previsto il finanziamento di progetti territoriali per il riutilizzo delle eccedenze e l’eliminazione degli sprechi, oltre che di campagne di sensibilizzazione e di informazione ad opera di enti pubblici, scolastici e benefici.
di Alessio Bilardo
Linkografia:
http://www.ilfattoalimentare.it/eccedenza-alimentare-spreco-politecnico.html/2
http://www.ilfattoalimentare.it/spreco-alimentare-u2-francia.html
http://www.panorama.it/scienza/green/sprechi-alimentari-come-si-combattono-a-casa-e-al-supermercato/
http://www.ilpost.it/2015/05/23/legge-francia-sprechi-supermercati/
http://www.altroconsumo.it/vita-privata-famiglia/supermercati/news/sprechi-alimentari